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Deus absconditus, anno 89, n. 3-4, Luglio-Dicembre 1998, pp. 102-106
Madre M. Margherita Marletta osb ap *
Il libro dell’Esodo e madre Mectilde de Bar
Alcune linee tematiche del libro dell’Esodo
Il libro dell’Esodo è il libro della liberazione e della salvezza. Un gruppo di schiavi, guidato da Dio, per mezzo di Mosè, passa miracolosamente il mar Rosso e diventa un popolo: il popolo di Dio.
Questa libertà, questa salvezza dipende dal sì di adesione alla proposta divina di alleanza; è l’atteggiamento fondamentale di obbedienza e di dialogo con Dio che caratterizzerà tutta la futura vita di fede di questo popolo.
Dio sottrae ad un servizio forzato e da schiavi degli uomini, per dare la libertà del servizio di obbedienza e di culto a Lui.
Il tema del «servire», nel libro dell’Esodo, è ricorrente: «Servire a Lui solo!».
Nel deserto, Israele imparò a conoscere Dio, presente nella nube e nella colonna di fuoco. È il Dio che guida, protegge, vince le battaglie.
La preghiera e il culto assumono il tono e l’esigenza della riconoscenza, della risposta disponibile a Dio.
La proposta divina è: obbedire sinceramente e osservare l’Alleanza; la risposta: «noi obbediremo a tutto quello che Dio ci comanda» (Es 19,8;24,3).
Tutta la storia di Israele dovrà essere caratterizzata dalla:
1) disponibilità e fedeltà a Dio
2) precedenza assoluta alla «gloria» divina rispetto ad altri fini dell’agire umano.
Mosè sarà l’intermediario tra Dio e il popolo. A Mosè il popolo dice «Parla tu a Dio, noi ubbidiremo» (Es 20,19).
Ubbidire a Dio significa dire sì, anche quando Dio richiede una disponibilità apparentemente illogica e superiore alle forze umane.
Impone ascolto generoso della Parola divina, comunque si manifesti; mortifica ogni egoismo e ogni forma di ricerca di ciò che è comodo per sé.
Nel deserto, Israele si trovò quasi costretto a fidarsi del suo Dio e della sua Provvidenza.
Dio chiedeva la fiducia e la dipendenza da Lui soltanto. Nell’assenza assoluta o almeno nella grande necessità di appoggi naturali ed umani (mancanza di vegetazione, rare e difficili relazioni con altre tribù nomadi) Israele dovette sentire l’invito al dialogo e al «tu per tu» con Dio che lo invitava anche al banchetto sul monte.
Non sempre, però, Israele è fedele al suo sì, non sempre crede alla Provvidenza di Dio e il lamento è il ritornello ricorrente, alle acque di Meriba (15,22-27), alle acque di Mara (16) per la richiesta di cibo e di carne.
La manna è stato il cibo talmente evidente delle premure di Dio, che sarà ricordato in Dt 18,2-4; Sal 78; Sap 16,20; Es 1,6; è il pane di Dio, procurato dalla sua Provvidenza, giorno per giorno, in favore di questo popolo che rimpiange le cipolle d’Egitto; giorno per giorno lo devono raccogliere per ricordarsi di Chi lo dona e mettersi in un atteggiamento di disponibilità e ascolto.
Di fronte al nemico più numeroso e potente, Israele si presenta sostenuto dalla fiducia in Dio: è Lui che combatte e vince.
E questo popolo cammina: brevi sono le soste.
Tutto è provvisorio, legato alla terra da semplici paletti, come le tende dei nomadi.
I verbi ricorrenti sono: partirono, levarono le tende, si accamparono.
È Jahvé che dice quando devono mettersi in marcia e quando devono fermarsi: adesione a Dio, senza nessuna garanzia; devono credere a Dio più che a se stessi, credere, per Israele significa fidarsi, abbandonarsi, appoggiarsi in qualcuno.
