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Deus absconditus, anno 89, n. 3, Luglio-Settembre 1998, pp. 57-82

 

Bernard Pitaud*

La corrispondenza tra madre Mectilde e Jean de Bernières

 

L’incontro: un’amicizia spirituale: le condizioni della corrispondenza

È durante un soggiorno in Normandia nel 1642-43, a Caen prima e poi a Barbery, che madre Mectilde ha incontrato per la prima volta Bernières, tramite Doni Quinet, abate dell’abbazia cistercense di Barbery.

È certo che il contatto con Bernières impressionò fortemente la religiosa, poiché ella rimase in relazione epistolare con lui e il suo ambiente, ossia essenzialmente con Monsieur de Roquelay, un sacerdote che era segretario di Bernières. A volte la Madre sembra scrivere indifferentemente all’uno o all’altro. Non esita a confidarsi con Roquelay. Tuttavia, quando si rivolge a lui è per non importunare Bernières che sa obe­rato di lavoro o talmente dedito alla preghiera da aver bisogno di solitudine. Roquelay le serve allora da intermediario. Ma quando vuole trattare veramente le cose della sua anima, quando ha bisogno di un consiglio importante, scrive a Bernières. Le accade di farlo anche durante i pochi anni in cui è sotto la direzione di padre Chrysostome, quan­do sa che quest’ultimo è troppo impegnato. Questo atteggiamento, che può sembrarci un po’ strano, rivela che la direzione spirituale a quell’epoca, almeno in certi casi, doveva essere praticata in maniera più elastica di oggi. Anche la concezione del segre­to era meno rigorosa, sia da parte del direttore che della persona diretta. Ai nostri gior­ni non vedremo mai, per esempio, un direttore spirituale pubblicare la biografia di uno dei suoi diretti. Eppure è quello che fece padre de Saint-Jure per Gaston de Renty pochissimo tempo dopo la morte di questi. A più riprese, nella sua corrispondenza, madre Mectilde esprime il desiderio di parlare a un direttore che sia veramente discre­to. Questo lascia intendere che a quell’epoca, quando un direttore incontrava un caso difficile o complesso, ne parlava facilmente con persone competenti. Accadeva così che lo stato spirituale di una persona diventasse oggetto di conversazioni che poteva­no oltrepassare i limiti della riservatezza. Un secolo prima, anche Teresa d’Avila si era già lamentata dell’indiscrezione dei suoi direttori. Bisogna dire, che anche lei non man­cava di rivolgersi a diversi direttori per essere illuminata sulle grazie che riceveva.

In una lettera che scriverà a Bernières nel 1651, madre Mectilde gli farà grandi raccomandazioni riguardo alla discrezione. In questa lettera non gli parla di sé, ma di una persona che aveva scritto qualcosa sull’«estasi della volontà», frutto probabilmen­te di un’esperienza spirituale: «Vi mando lo scritto dell’estasi della volontà con il divie­to di dire da chi proviene e di mostrarlo a chiunque possa riconoscerne l’autore. [La persona in questione] Vi scongiura di stare molto attento al riguardo. È importantissi­mo, perché se accadesse altrimenti la cosa genererebbe danni particolari. Sapete come Dio la guida. Bisogna seguire le sue vie a suo riguardo ed ella se lo augura ardente­mente. Starete attento, per favore». Evidentemente, non si tratta qui propriamente di segreto di direzione, ma questo breve testo è interessante per mostrare come, all’inter­no di questa rete di persone spirituali, ci si scambiavano testi ed esperienze spirituali che venivano così a trovarsi esposti ad indiscrezioni. Ciò era già intrinsecamente dan­noso, ma anche pericoloso in un tempo in cui il giansenismo era molto attivo.

Non possiamo tuttavia fare a meno di sospettare che madre Mectilde abbia molto cercato dei direttori, lei che talvolta aveva tante difficoltà ad esprimersi su ciò che vive­va. Malgrado tutto, parlava con una certa libertà della propria vita spirituale con altre persone. Bisogna dire che gli scambi di corrispondenza spirituale tra gruppetti di amici erano frequenti all’epoca. È il caso della cerchia di Bernières. Ora, gli autori di queste numerose lettere vi lasciavano necessariamente apparire qualcosa di sé, di modo che alcune lettere che potrebbero essere prese come lettere di direzione, in effetti non sono altro che condivisioni con amici dei quali ci si fida totalmente, come si direbbe oggi. Così, quando queste persone si ritrovavano, parlavano volentieri le une delle altre, generalmente certe della reciproca discrezione. Inoltre, in questi gruppetti, ci si passa­vano scritti, sia libri stampati, sia manoscritti che riferivano di esperienze spirituali o di itinerari particolari. Infine e soprattutto, i membri pregavano molto gli uni per gli altri. Si stabiliva tra loro un’autentica catena di preghiera che si estendeva facilmente ad altre persone.

Gli esempi di questi scambi abbondano negli scritti di madre Mectilde. In una let­tera a Roquelay del 17 luglio 1644, dichiara: «Vi ringrazio della carità che mi avete usata presso quella buona anima. Credete che non trascurerò di fare tutto ciò che è in mio potere. Mi sento spinta a scrivere alla santa anima che sapete per chiederle qual­che aiuto... L’allegato che mi avete rispedito proviene da una delle mie sorelle che non conoscete ancora. Non dovevate rinviarmela, perché ne posseggo una copia».

In ogni modo, la complessità degli stati spirituali di madre Mectilde, durante l’e­poca di cui ci occupiamo, avrebbe dovuto normalmente portarla ad avere un direttore con il quale poter parlare regolarmente. Questo si verificò solo durante i tre anni in cui si rivolse a padre Chrysostome. Poi considerò Bernières come il proprio direttore, ma lo incontrò molto raramente, e non ebbe, oltretutto, la libertà interiore sufficiente, fino alla morte del mistico della Normandia, e malgrado gli inviti di quest’ultimo, per aprir­si in totale fiducia a qualcun altro.

Studieremo in un primo momento il tipo di rapporto stabilitosi tra madre Mectilde e Bernières. Poi, cercheremo di cogliere meglio, attraverso la corrisponden­za, quale fu l’evoluzione spirituale della fondatrice sotto la guida di colui che, para­dossalmente, la lasciava spesso senza risposta.

Gli inizi della relazione

Certe lettere di madre Mectilde a Bernières all’inizio della loro relazione forse sono andate perse, perché troviamo due lettere di Bernières nel febbraio 1643 (almeno una, poiché l’altra non è datata, ma il contenuto indica un seguito probabilmente piut­tosto vicino alla precedente), mentre la prima lettera di madre Mectilde che possedia­mo è datata 30 giugno dello stesso anno. Niente rivela tuttavia che sia stato Bernières a prendere l’iniziativa della relazione. Comunque sia, il 2 febbraio 1643, mentre Bernières esorta madre Mectilde all’amore dell’umiliazione e testimonia il suo perso­nale desiderio di umiliarsi e di entrare nel disprezzo, le dichiara: «Per questo, mia cara sorella, io non voglio più apparire come Padre spirituale per voi; non sta a me fare l’e­sperto delle cose devote; quanto al resto, c’è molto di "natura" in tutto questo; non ne farò più nulla, a meno che voi non mi diciate di farlo. Ma state attenta alla guida di Dio su di me; sono molto imperfetto e spregevole, mentre appaio diverso tra le spose di Cristo; non sono degno di baciare la terra sulla quale camminano». Queste formule che si ritrovano spesso negli spirituali di cui si richiede la direzione, non sono espressioni convenzionali, parole di modestia più o meno sincere. Conscio dei propri limiti, Bernières mette in guardia le religiose rispetto a una fiducia accordata con troppa rapi­dità e che egli potrebbe deludere. In ogni caso, queste dichiarazioni di incapacità ci mostrano che madre Mectilde ha già chiesto a Bernières, sia esplicitamente sia affi­dandosi a lui, di esercitare un certo ruolo di guida spirituale. Non si sa bene se l’abbia chiesto solo per sé o per la piccola comunità di cui, oltretutto, non è superiora. Bernières comunque non rifiuta ma ci tiene, prima di andare più lontano, ad avvertirla dei rischi che corre e che farebbe eventualmente correre alle sue compagne.

La lettera successiva ci sorprende un po’, perché Bernières si esprime sul registro dell’amicizia spirituale: «Sono spinto ad affidarvi una commissione che vi scongiuro di eseguire fedelmente; siete la migliore amica che io possieda al mondo, almeno, così credo; siatelo nell’eseguire questa commissione: appena scoprirete che il mio cuore non sarà conforme a quello di Gesù, prendete un rasoio, apritemi il costato e strappate questo cuore miserabile». Con un’immagine violenta e cruda a cui gli spirituali del XVII secolo sono abituati, Bernières chiede quindi a madre Mectilde il servizio della correzione fraterna. E conclude la sua lettera confidandole la propria miseria ed anche il timore di essere ipocrita e che «tutti questi trasporti non siano altro che natura».

Il lettore moderno è disorientato di fronte alla complessità del rapporto che si instaura così tra l’eremita e la religiosa. Infatti, non appare ancora che si tratti di dire­zione. Non si tratta forse di una forte amicizia spirituale dalla quale madre Mectilde si aspetta molto per il proprio progresso? In ogni caso, risulta chiaro che l’incontro tra i due personaggi non è stato insignificante e che ha dato origine ad un rapporto di gran­de intensità che per madre Mectilde sconfina nella direzione spirituale. Ma si può dire che ella non consideri propriamente ancora Bernières come proprio direttore: solo qualche anno più tardi, dopo la morte di padre Chrysostome, chiederà esplicitamente all’eremita di Normandia di diventarlo.

Padre Chrysostome

II 30 giugno dello stesso anno, madre Mectilde scrive a Bernières da Parigi dove è in attesa di partire probabilmente per Saint-Maur. Ha infatti lasciato la Normandia con le sue compagne in vista di una fondazione possibile, ma ancora assai problemati­ca, nella regione parigina. La sua lettera ha come scopo quello di dare relazione del suo primo incontro con padre Chrysostome, a cui Bernières l’ha indirizzata nel momento in cui ella lasciava la Normandia. Lo chiama «Signore, mio carissimo fratello»; ben presto abolirà il «Signore». Notiamo, di sfuggita, che riserverà l’appellativo di «Fratello» anche a Roquelay a cui scrive con molta regolarità, ma che continua a chiamarlo «Signore» nell’intestazione delle lettere. Il seguito della lettera mostra che la Madre ha molto apprezzato il provinciale di Francia del Terz’Ordine di san Francesco, la cui fama di uomo spirituale era già molto diffusa. «Oh, quanto è angelico quell’uo­mo e divinizzato dai singolari effetti di una grazia molto intima che Dio versa in lui. Vorrei essere con voi per parlarne a piacimento e ammirare con voi le operazioni di Dio sulle anime elette! Quanto è mirabile Dio in tutte le cose! Ma lo ammiro soprattutto in queste anime».

Si è immediatamente aperta a lui con fiducia. «Ho avuto l’onore di vederlo e di parlargli per circa un’ora. In questo poco tempo, gli ho fatto conoscere la mia vita pas­sata, la mia vocazione e qualche sofferenza che Nostro Signore mi ha inviata qualche tempo dopo la professione». Padre Chrysostome la incoraggiò nella sua via ed accettò di dirigerla: «Mi ha promesso di prendersi cura della mia guida». Prese le distanze da alcuni pareri che le erano stati dati circa il suo stato spirituale del momento (non dice chi, ma questo prova almeno che ella aveva consultato qualcun altro): «Gli ho mostra­to alcune lettere che mi sono state scritte riguardo alla mia disposizione. Mi ha detto che non hanno nulla a che vedere con lo stato in cui sono e che poche persone aveva­no la grazia di guidare, cosa che noto per esperienza». Madre Mectilde ritiene dunque, d’accordo con padre Chrysostome, che vi sono pochi buoni direttori. Lei ne ha appena trovati due. Li utilizzerà largamente.

Il nuovo direttore le chiede immediatamente di redigere delle memorie sulla sua vita passata, indubbiamente per poterla meglio aiutare ad anche per permetterle di oggettivare ciò che ha vissuto. Infatti, fin dal 18 luglio, madre Mectilde scrive a Bernières: «Ho ricevuto le mie sentenze dal nostro santo personaggio, il quale mi fa conoscere molto chiaramente lo scarso uso che ho fatto della grazia, e come io non abbia ancora cominciato a praticare la vera virtù». Aggiunge che non può inviargli lo scritto, da un lato perché è troppo lungo, dall’altro perché contiene alcuni riferimenti che risulterebbero incomprensibili senza una spiegazione. Ma subito si riprende: «Tuttavia, se rimango qui ancora per un po’ di tempo, non potrò fare a meno di inviar-veli, perché, conoscendo la mia miseria, il mio nulla e le mie grandi cadute e infedeltà, accresciate la compassione che la vostra carità deve avere per la mia anima». In ogni caso, gli farà giungere le sue memorie: «Ho motivo di temere per la mia vita, ed ho un grande bisogno di fedeltà. Lo constaterete leggendo i miei scritti che cercherò di farvi avere con la prima diligenza. Non credo di avere tempo di copiarli, ma avrò sempre la consolazione di saperli nelle vostre mani come in un luogo segretissimo e chiuso». È chiaro che il fatto di avere, al momento, padre Chrysostome come direttore, non scal­fisce per nulla la totale fiducia accordata a Bernières, al quale continua ad aprire la pro­pria anima come se niente fosse.

1643-1644

Si sa, da una lettera del 31 marzo 1644, che Bernières ha ricevuto tutti quegli scrit­ti. Madre Mectilde gli dice infatti: «Scrissi al nostro buon fratello Monsieur Rocquelay e alla nostra buona Madre Superiora (Jourdaine de Bernières); vi dissi ieri che avete totale libertà di mostrare loro i nostri scritti, lasciando alla vostra discrezione di fare il mio nome; se non è alle due persone suddette, spero che non lo direte. Vi chiedo la gra­zia e la carità di non dire mai alcun bene di me, perché davvero non ce n’è». In questo breve testo abbiamo la conferma che all’interno dei piccoli gruppi spirituali, le espe­rienze degli uni e degli altri venivano comunicate; talvolta in forma anonima, ed è quel­lo che madre Mectilde chiede qui, salvo per ciò che riguarda Rocquelay e Jourdaine de Bernières, che possono rientrare nella confidenza. Un po’ più avanti nella lettera, madre Mectilde rinnova a Bernières la richiesta di discrezione. Ma riguardo a Rocquelay, non ha segreti, perché il 20 aprile 1644, gli scrive: «II nostro caro N. (si tratta evidentemen­te di Bernières) vi avrà mostrato le mie miserie, se le sue importanti occupazioni glielo permettono, e credo che le abbiate viste, perché non ne parlate».

Forse Bernières ha inviato direttamente a madre Mectilde il piccolo capolavoro spirituale da lui scritto «a scopo ricreativo» il 16 ottobre 1643 sulla terra di annienta­mento che aveva appena scoperto? Non è del tutto certo, perché alla fine del docu­mento, leggiamo: «Ecco, nostra Madre, come vi rendo partecipe delle mie follie per ricrearvi»; Bernières non si rivolge in questo modo a madre Mectilde, che non è prio­ra. La chiama «Mia carissima sorella». Tuttavia, il 28 novembre, ella gli scrive: «Sono quasi 4 o 5 anni che sono in possesso di una terra quasi simile a quella di cui mi fate la descrizione». E il seguito della lettera mostra che ella ha conosciuto l’intero docu­mento. Inoltre, dice: «di cui mi fate la descrizione»; quindi, Bernières glielo ha invia­to. L’ha fatto direttamente o tramite Rocquelay? Madre Mectilde ringrazia quest’ulti­mo qualche giorno prima, il 13 novembre per un «piccolo tesoro che ricevo molto cor­dialmente e che corrisponde molto bene al mio progetto e desiderio». Che si tratti del nostro testo? È possibile.

Dobbiamo dire qualche parola sul tenore del documento di Bernières. Questi spiega di aver provato grande timore della povertà. Essendo stata venduta una delle terre alle quali teneva, gli venne in mente che Nostro Signore avrebbe potuto dargli un’altra terra che egli chiama «la terra dell’annientamento». Conteneva parecchie fat­torie, quella della distruzione di sé, quella del disprezzo, quella dei dolori, quella delle aridità e degli abbandoni. Questa eredità gli proveniva, diceva, da sua moglie, la follia della croce. In tutte le fattorie in cui passeggiava con gioia, incontrava Gesù povero, disprezzato, abbandonato, morente sulla croce. Nel misurare il suo nuovo possedi­mento, scopriva quanto finora avesse ricercato se stesso, persino nelle migliori inten­zioni apostoliche. Su questa terra vi era una Chiesa, Dio stesso, contemplato nelle sue grandezze attraverso l’annientamento di Cristo. Se Cristo si è fatto povero, è stato disprezzato ed ha sofferto, egli ha divinizzato la povertà, il disprezzo e la sofferenza. Se noi vi entriamo, anche noi saremo divinizzati. Su questa terra infine vi era uno sta­gno, lo stagno della povertà in cui le anime si bagnano per acquistare la purezza, purez­za che consiste nell’essere pieni di Dio, quando si accetta di essere annientati a imma­gine di Gesù. E il documento si conclude con questa preghiera: «Mio Dio, desidero partecipare al vostro spirito di povertà, e se non lo possiedo realmente, che io l’abbia almeno interiormente con un distacco così grande da tutte le creature da considerarle, come san Paolo, spazzatura».

Nessuno dubita che questo magnifico testo sia circolato nell’ambiente di Bernières. Qualunque sia il modo in cui l’ha ricevuto, madre Mectilde lo considera come un invio personale, e risponde a Bernières sulla stessa tonalità, cosa che dimo­stra la profonda intesa esistente tra loro. Anch’essa ha acquisito questa terra «in eredità dal mio sposo quando, morendo sulla croce, me ne fece dono come di una terra in cui potrei fare la mia dimora in tutta sicurezza per il resto dei miei giorni». E continua su questo tono ameno, nel quale però si svela una profondissima riflessione spirituale: afferma che le sue fattorie non sono assolutamente disposte nello stesso modo e gli pro­pone qualche scambio, perché egli è più coraggioso di lei nel vivere certe situazioni. Questa lettera rivela la comunione di pensiero che si era già stabilita tra i due interlo­cutori.

Lo scambio prosegue nella lettera seguente, datata 1 dicembre. Bernières le ha scritto il 20 novembre e l’ha, ella dice, «obbligata così fortemente che non posso esprimervi altri sentimenti se non che prego Dio affinché vi renda degno di una perpetua unione e che vi onori delle sue adorabili croci». Non c’è dubbio che Bernières abbia continuato le sue confidenze le quali provocano, di rimando, quelle di madre Mectilde, cosa che lei non manca di fare. E interessante notare qui che a proposito dell’unione e delle croci di cui ha appena parlato, aggiunge: «Sono i sacri tesori che potete possede­re sulla terra». Ella rimane evidentemente segnata dal documento del 16 ottobre nel quale Bernières stesso parlava del tesoro scoperto nella terra dell’annientamento.

Verso la fine di questa lettera, madre Mectilde stabilisce da parte sua le regole della corrispondenza con Bernières: «Riceverò quindi le vostre lettere quando la dispo­nibilità vi permetterà di scrivermi e senza darvi pena (ossia senza che questo vi causi inconvenienti). Vi supplico di non perderne occasione, benché durante questo santo tempo, rimarrò in silenzio secondo la santa abitudine della vita religiosa». Un po’ più avanti, aggiunge: «Continuate il vostro buon zelo per il progresso della mia anima, mi pare che Dio vi obblighi a questo con il suo santo amore, e poiché mi ha fatto l’onore di riscattarmi con il suo sangue prezioso e la mia anima non è inferiore a un soffio della Divinità. Questi motivi sono sufficienti per far continuare la vostra carità verso una povera creatura...». È chiaro: supplica Bernières di scriverle, ma lei stessa rimarrà in silenzio fino a che egli non si manifesti.

Ora, le tre lettere seguenti che possediamo sono indirizzate a Rocquelay invitato vivamente per le stesse ragioni a scriverle. Nella terza, datata 25 gennaio 1644, pone la domanda: «la nostra santa anima è sempre in silenzio?». Bernières quindi non le ha scritto. Tuttavia, la lettera successiva, datata 15 febbraio, prova che Bernières ha occu­pazioni diverse dalla preghiera; è trattenuto dagli affari delle missioni in Canada nelle quali è impegnato. Per questa ragione ella esita a scrivergli e passa per il tramite di Rocquelay. Se si rivolge direttamente a lui, è perché ha ricevuto una sua lettera: «Mi avete grandemente consolata con la vostra ultima», gli dice.