In sostanza il deserto significò:
1) verifica di sé e degli impegni assunti con Dio;
2) occasione per dialogare con Dio più liberamente;
3) stimolo a guardare la vita come provvisoria;
4) tempo segnato da nuove tappe e dal distacco da un ambiente per tenersi disponibili ad un altro.
Israele sentì la fatica e la difficoltà di una adesione a Dio senza riserve.
Nessun motivo ha spinto Dio ad agire così, se non l’amore. Jahvé ha amato gratuitamente Israele ed esige da Israele una risposta d’amore.
Uno sguardo a Mectilde de Bar
La condizione di salvati, di chiamati, di vincolati, la Madre Fondatrice la richiama spesso nei suoi scritti.
Chiamate ad una disponibilità a Dio, fin dal primo ingresso in Monastero, raccomanda alle postulanti di non ritornare alle cipolle di Egitto.
«Il demonio fa tutto il possibile e la mente, tornando a riflettere sulle pignatte d’Egitto, cade in un languore che le fa sentire disgusto dell’atto compiuto nell’entrare in Monastero» [1].
Raccomanda il distacco da ciò che consideriamo troppo nostro: in ogni occasione si deve cedere Dio come Israele, nel deserto.
«...siate indifferenti alle opere in cui Dio vi impiega. [...] Questo noi chiamiamo trovare Dio dappertutto, e come trovarlo meglio che in questa amorosa acquiescenza al suo beneplacito che crea la pace dell’anima e la stacca da tutto? » [2].
Il contatto con Dio che Israele sperimenta nel deserto, è sempre vivo e attuale nella vita religiosa. Come ogni credente, la religiosa sente l’esigenza di salvare la «logicità» del suo sì alle varie proposte divine. La fede continua a domandare il distacco dalle proprie certezze e da autonomie personali, semplicemente umane.
E madre Mectilde insiste: bisogna adorare, senza capire il «Mistero», sottomettendosi con una profonda umiltà, alla Verità eterna. Distaccarci da noi stesse, morire a tutto ciò che non è Gesù Cristo [3].
«La vita cristiana è una continua abnegazione in tutte le cose» [4].
«Le nostre intenzioni nella S. Comunione devono essere di fare ciò che Dio vuole da noi e di sacrificarci a questa adorabile Volontà che deve essere la nostra regola, la nostra forza, la nostra luce, il nostro fervore» [5].
Gli Israeliti promettono fedeltà alla legge e m. Mectilde esorta: «siate fedele alle vostre Regole e Costituzioni; è questo che vi santificherà» [6].
«Lo spirito della nostra Regola è un totale annientamento e una perfetta obbedienza» [7].
Israele segue la nube, «l’anima deve seguire Gesù ovunque, perfettamente sottomessa in tutto ciò che egli dispone» [8].
Israele è un popolo segregato e riservato per Jahvé: l’anima deve «vivere una vita tutta separata dalle creature e dai sensi, [...] non avere più esigenze di mondo, rinunciare all’amore e alla stima delle creature» [9].
I vari appelli divini agli Israeliti tendono a far superare le garanzie che vengono dal sensibile e dall’immediatamente evidente per orientare verso ciò che Dio promette e ciò che Dio è: l’Unico Onnipotente e Provvidente, l’unico Signore della vita e della storia.
E madre Mectilde insegna che bisogna abbandonarsi a Dio: siamo tutti come attendati, accampati provvisoriamente in questa terra; dobbiamo vivere in un totale distacco da noi stesse... separate dalle creature e da noi stesse [10]. «... apparteniamo a Dio, dobbiamo volere che egli faccia di noi secondo la sua volontà» [11]
«Lo Spirito Santo dev’essere il padrone assoluto del vostro interno e operare secondo il suo beneplacito; e voi abbiate un’intera sottomissione ai suoi moti, ai suoi tocchi e alle sue ispirazioni. Pregate questo Dio di amore che [...] consumi in noi quello che gli è contrario» [12].
«Adoro nel silenzio del cuore tutto ciò che Dio ordinerà» [13].