Le cose si complicano per il fatto che anche padre Chrysostome pare molto occu­pato: «essendo oberato di incombenze, non oso importunarlo»; e di colpo, si volge nuovamente verso Bernières: «Di modo che supplico la vostra carità di accettare che io mi rivolga qualche volta a voi per riceverne ciò che richiede la mia necessità e ciò che la gloria di un Dio vi obbliga a darmi». Espressioni come queste, mostrano che, irresistibilmente, ritorna a Bernières quando ne ha l’occasione, occasione che cerca d’altra parte di creare parlando del sovraccarico di lavoro di padre Chrysostome. Un’altra lettera datata 31 marzo, è ugualmente molto esplicita al riguardo: «...Spero molto dalla vostra carità; siate semplice con me quanto io lo sono con voi e non respin­gete le mie umili preghiere, dopo che avrete riconosciuto le mie indegnità. Attraverso la conoscenza delle mie necessità sarete doppiamente obbligato a soccorrermi, la carità perfetta richiede questo da voi».

Bisogna aspettare il 18 agosto per trovare una nuova lettera a Bernières. Da feb­braio, ella ha scritto parecchie volte a Rocquelay ma, fedele all’impegno preso, non ha importunato «il caro angelo». Avendo ricevuto una lettera da lui, si ritiene autorizzata a scrivergli di nuovo, e questa lettera inizia con un indirizzo che colpisce. Mentre fino a questo momento l’ha spesso supplicato di non privarla dei suoi consigli, dichiara: «Mi pare di avervi supplicato di non darvi pena a scrivermi per testimoniarmi il santo affetto che avete per me». È stata indubbiamente toccata da quanto le ha scritto Bernières. E continua: «Credete, mio amatissimo fratello, che gli effetti della vostra santa carità verso di me sono estremamente mirabili, e non sono in grado di compren­dere come Nostro Signore vi dia una così grande bontà per una povera peccatrice; vuole convertirmi per mezzo vostro, ne ho le prove sicure perché grazie agli aiuti che mi avete dati e procurati, sono uscita da certi stati interiori a cui le mie imperfezioni mi tenevano legata». Senza dirlo, non considera forse Bernières come suo vero direttore?

Le cinque lettere seguenti sono indirizzate a Rocquelay. Cominciamo ad abituar­ci a questo ritmo: 4 o 5 lettere a Rocquelay, una a Bernières. Con Rocquelay, non ha lo stesso «contratto». Tuttavia, bisogna notare che ha nei suoi riguardi lo stesso atteggia­mento di riserva: «Sia benedetta la santa Provvidenza che oggi mi ha consolata con le vostre amate lettere che attendevo con impazienza nel desiderio di raccogliere il cuore nell’amore del mio tutto con le sante conoscenze che la vostra carità mi comunica. Non so esprimervi come mi è parso lungo il vostro silenzio, e vi supplico intensamente, senza che veniate meno alla guida divina, di non essere così ligio ad un silenzio che mi sarebbe pregiudizievole». Con il segretario di Bernières, non anticipa, e attende la risposta per scrivere di nuovo. Il testo appena citato è estratto da una lettera datata 21 ottobre; la precedente diretta a Rocquelay era del 19 agosto. Circa due mesi, e questo ci da l’idea di un ritmo che madre Mectilde riteneva troppo distanziato.

Ma ciò che è più interessante in questa lettera, sono le ragioni che madre Mectilde adduce riguardo al proprio silenzio. Sono di due tipi: anzitutto Rocquelay era in ritiro, senza d’altra parte che si sapesse di che tipo di ritiro si trattasse e quale ne fosse la durata. Inoltre, Monsieur de Barbery le ha scritto che era «troppo prolissa» nelle sue lettere, «specialmente - dice - in quelle che vi scrivevo... e che in questo agivo contro la grazia; questo ha frenato un po’ la mia penna, fino a che non fossi assi­curata diversamente...». E sottolinea con apparente ingenuità: «non so dove le aveva viste». Questo piccolo incidente, senza alcuna conseguenza sui rapporti tra madre Mectilde e Rocquelay, mostra bene i numerosi scambi esistenti tra tutte queste perso­ne e che portavano talvolta alle indiscrezioni. E termina così la sua lettera: «Vi suppli­co che il nostro caro A. «Ange, Angelo, ossia Bernières« si ricordi qualche volta davan­ti a Dio della sua povera e indegna sorella». È però consolata in anticipo dall’idea che Bernières forse potrebbe recarsi a Parigi e che potrà incontrarlo; se ci fosse anche Rocquelay, la sua gioia sarebbe al colmo: «Parleremo apertamente di tutto quello che amiamo, di colui nell’amore del quale, io sono,... etc...».

1645

II 3 gennaio 1645, in una nuova lettera a Rocquelay che ella «sveglia» da parte di Gesù Bambino in occasione dei regali, sembra stavolta rassegnata al silenzio pro­lungato di Bernières: «Vi supplico di rassicurare il nostro caro fratello A. che ritengo giusto il suo silenzio quando lo occupano le cose di Dio». Anche verso Rocquelay si fa meno insistente: «se potete scrivermi, ne sarei molto felice, ma vi supplico in que­sta come in tutte le altre cose, seguite l’ordine e la guida dello Spirito Santo».

Purtroppo, l’incontro tanto desiderato con Bernières non ebbe luogo, perché sol­tanto pochi giorni prima del viaggio di quest’ultimo con il suo fedele compagno, ella dovette partire per Rambervillers. Ora prevede - ed è ciò che scrive a Rocquelay il 29 gennaio - che non potrà rivederli mai più, se rimarrà in Lorena. Tuttavia, se ritorna, spera che saranno ancora nella capitale. Una nuova lettera a Rocquelay in febbraio, ridice il suo dolore per aver mancato questo incontro e l’accettazione di questa «cara privazione».

Il 26 giugno 1645, madre Mectilde è rientrata a Saint-Maur e contatta Bernières riguardo ad una questione i cui termini sfuggono al lettore. Sono evidentemente in corso dei progetti riguardanti la piccola comunità. Di cosa si tratta esattamente? Impossibile dirlo in base alla sola lettura della lettera.

La lettera successiva, datata 30 giugno, porta qualche informazione: è stato elaborato un progetto tra Bernières e le cinque religiose, per fissare queste in un «santo ritiro», probabilmente abbastanza austero, perché madre Mectilde ritiene opportuno rispondere delle sue compagne che hanno «cuori generosi e penetrati del santo amore», rimanendo del tutto riservata circa se stessa, perché si ritiene indegna. Il luogo di tale ritiro potrebbe essere quel Saint-Firmin cui si accenna brevemente? Nella lettera suc­cessiva, madre Mectilde parla di Monsieur di Saint-Firmin, un amico di Bernières. Questa lettera, datata 4 luglio, fa menzione degli insuccessi finanziari di Bernières: «È in questo momento che sarete il nostro vero Padre nella povertà e nell’abiezione, per­ché mi pare che non vi possa essere l’una senza l’altra». Ed ecco che madre Mectilde si mette a consigliare Bernières come farebbe un direttore. Abbiamo già osservato que­sta tendenza in lei. Qui, si esprime senza riserva: «Se egli vi riduce a vivere di elemo­sina, sarà per consumare la perfezione di essere più conforme a Gesù povero, disprez­zato e annientato... è una grande grazia che Dio fa ad un’anima che riduce a mendica­re e senza appoggio all’infuori della sua amorosa Provvidenza. È abbastanza miseri­cordioso per farvi entrare in questo stato. Un po’ di pazienza e ne vedremo i frutti». Cosa motiva il tono di questa lettera? Ha forse notato dello scoraggi amento in Bernières? «Vi confesso che la lettura della vostra lettera mi ha molto stupita. Dio lavo­ra quando noi non ci pensiamo. Facciamo tutto il possibile con puro e santo abbando­no alla guida di Dio». È probabile che madre Mectilde abbia sentito che doveva soste­nere Bernières in una prova molto dolorosa nella quale egli è stato piuttosto scosso. Ma nella lettera successiva, datata 30 luglio, torna ad essere diretta.

Le lettere di questo periodo sono brevi, parlano tutte del «nostro affare«, ossia, probabilmente dell’eventuale trasferimento della piccola comunità, ma madre Mectilde manifesta in esse pochi elementi che riguardano la sua vita interiore, probabilmente perché ha occasione di parlare di tanto in tanto con Bernières che si trova ancora a Parigi. Il 5 novembre infatti, gli scrive: «Non saprei esprimervi la mortificazione che sento ultimamente nell’essere privata del colloquio con voi». Ciò dice chiaramente che ogni tanto essi si incontravano.

L’11 novembre siamo informati che Bernières sta per lasciare Parigi. Apparentemente, andrà a ritirarsi a qualche ora dalla capitale per un mese, per un riti­ro con padre Chrysostome. Almeno, è quanto afferma una lettera a Rocquelay scritta probabilmente in dicembre. Madre Mectilde scrive a Bernières prima della sua parten­za: «È dunque oggi che entro nella privazione della vostra cara presenza e devo ado­rare la divina Provvidenza che dispone così, lasciandovi andare volentieri e con umile sottomissione laddove vi chiama, perché il suo santo amore ci ha uniti per l’eternità, andate presto ovunque dove la gloria vi chiama; non vi perderò di vista davanti alla sua maestà, ma nel nome di Gesù e della sua santa Madre, ricordatevi qualche volta di pre­gare Dio per me». La comunione che li unisce porta la religiosa a rinunciare alla pre­senza del direttore perché la gloria di Dio lo chiama altrove. Vuole ringraziarlo, ma alla fine non si dilunga perché «Dio è Dio e... lui solo vi basta». Gli chiede semplicemen­te di non dimenticarla e di farle giungere per quanto può i suoi scritti, perché essi pro­ducono in lei «buoni effetti», e «particolarmente le vostre disposizioni presenti, quan­do la carità vi spinge a scrivermene qualcosa». Siamo qui nel campo dello scambio spi­rituale. Chiede poi a Bernières di raccomandarla, prima di partire, a padre Chrysostome: «Obbligatelo con le vostre intime preghiere ad essere sempre il mio padre e il mio caro direttore, perché la bontà di Dio me l’ha dato attraverso di voi». Chrysostome rimane quindi il direttore ufficiale, ma colui al quale è profondamente legata spiritualmente, è Bernières: «Accettate che vi dica: "Trahe me post te"; voglio seguirvi, anche se fosse lontano mille leghe».

La lettera che segue, datata 15 novembre, lo conferma: «Ditemi, vi prego, in con­fidenza e in vera semplicità ciò che prova al presente la vostra anima, ciò che soffre e ciò che riceve da quell’influsso di amore che sperimenta, non dissimulate, parlate sem­plicemente». Fa questa richiesta ancor più volentieri perché è padre Chrysostome a suggerirgliela: «II santo personaggio che mi avete dato come guida, mi ordina di rivol­germi a voi per ricevere qualche aiuto nel mio dolore». Ma, lo si vede, il rapporto tende più alla condivisione spirituale.

Poiché Bernières è assente, riprende il rapporto con Rocquelay di cui si è parla­to poco in questo periodo. Gli scrive due lettere alla fine dell’anno 1645 nelle quali si apre a lui con molta semplicità.

1646: la morte di padre Chrysostome

Le lettere dell’inizio dell’anno 1646 sono segnate dalla preoccupazione per la malattia di padre Chrysostome. Allo stesso modo, madre Mectilde si stupisce che Bernières le abbia risposto in modo così breve quando lei gli ha manifestato alcuni suoi stati spirituali complessi. Ma ecco che anche Bernières a sua volta è malato e madre Mectilde si prepara ad essere separata dai due personaggi che l’aiutano maggiormente nella sua vita spirituale. Una lettera a Rocquelay del 16 febbraio 1646 ci riferisce delle sue disposizioni di abbandono. Viene rassicurata il 28 febbraio, lo testimonia una lette­ra a Jourdaine de Bernières, sia riguardo a Bernières che a Chrysostome. La salute del primo infatti si ristabilirà, ma per il secondo si tratterà solo di una remissione; il 26 marzo, una lettera di madre Mectilde ci rivela che padre Chrysostome è alla fine. Ha ricevuto l’Estrema Unzione. Due giorni dopo, il 28 marzo, madre Mectilde annuncia a Bernières la morte del francescano. Ne è tutta sconvolta: «sono inconsolabile, e benché la mia gioia più cara sia nella volontà di Dio, la sua maestà permette che io senta que­sta perdita fino in fondo; mi sento così priva di appoggio da non sapervelo esprimere». È chiaro che i legami spirituali con Bernières non impedivano una grande comunione con Chrysostome che doveva aiutarla molto con la sua direzione. Molto in fretta, madre Mectilde si volge nuovamente a Bernières: «Carissimo fratello, abbiate pietà di me, e per l’amore che questo santo Padre vi portava, siate per me in questo mondo ciò che egli era». D’altra parte, Chrysostome ha reso più profondo il legame esistente tra lei e Bernières, dopo la sua morte quindi, entrambi devono essere fedeli a questo legame.

La lettera che segue, del 10 aprile, è ancora più esplicita: «La vostra umiltà vi ha fatto dire ciò che non dovete pensare, mio carissimo fratello; a me che sono la stessa debolezza e povertà, è permesso ricorrere a voi e il nostro santo Padre me l’ha ordina­to nella sua ultima visita, di modo che voi sarete d’ora in avanti sia il mio Padre che il mio fratello carissimo, sperando che il santo amore che ci unisce vi darà sufficiente carità per aiutarmi». Bernières probabilmente ha mostrato esitazione di fronte alla sua prima richiesta; lei insiste appoggiandosi sullo stesso Chrysostome. Il 16 aprile, espri­me tutto il ruolo che quest’ultimo occupava nella sua vita; non piange solo qualcuno che la aiutava molto; rimpiange un uomo che considerava un grandissimo spirituale. Per lei si tratta ora di «conservare tra noi il suo spirito e le sue altissime massime di perfezione che ci insegnava a praticare». È comunque certa che il padre «è assorbito in Dio in modo ineffabile e che mi da la gioia della sua felicità». Il suo problema è che ora non può ottenere i suoi scritti che i francescani conservano perché sospettano che contengano molti errori. Tuttavia, come Bernières, riceve degli aiuti spirituali che interpreta come provenienti da Chrysostome: «Volendo partecipare allo spirito di que­sto santo Padre, mi pareva che Gesù Cristo mi riempisse del suo, e questo ebbe buoni effetti, almeno mi pare».

Tutto questo periodo è perciò molto occupato dalle conseguenze materiali (riguar­danti gli scritti), psicologiche e spirituali della morte di padre Chrysostome. Inoltre, madre Mectilde doveva esser presa da forti preoccupazioni, perché le rare lettere che indirizza a Bernières fino a luglio sono brevi; non parla di sé se non in modo generico. Solo il 7 luglio ha tempo di prendere la penna un po’ a lungo. Ma lo fa con molta diffi­coltà, perché si trova in uno stato spirituale che le impedisce di comunicare con l’ester­no. Riesce comunque ad esprimere ciò che vive in modo piuttosto breve ma chiaro.

Bernières risponde, lo testimonia la lettera di madre Mectilde datata 28 luglio ed anche quella del 31 agosto. Anche se non possediamo il testo delle risposte, è chiaro che lo scambio che si instaura tra i due si situa a livello della direzione spirituale. Parla dei suoi stati, chiede consiglio.

Durante questo periodo, abbiamo poche lettere indirizzare a Rocquelay, cosa che ben si comprende, perché la corrispondenza con Bernières è più frequente e regolare. Tuttavia, fin dal 5 ottobre, madre Mectilde tira il segnale d’allarme presso il devoto segretario: «il vostro silenzio è molto grande, e mi chiedo preoccupata se il nostro caro fratello M. de B. ha ricevuto le nostre lettere. Mi pare che voi e lui cominciate ad abbandonare la vostra povera sorella...». Riprende quindi delle abitudini che aveva un po’ perse; il silenzio di Bernières la spinge a bussare alla porta di Rocquelay.

Ma tramite una lettera del 23 ottobre, sappiamo che ha ricevuto parecchie rispo­ste da Bernières, cosa che le permette di scrivere nuovamente. Questo testo è molto importante per il suo contenuto, perché madre Mectilde espone lungamente lo stato spirituale in cui si trova, stato di crescente passività. Ma un dettaglio ci informa sul modo di dirigere di Bernières, almeno con madre Mectilde. Egli risponde ad alcune domande che lei gli pone, si esprime riguardo a ciò che lei gli confida di sé. Ma parla anche di se stesso: «La santa disposizione in cui siete mi attira con voi in un totale distacco, e considerando l’abbondanza delle divine misericordie in voi, rimango nel­l’ammirazione e in un desiderio di lodarne e ringraziarne eternamente Dio; non saprei fare altro per le persone che amo». Il rapporto di direzione non elimina in Bernières la condivisione fraterna. Questo si capisce dal fatto che egli è abituato da lungo tempo a un certo tipo di scambio con la sua diretta e che non modifica le proprie abitudini. Questo atteggiamento conferma d’altronde la richiesta fattagli da madre Mectilde: «Sarete d’ora in avanti il mio Padre e il mio Fratello carissimo».

Una lettera a Bernières datata 6 novembre parla della richiesta che le è stata appe­na fatta di diventare superiora del monastero di Notre-Dame-de-Bon-Secours di Caen; questo monastero era una filiale dell’abbazia di Montvilliers. Madre Mectilde si preoc­cupa delle sue sorelle che le ripugna abbandonare, visto l’affetto che esse hanno per lei. D’altra parte, benché si rimetta alla volontà di Dio che si esprimerà attraverso il pare­re di Bernières, non cessa di affermare che prova «grande ripugnanza per il superiorato». Quattro giorni dopo, il 10 novembre, ripete a Bernières le sue preoccupazioni; chiede spiegazioni: perché c’è bisogno di una superiora? È nominata a vita? «Lascio tutto nelle vostre mani - gli dice - ma vi dirò di sfuggita che spero che ciò non rie­sca...amo mille volte di più un angolino nel mio stato di abiezione che tutte le abbazie di Francia. Mi pare di non poter ricevere in questo mondo afflizione più grande che imbattermi in qualche carica».

Il 17 novembre, è Rocquelay a diventare il confidente delle sue reticenze come pure della sua profonda disponibilità alla volontà di Dio. Ma l’occasione della lettera è l’invio fattole dei quaderni di padre Chrysostome sulla "Santa Abiezione" e che potrà far stampare.

Il 14 dicembre, Bernières riceve una lunghissima lettera sullo stesso tono. La disponibilità è totale e la pace interiore grandissima, ma restano degli ostacoli. Non rie­sce a vedersi superiora, né a Caen né nel quartiere.Saint-Germain in cui il parroco di Saint-Sulpice, Monsieur Olier, le propone di mettersi a capo del monastero delle Figlie di Nostra Signora di Liesse. Si preoccupa inoltre per le sue sorelle di Saint-Maur: il rifugio previsto sarebbe stato disponibile? Si preoccupa pure per la casa di Rambervillers la cui situazione rimane precaria e le cui responsabili paiono incapaci di prendere una decisione netta. Attraverso tutte queste incertezze, il suo orientamento profondo non è per nulla rimesso in discussione: «Sto bene ovunque, a Saint-Maur come a Rambervillers, e purché Dio rimanga in me e mi sottragga e mi preservi dal fra­stuono, tutti i posti, per la sua grazia, mi sono indifferenti». E ripete a Bernières il biso­gno che ha di ricevere i suoi consigli illuminati: «Quanto a me, mio carissimo fratello, vi sono debitrice per la più breve delle vostre lettere che la vostra bontà si prende pena di scrivermi, e mi da un beneficio interiore ed una consolazione più grande di quella che avrei se mi donaste degli imperi».

1647: superiora delle Benedettine di Caen

È indirizzata a madre Mectilde una lettera datata semplicemente dall’editore 1647, in cui Bernières dichiara: «L’essere attenti a ciò che siamo, a ciò che faremo, a ciò che diverremo, al succedere di questa o di quell’altra cosa, non può essere compa­tibile con il perfetto abbandono, che rende l’anima tutta semplice, per essere tutta occu­pata a non occuparsi d’altro che di Dio solo». Ha forse trovato che madre Mectilde, nonostante la sua profonda disponibilità, fosse troppo preoccupata per le ipotesi e le congetture e che dovesse liberarsi ancora dalle preoccupazioni? È impossibile dirlo, perché non si sa neppure a chi sia indirizzata questa lettera, né la sua data precisa.

Il 12 gennaio 1647 Bernières scrive a una religiosa riguardo a una malattia che ha appena superato, mentre si trovava a Caen, e durante la quale ha sperimentato la propria impotenza, il proprio nulla, l’incapacità di raggiungere Dio. Di nuovo qui pur­troppo non si sa a chi si rivolga Bernières, ma queste poche pagine rivelano bene, se ce ne fosse bisogno, il modo in cui procedeva con gli intimi: si esprimeva con schiet­tezza riguardo a se stesso. Questo direttore non esitava quindi a esporsi, ma certamen­te lo faceva solo con quelli con cui aveva un legame di fraternità. Questa lettera è forse indirizzata a madre Mectilde? Il 18 gennaio, la madre risponde ad una lettera di Bernières che le ha parlato della propria malattia. Con tutta libertà, gli dichiara: «Dateci qualche volta vostre notizie senza scomodarvi, e [parlateci] dello stato della vostra malattia; temo che essa possa strapparvi [a noi] come nostro buon Padre dopo molta sofferenza. Ahimé, se questo succedesse, mi troverei molto povera di grandi amici; ma se Dio lo vuole, bene, vi sacrifico. Egli non vede l’ora di vedermi tutta sola, senza aiuto e senza appoggi se non Dio solo nel quale mi riposo». D’altra parte, in que­sta lettera, ella esprime le reazioni negative delle superiore di Rambervillers quanto al progetto di Caen e il loro desiderio di farla tornare in Lorena.