«Se fossimo bene attente a questo grande mistero [la S. Comunione] non troveremmo gusto in tante inutilità che ci riempiono lo Spirito e il cuore, rendendoli vuoti di Dio» (Conferenza).
Come Israele che non è contento della manna e chiede altro cibo, così – a volte – anche noi. E madre Mectilde:
«Dopo aver ricevuto il mio Dio in tutto ciò che è in se stesso, chiediamo ancora qualche cosa; che cosa volete di più?...Donandosi a voi, vi dà tutto senza riservare nulla...Ah, non chiedete più niente» [14].
«Dio, Dio, [...] ed egli basta. Dio solo può contentare un’anima; infelice, e mille volte infelice, che non è soddisfatta di lui» [15].
«Abituatevi ad accontentarvi di Dio solo [...] “È troppo avaro colui al quale Dio non basta” » [16].
«Tutto quel che non è Gesù Cristo è solo miseria, povertà e afflizione di spirito» [17].
Dio si presenta a Mosè come il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa (cf. Es 34,6-7).
E la Madre:
«Dio è tanto buono quanto giusto» [18].
«... non è un Dio di rigore, ma un Dio di amore [...]. Abbandonatevi dolcemente alla sua azione» [19].
«Abbandonatevi a Dio, in modo così perfetto e continuo da non tornare mai più in vostro possesso» [20].
«Dio è una perfezione inaccessibile» [21], Maestoso in santità (Es 15,11).
«Dobbiamo essere contente di Dio: è Colui che è» [22].
A Israele la manna non bastò, chiesero la carne:
«Dio [...] ci dà soltanto quello che ci è non solo utile, ma assolutamente necessario» [23].
Nella solitudine del deserto, Israele trova Dio:
«... la solitudine è un mezzo eccellente per gustare Dio e per ricevere le sue misericordiose operazioni... » [24].
«In questo centro unicamente amabile [Gesù] ... bisogna fare la nostra cara solitudine e non uscirne mai se non per ordine della divina sapienza» [25].
«Non siate attaccata a niente. Siate sempre nella volontà di fare tutto il bene che vi sarà possibile [...] indifferente a tutte le indicazioni dell’obbedienza» [26].
Come Israele che staccava le tende e si muoveva quando Dio lo voleva e nella direzione che voleva, così ha raggiunto la terra.
«Bisogna risolversi a perdere tutto se vogliamo guadagnare tutto» [27].
«... la cosa migliore è di abbandonarsi al beneplacito di Dio, senza scelta e senza volontà propria» [28].
Israele era possesso di Dio, sua proprietà:
«... noi siamo l’opera delle sue mani: tocca a lui disporre, da padrone assoluto» [29].
«Col voto di vittima. Gesù entra in tutti i suoi diritti su di noi» [30].
«La fede nuda deve essere ormai il vostro appoggio. [...] Bisogna perdere tutto per trovare Dio» [31].
Israele cammina al comando di Dio, seguendo la nube.
«Camminiamo sempre, senza fermarci un momento. Bisogna seguire il divin Salvatore: [...] non guardiamo né a destra né a sinistra, ma seguiamo il diritto sentiero... » [32].
«Abbandoniamoci pienamente... » [33].
«... dovete perdervi nella sua divina volontà [...] abbandonare tutto per possederlo intimamente» [34].
Israele cammina per raggiungere la Terra promessa:
«Comportatevi in questo mondo come una persona in esilio: tutto passa e noi tutti dobbiamo passare» [35].
Con la continua presenza tra noi, il Cristo ci invita incessantemente a vivere la nostra Pasqua, a «passare» al Padre, morendo al peccato e vivendo per Dio.
«Abbandonatevi tutta all’azione divina... » [36].
Le citazioni potrebbero continuare all’infinito: il pensiero ricorrente dell’Esodo, il suo significato spirituale è l’azione di Dio, sempre presente, per Israele.