In un’altra lettera dello stesso anno, Bernières fa sapere ad una persona di fiducia di cui si ignora sempre l’identità i propri scrupoli di direttore: «Vi supplico di valutare un po’ davanti a Dio, per sapere se, con l’intento di condurre una vita disprezzata, abiet­ta e nascosta, io non debba cessare di dare consigli spirituali ad alcune persone che tal­volta me ne chiedono. Ho avuto grande ripugnanza a farlo, da quando Nostro Signore mi ha fatto conoscere un po’ me stesso, e per dirla sinceramente, non ne sono capace, e temo che ciò serva soltanto a mantenere una buona opinione che si potrebbe avere a mio riguardo, più lusinghiera di quanto io non meriti». Ma aggiunge subito: «Voi e N... ne sarete sempre esclusi, perché non vi è nulla di nascosto tra noi, se non che io non svelo abbastanza le mie miserie». Evidentemente, si vorrebbe che madre Mectilde fosse stata la destinataria di questa lettera o almeno che fosse l’altra persona di cui si parla e che potrà sempre beneficiare dei consigli di Bernières. In ogni caso, è chiaro che a que­st’ultimo ripugna la direzione spirituale per umiltà e per il desiderio di condurre una vita sempre più nascosta e umile e che, d’altra parte, con le persone alle quali si rivolge in questa lettera, la direzione spirituale è accompagnata da scambi fraterni.

Il 15 febbraio, Bernières scrive a madre Mectilde da Caen, dove è rientrato dopo la sua malattia. Siamo sicuri che questa lettera sia indirizzata a madre Mectilde perché è una risposta ad una lunga lettera ricevuta da Bernières, scritta il 14 dicembre. Ora, sappiamo che madre Mectilde ha scritto a lungo in questa data e d’altronde il contenu­to della lettera non lascia spazio a dubbi. La lettera verte anzitutto sull’obbedienza che madre Mectilde ci tiene ad avere dalle sue superiore della Lorena e che Bernières approva. Poi, risponde a confidenze che ella gli ha fatto il 14 dicembre sull’ascesi alla quale si dedica e cerca di moderarla. Poi, le dice che desidererebbe che lei fosse vici­na a lui per poter parlare con lei sul pensiero di padre Chrysostome: «Non cesserete mai di essere sempre la mia carissima sorella, perché Dio ci ha uniti così strettamente da farci figli di uno stesso Padre, e di uno così perfetto in ogni sorta di virtù. Sappiate bene che il suo solo ricordo rimette la mia anima alla presenza di Dio quando è dissi­pata, ed anima il suo coraggio a lavorare vigorosamente alla buona virtù». La presen­za di padre Chrysostome scomparso rimane quindi molto intensa e serve da legame tra i due corrispondenti.

Una lettera di madre Mectilde datata 16 febbraio risuona sullo stesso tono. Dopo aver espresso che il suo ritorno a Rambervillers gli appare sempre più ineluttabile e che la prospettiva del superiorato di Caen di conseguenza si allontana progressivamente, ella confida allo stesso Bernières che malgrado le sue reticenze, il fatto di beneficiare più facilmente dei suoi consigli le avrebbe fatto accettare il trasferimento in Normandia; Bernières infatti è depositario della grazia e dello spirito di padre Chrysostome, ed è quindi il più adatto a condurla sulla strada iniziata con il Padre francescano. La Madre è incerta soprattutto riguardo alle pratiche di ascesi. Bernières l’ha già messa in guardia contro gli eccessi su questo punto in una lettera precedente. Pare che padre Chrysostome l’avesse impegnata su una via molto esigente sulla quale lei ha continuato. Ma la sua salute ne ha risentito e il suo entourage l’ha costretta a moderarsi. In questo contesto dice a Bernières: «Seguirò in tutto il vostro parere, perché voi avete buona parte alla gra­zia e allo spirito del nostro buon Padre, ed è ciò che mi faceva accettare più volentieri il nostro risiedere a Caen. Questo degno Padre mi ha lasciata in un inizio che chiede di essere coltivato con la continuazione delle sue massime e dei suoi sentimenti, ed io pen­savo di ricevere questa grazia dalla vostra carità, se il buon Dio mi avesse avvicinata a voi, ma poiché non lo vuole, la sua santa volontà sia fatta».

Queste parole ci fanno cogliere anzitutto la complessità dei sentimenti di madre Mectilde. Ha espresso una feroce opposizione a diventare superiora del monastero di Caen. Tuttavia, la prospettiva di essere vicina al suo direttore le farebbe anche accetta­re la carica, perché si sente ancora incerta sulle vie della santità. Sa che ha bisogno di essere guidata e non vede chi altri all’infuori di Bernières potrebbe esserle davvero utile, lui che lei chiama: «mio carissimo Fratello e Padre della mia anima», indicando così in queste due espressioni i due stati successivi del loro rapporto ma che ormai sus­sistono insieme.

Ma vediamo apparire soprattutto in questa lettera una certa concezione della dire­zione spirituale abbastanza frequente nel XVII secolo: il direttore è una sorta di inizia­tore mistico allo spirito del quale i suoi diretti sono partecipi. Qui, Bernières, diretto egli stesso da Chrysostome, partecipa della sua grazia e del suo spirito. Immediatamente, egli è in grado di proseguire in madre Mectilde il lavoro intrapreso con il buon Padre. Non bisogna dimenticare che siamo in un’epoca molto segnata dal pensiero dello PseudoDionigi, per il quale la grazia si comunica fra gli esseri per comu­nicazione gerarchica. Quando un uomo si rivela un grande direttore, è considerato come iniziatore spirituale, come una fonte di grazia. Tale fu, ad esempio, padre de Condren a cui, per lungo tempo dopo la sua morte, Monsieur Olier non cessa di rife­rirsi continuamente chiamandolo "il Beato Padre". In ogni caso, il 26 febbraio, madre Mectilde che si rallegra di una possibile visita a Parigi di Bernières che questi le ha lasciato intravedere, gli dichiara: «Sarà in questo tempo del caro incontro che rinnove­remo tutte le sante conversazioni del nostro beato Padre, e la vostra carità ci fortifi­cherà per praticare fedelmente le sue massime e i suoi consigli». Qualche tempo dopo, scriverà a Rocquelay che farà un ritiro durante la settimana santa, «senza altro diretto­re che le massime del nostro beato padre, che leggerò e mediterò secondo la grazia che me ne sarà data».

Bernières risponde a madre Mectilde in modo abbastanza frequente perché, sem­pre il 26 febbraio, ella gli parla di tre lettere che ha recentemente ricevute e che le sono state molto utili per la vita spirituale.

Durante questo tempo continua la corrispondenza con Jourdaine de Bernières e con Rocquelay. Una breve annotazione apparentemente priva di importanza in una let­tera alla prima, il 27 febbraio, ci informa di alcune pratiche che abbiamo già evocate e che ci mostrano una pratica della discrezione molto diversa da quella odierna: «Mia carissima sorella - dichiara madre Mectilde alla sorella di Bernières - quali discorsi vi fa mai il nostro buon padre sulle mie miserie; io gliele mando semplicemente per muo­vere lui, e anche voi, a compassione per le mie infedeltà che sono estreme». Ciò signi­fica che Bernières ha parlato a sua sorella delle confidenze di madre Mectilde, benché sia ufficialmente da lui diretta. E madre Jourdaine non ha considerato come indiscre­zione evocare queste all’interessata stessa. Questa, d’altra parte, non se la prende a male. Al contrario, sembra ritenere che il suo direttore sia stato troppo lusinghiero nei suoi riguardi e rincara la dose per manifestare bene la propria miseria.

Benché molto più frequenti da quando è diventato suo direttore, le lettere di Bernières non erano regolari, da un lato per le sue numerose attività, dall’altro per il fatto che in alcuni periodi egli si ritirava completamente nel silenzio: «Le vostre care lettere del 24 dello scorso mese - scrive madre Mectilde il 3 maggio - hanno molto con­solato la mia anima. Non osavo interrompere il vostro silenzio perché avevo appreso che eravate nelle gioie del divino Sposo. È ciò che mi ha fatto restare nel rispetto ai piedi di Gesù Cristo, soffrendo per suo amore la privazione delle vostre amate notizie, perché era questo il suo beneplacito, deliziandomi di sapervi tutto occupato in lui e di lui». E al riguardo dell’affare di Caen, su cui le superiore della Lorena sembrano improvvisamente meglio disposte: «Mi avreste molto consolata scrivendomi i vostri pensieri con libertà. Credete che Nostro Signore mi insegna a camminare senza appog­gio, perché mi pare che vi abbia dato qualche ispirazione a rimanere in silenzio».

Durante il mese di maggio 1647 fu presa la decisione che madre Mectilde diven­tasse superiora del monastero delle benedettine di Caen. In parecchie lettere a Bernières, ella dichiara ancora la propria ripugnanza nell’esercitare questa carica, ripu­gnanza temperata solo dal fatto di trovarsi vicina al suo direttore: «non vi scrivo nulla dei sentimenti della mia anima e dato che sono più che mai in grande sacrificio, spero di farvene il racconto a viva voce, poiché conosco manifestamente che è volontà di Dio che io abbia per qualche tempo l’onore e la cara consolazione della vostra presenza».

Bernières, dal canto suo, in una lettera datata 15 giugno, si rallegra della venuta di madre Mectilde: «II mio cuore si rallegra della disposizione divina in questo even­to. Preparatevi a un rinnovamento di grazia secondo lo spirito del nostro buon Padre, pregherò che ce lo doni... Infine, tutta la mia gioia è che qui possiate essere crocifissa, è il bene che desidero per voi; dovete quindi disporvi e prepararvi a condurre una vita tutta colma di grazia, mentre sarete da noi. Comincerò quindi volentieri, perciò venite presto, affinché andiamo tutti insieme a grandi passi nelle vie del Verbo Incarnato, unico oggetto del nostro amore. Qui godrete della solitudine quando vorrete, e trove­rete il nostro caro Padre. Coraggio, poiché troverete qui delle persone che hanno il suo spirito; quanto a me, sperimento molto aiuto da lui, al punto che immagino che egli conversi invisibilmente tra noi. Non mancate di recarvi a visitare la sua tomba prima di partire». Bernières si aspetta quindi dalla venuta di madre Mectilde un rinnovamen­to reciproco nella grazia, rinnovamento causato dalle loro conversazioni nello spirito di padre Chrysostome.

L’arrivo di madre Mectilde al monastero delle Benedettine di Caen avvenne alla fine del mese di giugno 1647. Da qual momento la corrispondenza tra lei e Bernières si dirada notevolmente. Non ha quasi più bisogno di scrivere perché può vederlo rego­larmente. Le lettere sono motivate da una malattia o da un’assenza prolungata di Bernières. Tra giugno e la fine dell’anno 1647, abbiamo solo due lettere di madre Mectilde a Bernières: una in agosto, una in dicembre. Le lettere di Bernières, sono ugualmente molto rare. Il 1° febbraio 1647, le scrive una parola perché è stato impos­sibilitato a recarsi da lei per circostanze esterne. Notiamo, in poche righe, una rifles­sione sul senso della propria incapacità: «Tutto ciò che mi stupisce, è che voi vi sen­tiate aiutata da me che sono quello che Dio sa».

1648

Una lettera scritta da Bernières e datata semplicemente 1648, senza altra indica­zione e sulla quale ritorneremo più avanti perché comporta importanti riflessioni sulla vita spirituale, particolarmente sull’orazione, parla forse di madre Mectilde. Non si può tuttavia affermarlo con certezza. Bernières vi dichiara che ha «comunicato con una grande serva di Dio», Questa, «contrariamente all’ordinario, aveva grande facilità a parlargli della propria interiorità», e aggiunge: «Certamente si impara molto con un’a­nima di grazia e di esperienza, con cui vi è simpatia». Bernières, direttore spirituale, è un’anima di ascolto.

La corrispondenza riprende alla fine del mese di giugno 1648. Bernières infatti si trova a Parigi e il suo soggiorno nella capitale si prolunga più del previsto: «E’ una buona mortificazione per tutti i nostri amici, e per me in particolare, essa mi è tanto più sensibile quanto è grande la necessità che ho del vostro aiuto», scrive madre Mectilde il 25 giugno. Il 19 agosto, insiste con maggior convinzione, avendo saputo che Bernières è stato ammalato: «Ritornate molto presto, vi supplico, abbiamo bisogno di voi perché ci aiutiate nella nostra piccola via».

Seguono alcune lettere così sino al dicembre 1648. Evocano le risposte di Bernières. Evidentemente, questo scambio di corrispondenza è più uno scambio spiri­tuale che una direzione in senso stretto. Bernières si trova in uno stato di silenzio inte­riore su cui si apre con madre Mectilde che trae grandissimo vantaggio da queste con­fidenze: «Perdetevi, fratello carissimo, e fratello davvero caro, e lasciatevi consumare nel divino silenzio in cui lo Spirito Santo vi attira; ma vi scongiuro, non osservatelo verso di me, perché Nostro Signore non vuole che abbiate qualche riserva o ritegno con la vostra povera e indegna sorella. Comprendo bene, mi pare, la ferita che vi lavora così dolcemente, cedetevi soavemente alla sua santa violenza e continuate a dirmi il vostro pensiero, ve ne scongiuro con molta insistenza».

Bernières ha probabilmente avuto uno scrupolo. Si chiede se la sua corrispon­denza non sia dettata dall’amor proprio. Madre Mectilde allora lo rassicura: «No, no. mio buono e carissimo fratello, non è l’amor proprio che vi fa dire ciò che la vostra carità mi scrive; è la divina Provvidenza che guida i vostri pensieri e la vostra penna per incoraggiare la mia anima alla fedeltà d’amore che deve a Gesù Cristo. Non posso spiegarvi quanta efficacia abbia per me una delle vostre parole, per piccola che sia, e quanto mi stimoli. Balbettate sempre così, vi supplico, forse la mia anima diventerà una bimba e imparerà questo linguaggio semplicemente. Non pensate che queste cose non costituiscano la vera unione, ma considerate soltanto che la vostra carità è obbli­gata a dirci questi vostri pensieri in tutta semplicità perché Nostro Signore sa ben trar-ne la propria gloria».

Il 26 ottobre 1648, madre Mectilde comincia a lasciar intendere a Bernières che è di nuovo probabile un ritorno a Rambervillers. La minaccia si fa anche molto preci­sa: «Non so con certezza, ma le lettere che ricevo dalla nostra comunità della Lorena, ci fanno credere che, salvo per un colpo dell’onnipotenza [divina], bisognerà partire prontamente, non immediatamente dopo Pasqua, ma nel prossimo mese di giugno». In questa stessa lettera, parla di un certo fratello Jean «che è qui da circa dieci giorni» ed aggiunge: «E’ un buon servo di Dio, ma nonostante questo, devo dirvi in tutta sempli­cità che non mi sento spinta a parlargli, ma sento una tendenza tale a ritirarmi e ricac­ciarmi nel fondo dell’anima, che riesco appena a dirgli due parole». Madre Mectilde mostra qui la propria difficoltà ad aprirsi a qualcuno di diverso dallo stesso Bernières.

È evidente che a quest’epoca la profonda unione spirituale esistente tra Bernières e madre Mectilde fin dal loro primo incontro, si approfondisce. Il 5 novembre gli scri­ve: «La mia anima ama e predilige la vostra più intimamente, più cordialmente e inten­samente che mai, e non so chi renda cosi stretta questa unione, vista l’impurità della mia [anima] e quanto sono lontana dalla minima perfezione che la grazia ha invece sta­bilito nella vostra. Tuttavia, la vostra santità è la mia, e desidero per voi tutto ciò che io vorrei possedere per appartenere più puramente a Gesù Cristo. A questo riguardo dunque, mio carissimo fratello, sopportate la mia libertà che vi scongiura di rimanere nella fedeltà al vostro sacrificio».

Il 7 dicembre, mentre Bernières è sempre a Parigi ed è oppresso da un processo in cui perderà ciò che rimane del suo patrimonio, madre Mectilde gli scrive: «La mia anima prova grande tenerezza per la vostra e il vostro progresso nella perfezione mi è caro come il mio proprio. Soffrite dunque, fratello carissimo, gli effetti della divina Provvidenza e lasciatevi consumare serenamente... Sono quasi impaziente per il vostro ritorno, ma bisogna morire a questo desiderio e a questa soddisfazione, perché il vostro processo ricomincia».

1649-1651

Tra il 7 dicembre 1648 e il 7 gennaio 1651, non abbiamo alcuna lettera di madre Mectilde a Bernières. Che cosa è successo dunque? E probabile che Bernières sia rien­trato da Parigi all’inizio del 1649. La sua presenza a Caen ha reso inutile la corrispon­denza. Il 2 giugno 1650, madre Mectilde è stata eletta priora del monastero di Rambervillers. Ha subito lasciato la Normandia per la Lorena, passando per Saint-Maur.

Possediamo una lettera di Bernières indirizzata a madre Mectilde e datata 15 dicembre 1650 Appare chiaramente che madre Mectilde ha scritto a Bernières. Alcune lettere di quest’epoca sono quindi state perse. Il contenuto dei propositi di Bernières ci obbliga però a porre la questione circa l’autenticità della data di questa lettera. Ecco le frasi che introducono il dubbio: «La signora N. mi ha sollecitato più volte a scrive­re a R. (Rambervillers) per impedire che voi ci ritorniate; ma non ho potuto decidermi a farlo, non sentendo per questo alcun moto». O Bernières allude a pressioni di oltre sei mesi prima, oppure la data annunciata della lettera è troppo tardiva, perché sappia­mo che il 28 agosto madre Mectilde arrivava a Rambervillers per prendere la direzio­ne del monastero. Ma ciò è secondario. Vi è un altro fattore di interesse nella lettera di Bernières: egli rinuncia a chiedere che madre Mectilde rimanga a Caen perché anch’e-gli si trova sempre più abbandonato alla volontà di Dio e distaccato da tutte le creatu­re: «Al contrario, acconsento a lasciarvi andare nel deserto, per non vedervi forse mai più. È necessario obbedire a Dio e perdervi interamente per lui e a lui; tutte le nostre piccole consolazioni, i nostri appoggi per andare a Dio, i nostri progetti di approfittare della sua gloria non sono che bagattelle e perdite di tempo, quando Dio non ci fa cono­scere chiaramente la sua volontà». E continua dicendo che gli è stato suggerito che madre Mectilde avrebbe fatto meglio a fondare un monastero a Parigi dove sarebbe stata più utile e dove anch’essa sarebbe maggiormente aiutata. Ma lui non è di questo parere: «Su questo, non preferisco il mio giudizio agli altri, ma vi consiglio di andare a perdervi in questo deserto e di sperimentare le più rudi spoliazioni che Dio permet­terà vi accadano».

L’inverno 1650 è però segnato di nuovo da gravi turbamenti. La città è assediata e madre Mectilde deve rifugiarsi per due mesi in Alsazia. Scrive a Bernières da Rambervillers il 7 gennaio 1651: «Innanzitutto saprete, fratello carissimo, che siamo in mezzo alla guerra, tra gli allarmi, in apprensione e in miserie più grandi di quelle che ci hanno costrette la prima volta ad uscire dal nostro monastero. Non si parla che di spada, di fuoco e di fame. La poca gente che rimane nel paese è quasi disperata, tanto i mali sono grandi. Ecco dove la Provvidenza mi ha condotta, in mezzo a queste mise­rie, responsabile di venti figlie senza sapere dove volgerci».

Questa lettera del 7 dicembre è estremamente lunga, indubbiamente la più lunga di tutte quelle che madre Mectilde abbia scritte a Bernières, almeno per quanto riguar­da quelle che sono in nostro possesso. Gli espone a lungo le difficoltà con le quali si scontra nella vita spirituale a causa delle proprie responsabilità e nelle quali è costret­ta ad esercitarle: «Per il resto, un paese così deserto e così vuoto e spoglio di buone anime, nel quale vi vedete spesso privata della messa e del confessore, e per altre anime che siano spirituali non bisogna venire qui a cercare né direttore, né persona che possa consigliare o dare pareri, non solo riguardo alle vie della grazia, ma anche per cose di minima importanza». Ella misura maggiormente i propri limiti: «Non ho mai notato poca grazia e poca capacità per gli affari come constato al presente». Ciò che ella desi­dera di più ora, è ritirarsi nella solitudine, in un rifugio che il suo Ordine le concede­rebbe e dove potrebbe darsi alla contemplazione. Supplica Bernières di darle il suo parere su questo punto. Contemporaneamente, le viene proposta un’abbazia in Alsazia, ma, dice, «non ho alcuna vocazione per essere abbadessa e non posso decidermi a que­sto» e ancora: «la mia anima si trova molto più a suo agio dalla parte della bisaccia più che da quella del pastorale».