È il Dio che si interessa dell’uomo. L’uomo è in continuo cammino, la marcia fatta alla Presenza di Dio (colonna di fuoco di notte e nube di giorno) indica il progresso dell’anima verso l’eternità e le esortazioni di madre Mectilde sono una continua spinta ad andare, a lasciare – come gli Israeliti – tutto l’inutile che ingombra il cammino, in un continuo e sempre più intenso abbandono a Dio che guida la marcia.
Israele è la vita umana che avanza faticosamente tra mormorazioni, ribellioni e pentimenti.
La Madre esorta alla vigilanza, alla fiducia, a non abbatterci, dopo la caduta, ricordando inoltre che siamo noi, come Mosè, ad intercedere per gli altri.
Israele, dopo 40 anni, entra nella Terra promessa: anche noi, dopo il cammino nelle tenebre, ritroveremo la luce [37].
Come la sorella di Mosè e il popolo, dopo il passaggio del Mar Rosso inneggiarono a Dio, loro Salvatore, anche noi possiamo cantare:
«Mia forza e mio canto è il Signore
Egli mi ha salvato.
È il mio Dio e lo voglio lodare
è il Dio di mio padre e lo voglio esaltare» (Es 15,1-2)
* Vice Priora del Monastero di Catania. Questa ricerca, come molte altre già pubblicate nel corso di quest’anno, è uno degli innumerevoli frutti stimolati dall’anno tricentenario.
[1] Il Vero Spirito, cap. 2.
[2] Lettera 48, alla Comunità di Toul, in Catherine Mectilde de Bar, Non date tregua a Dio. Lettere alle monache 1641-1697, ed. Jaca Book, Milano 1979, p. 126.
[3] Cf. Catherine Mectilde de Bar, Attesa di Dio, ed. Jaca Book, Milano 1982, p. 81 (n. 1828).
[4] Ibidem, p. 82.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem, p. 80.
[7] Non date tregua, cit., p. 258.
[8] Catherine Mectilde de Bar, Il sapore di Dio, ed. Jaca Book, Milano 1977, p. 50.
[9] Ibidem, pp. 58-59.
[10] Cf. Il Vero Spirito, cap. 1
[11] Non date tregua, cit., p. 214, lettera 125 alla M. Priora di Rouen.
[12] Ibidem, p. 112, Lettera 40 alla comunità di Toul.
[13] Ibidem, p. 79, lettera 18 a m. Benoìte de la Passion.
[14] N. 3140, sulla festa del SS. Sacramento.
[15] Non date tregua, p. 56, lettera 5 alla madre Dorothée.
[16] Ibidem, p. 69, lettera 11 a una religiosa.
[17] Ibidem, p. 57, lettera 5 alla madre Dorothée.
[18] Cf. Il vero Spirito, cap. 5.
[19] Non date tregua, p. 59, lettera 6 alla madre Dorothée.
[20] Ibidem, p. 68, lettera 11 a una religiosa.
[21] Cf. Il Vero Spirito, cap 16.
[22] Cf. Ibidem, cap 13.
[23] Non date tregua, p. 75, lettera 15 a una novizia.
[24] Non date tregua, p. 76, lettera 16 a m. Benoìte de la Passion.
[25] Non date tregua, p. 111, lettera 39 alla comunità di Toul.
[26] Ibidem, p. 115, lettera 41 alla madre S. Francois de Paule.
[27] Ivi.
[28] Ibidem, p. 125, lettera 48 alla comunità di Toul.
[29] Ibidem, p. 135, lettera 54 a una religiosa malata.
[30] Ibidem, p. 130, lettera 51 alla comunità di Toul.
[31] Ibidem, p. 161, lettera 77 a una religiosa di Toul.
[32] Ibidem, p. 181, lettera 95, alla madre Marie de Sainte-Agnès.
[33] Ibidem, p. 203, lettera 114 alla madre Monique des Anges.
[34] Ibidem, p. 204, lettera 115 alla m. Marie di Sainte-Agnès.
[35] Ibidem, p. 214, lettera 125 alla M.Priora di Rouen.
[36] Ibidem, p. 205, lettera 116 alla m. Monique des Anges.
[37] Cf. Il vero Spirito, cap. 15.