Bernières le risponderà? Una lettera scritta nel 1651, senza altra precisazione né riguardo al mese né al destinatario, potrebbe farcene dubitare. Egli esprime in essa la sua profonda reticenza a rispondere alle domande spirituali che gli vengono rivolte: «Dio solo deve bastare ad un’anima morta e annientata; è quanto mi rende lento nello scrivervi mie lettere, perché cosa vi troverete mai dentro, se non pensieri ingenui? E quand’anche vi fosse qualche lume sullo stato che sapete, non è Dio e di conseguenza, inviandovi le mie lettere, io forse non vi mando altro che un motivo per prendervi gioco di Dio... Non trovate quindi sbagliato se, quando mi scrivete, non vi rispondo, perché le disposizioni diverse delle nostre anime richiedono che voi mi scriviate e che io non vi scriva; comunque lo farò, perché lo volete». Bernières non mancava di humour.

E infatti, rispose...

A quest’epoca, come in altri momenti, non esita a impartire nella direzione un insegnamento fondato molto probabilmente sulla propria esperienza personale. I suoi diretti glielo richiedono: «Devo dirvi, perché lo volete e la direzione me l’ha ordinato, alcuni effetti che Dio opera nella persona che voi sapete». Il lettore non azzarda molto pensando che la persona in questione sia lo stesso Bernières. Segue un lungo sviluppo sull’unione passiva con Dio dell’anima annientata.

A partire dal mese di marzo 1651, madre Mectilde è di ritorno a Parigi. Uno scambio di lettere in giugno parla di calunnie, provenienti da un religioso, probabil­mente influenzato dal giansenismo («è un brutto effetto di questa nuova setta quello di portare la divisione ovunque», afferma Bernières).

Alle reticenze di Bernières nello scrivere, madre Mectilde oppone un’abile stra­tegia spirituale. Bernières si trova in uno stato di morte e di annientamento. Che impor­ta? Questo stato non è fatto per dare la vita? E scrivendo, Bernières non da forse la vita? «Benché Dio solo vi basti, e voi siate morto e annientato in lui, il motivo che tal­volta mi spinge a scrivervi non è per trarvene un attimo, ma piuttosto per farvi fare un atto di vita in Gesù Cristo e mediante Gesù Cristo, perché Dio è carità, e consolando­ci con una parolina, voi non vi separate da lui. Ahimé, non direste di no ad un povero alla porta che chiedesse di parlarvi». Tuttavia, non insiste troppo: «Non intendo esser­vi di peso, ma solo quanto la vostra spinta interiore ve lo permetterà; se non ve lo per­mette, non lo voglio». Ella integra nella propria vita spirituale la difficoltà che prova quando-non riceve risposta alle sue lettere: «Desidero che egli mi faccia ancora mori­re su questo punto che è il solo che possa consolarmi, ma se egli vuole che io entri nella spoliazione di tutto, lo voglio senza riserva, senza però che questo sia opera mia, pen­serei di sbagliare a causa della nostra unione». Acconsente quindi a ciò che per lei sarebbe una morte, ma unicamente se questo viene da Dio. Dal canto suo, non si deci­derà a non chiedere a Bernières l’aiuto dei suoi consigli: «Ma quando questa morte e privazione verrà immediatamente da parte sua [di Dio], aderisco senza esitazione, per­ché desidero che Dio solo trionfi e regni unicamente in tutto; vi scriverò per obbligar­vi a dirmi due parole che mi serviranno da istruzione nella mia piccola via e serviran­no ad altri ai quali Dio vuole che la vostra carità non neghi questo aiuto».

Nel novembre 1651, madre Mectilde è colpita da una grave malattia. I medici la dicono condannata. Si rimette poco a poco, ma senza che le vengano lasciate molte spe­ranze sulle possibilità di sopravvivere. «Avevo bisogno del vostro aiuto - scrive a Bernières il 25 novembre - ma la Provvidenza mi ha ridotto in uno stato tale da non poter più reggere la penna e la mia debolezza era enorme. Secondo il parere dei medici dove­vo vivere solo tre giorni». Il 2 dicembre risponde a Bernières che le ha scritto appena ha saputo della sua malattia. Sta un po’ meglio, ma è ancora molto debole. Si fanno strada progetti di insediarsi a Parigi; a questo riguardo ella chiede il parere al suo direttore.

1652-1653

II 5 marzo 1652, madre Mectilde è sempre viva, nonostante i pronostici sfavore­voli dei medici e segue persine il digiuno quaresimale. Scrive a Rocquelay; sa che Bernières è molto impegnato a lottare contro il giansenismo. Anche lei afferma di essersi impegnata ed ha avuto la gioia di allontanarne parecchie persone.

Il 26 luglio, in una lettera scritta a un giovane sacerdote, Henry-Marie Boudon, uno dei suoi corrispondenti, legato a Bernières, futuro arcidiacono di Evreux, va pre­cisandosi il progetto di fondazione a Parigi in vista dell’adorazione perpetua.

Le lettere a Bernières si diradano: «O mio buon fratello, quante cose ho da dirvi; se potessi scrivere, ma osservo un tale silenzio per le cose interiori che ho perso l’abi­tudine di parlarne; non so e non conosco più se non il tutto di Dio e il nulla di tutte le cose», scrive il 7 settembre. Questo cambio di atteggiamento è quindi legato ad un’e­voluzione della sua vita spirituale, avremo occasione di ritornarvi. Diciamo semplice­mente che è più abbandonata a Dio e ha meno bisogno dell’aiuto del suo direttore.

Il 24 settembre, vediamo comparire per la prima volta fratel Luc de Bray. Questo nome è già apparso ultimamente in alcune delle sue lettere. Ella ha avuto manifesta­mente contatto con questo religioso a Parigi, perché gli parla molto semplicemente della propria vita spirituale e gli espone lo stato in cui si trova in quel momento; uno stato di annientamento in cui non sembra avere presa su ciò che accade in lei e che pro­duce un distacco riguardo alle sue relazioni, ivi comprese quelle spirituali: «Mi pare di vedere un po’ più di separazione dalle creature, e che devo astenermi anche dalla con­versazione dei santi che sono sulla terra, per la malignità del mio orgoglio o per l’a­stuzia della mia vanità. Sono in grado di osservare maggiormente il silenzio rispetto al passato e di tenermi nel mio nulla in cui sono stata ricacciata in modo particolare per trovarne il fondo, e là non essere più trovata dalle creature». È quindi per questa ragio­ne che scrive meno a Bernières. D’altra parte, un’altra lettera allo stesso frate! Lue de Bray di cui non abbiamo la data precisa ma molto probabilmente contemporanea, per i problemi che affronta, lo conferma: «Ho perciò lasciato le creature, anche le più sante, non comunico più e non scrivo più».

Alla fine di novembre risponderà comunque a Bernières che le ha scritto per un affare e per renderla partecipe del suo stato spirituale. Ella è stata esposta a diverse dif­ficoltà e per grazia le ha attraversate con la pace dell’anima.

Il 2 gennaio 1653, dice a Bernières che il loro rapporto non resterà nel silenzio quanto l’anno prima. La ragione sta nella proposta che le è stata fatta di fondare a Parigi un monastero per l’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento, e di cui gli parla a lungo per chiedere il suo parere. Si trova in grandi difficoltà. Non si vede supe­riora di un monastero oggi, più di quanto si vedesse parecchi anni prima. Ma teme, con il suo rifiuto, di impedire il realizzarsi un’opera cosi importante. Supplica quindi Bernières di aiutarla nel discernimento.

La risposta di Bernières non si fa attendere. Fin dal 9 gennaio, da il suo parere, non senza aver dichiarato che solo la loro «unione», per la quale gli affari dell’uno e dell’altra sono comuni, gli permette di esprimere un parere. Tale parere è positivo. Ritiene tuttavia che ella debba «fuggire continuamente» la tentazione «di apparire qualcosa»: «bisogna temere questa disgrazia, ma non bisogna che ci disgusti intra­prendere le opere che Dio richiede da noi».

La lettera successiva di madre Mectilde a Bernières è datata 3 maggio. Precedentemente, sono state conservate tre lettere a Rocquelay. Nella prima, del 22 febbraio, esprime la sua gioia per la risposta di Bernières e confida al segretario la pro­pria ammirazione dello stato spirituale in cui il suo direttore si trova. Nella seconda, del 10 aprile, annuncia l’insediamento del piccolo monastero di rue du Bac.

La lettera del 3 maggio è una risposta a Bernières che scrive il 24 aprile «ad un suo amico», secondo l’espressione dell’editore delle lettere? Questo suo amico potreb­be essere la nuova superiora, perché madre Mectilde inizia la sua lettera con queste parole: «Ho ricevuto la vostra cara lettera del 24 del mese scorso con grande consolazione». L’attribuzione, quindi è probabile, benché noi non abbiamo nessuna prova che Bernières non abbia scritto lo stesso giorno a qualcun altro. Ma il contenuto delle due lettere ci fa propendere per madre Mectilde. Bernières spiega al suo corrispondente che, se egli scrive raramente, è per il fatto che, secondo lui, la loro unione non ha biso­gno di tutte queste testimonianze di benevolenza per mantenersi: «basta che la nostra dimora sia continuamente in Dio e che, annientati a noi stessi, non viviamo più che in Dio solo, il quale poi è il nostro amore e la nostra unione. Chiunque è giunto a questo stato vede i propri amici in Dio, li ama e li possiede in lui; e come Dio, è ovunque, li possiede ovunque». Certo, Bernières parla qui di amicizia, ed è assai probabile che questa lettera non sia indirizzata a madre Mectilde. Tuttavia, si sa da un lato che egli le scriveva molto raramente, e che dall’altro considerava il loro rapporto sia come ami­cizia che come direzione spirituale. Strana concezione comunque che questa amicizia si esprima pochissimo e che cerchi sempre di purificarsi, così che gli amici si perdano in Dio per ritrovarsi in lui. Madre Mectilde risponde che si sente pronta a entrare in queste disposizioni, ma che tuttavia le lettere di Bernières le sono «preziose e utilissi-me» e che le riceve «con gioia e rispetto quando la Provvidenza me ne dona». Nondimeno, «anche la loro privazione mi è assai gradita per il suo principio, e speri­mento questa bella verità: chi ha Dio ha tutto, e io non comprendo come l’anima che lo possiede e si lascia possedere da Lui possa desiderare altro in questo mondo». Dichiara che non accuserà mai «il santo affetto» del suo direttore di «freddezza o di negligenza». Fa anche allusione in questa lettera a Monsieur Boudon, di cui si è già parlato e col quale si è manifestamente confidata: «Ha molta carità per la mia anima ed ha cercato di sostenermi in alcune piccole contraddizioni e mi ha anche molto ras­sicurata circa il mio stato passato perché qualche servo di Dio non poteva sopportare la mia condotta».

Padre Lejeune

In una lettera del 20 maggio a Rocquelay, vediamo apparire il nome di qualcuno che ritornerà abbastanza spesso nel seguito della corrispondenza di madre Mectilde: si tratta del rev. Padre Lejeune, che ella descrive come «un raro servo di Dio, che è tutto fuoco e amore per Nostro Signore». Quattro giorni dopo, sempre in una lettera a Rocquelay, fa riferimento di nuovo a questo religioso, perché Rocquelay gli ha chiesto di farle avere del denaro. Un mese più tardi, il 22 giugno, apprendiamo che Bernières ha raccomandato madre Mectilde a padre Lejeune: «Vi supplico, mio carissimo fratel­lo, di ringraziare un milione di volte il nostro buon fratello per avermi raccomandata al padre Lejeune. Questo buon Padre si prende cura con grande carità. In uno dei giorni dell’Ottava ci ha tenuto una meravigliosa conferenza che ci ha edificate tutte. Mi sono decisa a parlargli apertamente, se il nostro buon fratello lo ritiene opportuno; vi sup­plico che, attraverso di voi, io conosca il suo parere al riguardo e se egli è un uomo di fede nuda; non che io sia sapiente circa questo stato, ma per poco che lo si gusti, non bisogna che ci confonda, poiché vi sono dei dottori che disfano ciò che Dio fa. Mi atterrò al nostro carissimo fratello. Pregatelo, vi supplico, di parlarmi con franchezza, e sarò felice di sottomettermi in tutto e di vivere di obbedienza come pure di fede».

Ecco quindi madre Mectilde di fronte ad una questione importante. Bernières è il suo direttore, ma non è presente e si sa già che la sua concezione della direzione spiri­tuale non lo spinge a scrivere spesso. Ritiene che la sua diretta avrebbe bisogno di rivolgersi a qualcun altro che possa accompagnarla più da vicino. Le consiglia perciò questo padre Lejeune la cui reputazione è solidamente fondata. Madre Mectilde è pron­ta ad accettare, comunque con una certa prudenza: ci tiene che questo sacerdote sia uomo di esperienza e non faccia parte dei dottori che disfano ciò che Dio fa.

Il primo luglio, una lettera di Bernières forse indirizzata a madre Mectilde (a una persona religiosa, che aveva con lui grande rapporto di stato interiore) ci sorprende con una domanda inusuale per lui: «Desidero conoscere lo stato in cui siete, e se mantene­te la pura solitudine in Dio, dove si trova il puro amore. Mandateci vostre notizie». Ma aggiunge: «E tuttavia credete che siamo uniti quanto lo siamo con Dio; nostra unica occupazione è dimorare uniti e inabissati in questa infinita bontà; e la nostra gioia sarebbe, se fossimo ben perduti, quella di non poterci incontrare mai».

Il 9 agosto 1653, veniamo a sapere che madre Mectilde scrive a Bernières che ha visto padre Lejeune e che gli ha parlato: «Sono più di tre settimane che non vedo il rev. p. Lejeune; non so se sia o meno soddisfatto di me, gli ho parlato secondo la mia poca capacità e l’avevo pregato di interrogarmi su tutto quanto avrebbe voluto, decisa a rispondere in tutta semplicità; non so cosa farà. Sono tutta pronta ad obbedirgli con gioia, se ciò vi fa piacere, in tutto quello che desidera che io faccia». È quindi sotto­messa a ciò che le chiede Bernières. Ma il seguito della lettera mostra che le cose sono in realtà più complesse. Aggiunge: «Le vostre care lettere mi fanno meglio di tutte le direzioni delle altre persone. Credo che sia a causa dell’unione in cui il nostro buon Padre ci ha uniti prima della sua morte, esortandoci a continuarla e a consolarci reci­procamente. Non vi chiedo tuttavia altro se non secondo l’ordine che ve ne sarà dato interiormente, perché voglio imparare a perdere tutto per non avere altri che Dio solo, nel modo in cui gli piacerà».

Queste poche righe sono capitali per comprendere il rapporto tra madre Mectilde e Bernières. Ella accetta di essere diretta da qualcun altro. Ma il vero nutrimento della sua vita spirituale è l’unione profonda in cui si trova con Bernières. Questa unione spi­rituale consiste in una grandissima comunanza di vedute con lui, un comune orienta­mento di vita con Dio che si rafforza ogni qualvolta riceve una sua lettera. Tale unio­ne spirituale deriva loro dal comune maestro, padre Chrysostome, che così ha voluto. Ci troviamo quindi di fatto meno sul registro della direzione spirituale e più su quello dell’iniziazione mistica. Per questo, essendo l’ideale quello di perdersi in Dio, il non­scambio, la non-corrispondenza, sono uno strumento di questo perdersi e allo stesso tempo della comunione. Comunicano molto più profondamente tra loro quando accet­tano di perdersi nell’assenza di rapporti.

Il 2 settembre, l’apprezzamento di madre Mectilde sulle relazioni con il suo diret­tore si fanno molto più precise. Dice a Bernières che continua a vedere p. Lejeune e a fare ciò che egli le ordina. Non è disgustata da lui. Desiderava molto avere un diretto­re, benché quello che vedeva quotidianamente la rendesse molto cauta in materia di direzione. Desiderava «un uomo sconosciuto che non parlasse mai di me a nessuno». Questa riflessione mostra quanto la direzione spirituale non presentasse sempre, all’e­poca, le condizioni ideali di discrezione. Ella fa riferimento anche ad una lettera che Bernières le ha inviato riguardo alla direzione e che l’ha spinta ad accettare di essere consigliata da p. Lejeune. Ma, di fatto, sente «poca attrattiva per questo degno perso­naggio», mentre ha «grande rispetto e stima per lui». Non ha trovato in sé «un’apertu­ra per lui»; ha risposto come ha potuto alle sue domande e rimane ben decisa ad obbe­dirgli, ma è evidente che la comunicazione rimane molto limitata. Chiede anche a Bernières di intervenire presso p. Lejeune per «togliergli il pensiero che io voglio esse­re trattata dolcemente, e non posso sopportare l’adulazione, non prendo un direttore per questo, ma perché mi dica le mie verità e i miei difetti». E stata abituata con p. Chrysostome a metodi più duri. E insiste: «Lo accolgo come mio direttore perché Dio vi ha dato l’idea di donarmelo. Non ho altra attrattiva che la sottomissione che devo a voi e allo Spirito di Dio che credo ci abbia dato questo pensiero, perché voi non fate nulla al di fuori di questo moto divino». Dichiara ancora il suo desiderio di andare al di sopra della propria inclinazione per aprirsi al suo nuovo direttore, ma immediata­mente parla a Bernières della sua condizione spirituale del momento. Ciò le da una nuova occasione per giustificare le sue reticenze ad esprimersi davanti a p. Lejeune: «Sapendo che il grande segreto è non essere tenuta da niente e non tenere nulla se non Dio solo, è chiaro che non si hanno parole per parlarne. Una cosa mi scoraggia nel par­lare di ciò che avviene in me, è la perdita di tempo in cui vedo alcune anime in questo paese; ne conosco che perdono tutte le loro grazie a vanificarlo in osservazioni, paro­le e scritti». Si trova anche bloccata nel parlare di sé a causa delle grazie mistiche che riceve: «Ora, poiché non avevo alcuna fede nelle mie idee e mi appoggiavo soltanto al beneplacito di Dio, a cui sono intimamente abbandonata, credevo di non aver tanto bisogno di una direzione serrata, ossia di un direttore che fosse da me tutte le settima­ne, perché non sarei in grado di costringermi ad annotare tutti i miei pensieri e le mie operazioni». Decisamente, madre Mectilde fa tutto quello che può per evitare ciò che evidentemente per lei è una prova più che un aiuto. La ragione maggiore non è forse che non sente nel rapporto con p. Lejeune quella comunione che aveva con padre Chrysostome e che prova con Bernières?

La risposta di Bernières non si fa attendere. È datata 4 settembre. Anzitutto le assicura che non vuole costringerla e che tiene prima di tutto alla sua libertà: «II mio stile è sempre stato ed è ancora quello di non proporre alle anime nulla di cui abbiano ripugnanza, e aspetto che la grazia dia loro un’indicazione contraria; fino a quel momento, le lascio nella libertà e non voglio obbligarle. Se continuate a non avere apertura d’animo con N., non fatevi violenza». Tuttavia, egli non dubita delle qualità di direttore di p. Lejeune e del suo adattamento alla vita spirituale di madre Mectilde: «Posso assicurarvi che se volete essere sconosciuta alle creature o vivere nella morte e lontana da tutto, mai vi fu un uomo più adatto, essendo il suo modo di procedere quel­lo di condurre le anime senza far loro conoscere ciò che sono o ciò che fanno, al fine di togliere loro qualunque appoggio potrebbero prendere in se stesse. Non vuole nep­pure che ne prendano sul direttore; per questo egli è molto riservato e chiuso nel trat­tare con loro, stando attento a non applaudirle e approvarle. Questo modo è certamen­te duro e non tutte le anime possono essere condotte così, perché diventano chiuse e riservate, senza apertura d’animo con colui che sembra non averne per loro». Bernières forse qui muove qualche rimprovero a madre Mectilde, il cui distacco sembra tuttavia non lasciare dubbi? In ogni caso, pare che il modo di dirigere di p. Lejeune sia molto diverso da quello che la sua diretta si attende. Ancora una volta, non ricerca forse qual­cosa più nell’ordine della comunione spirituale? La direzione di p. Lejeune, come la tratteggia Bernières, doveva apparirle da subito molto lontana. D’altra parte, non è impossibile che Bernières abbia sentito che madre Mectilde aveva bisogno di superare uno scoglio in questo campo e che non disponeva, nella sua persona, di un vero diret­tore. Forse è per questo che malgrado la totale libertà che lascia alla superiora, termi­na la sua lettera con queste parole: «Quando p. N. verrà a farvi visita, parlategli since­ramente di tutto quello che vi chiederà, non vi incalzerà».

In un’altra lettera datata 7 settembre (decisamente Bernières scrive molto spesso in questo periodo) le dice nuovamente: «Fatico ad approvare che voi non parliate al Padre... e a qualche anima di fiducia che si rivolge a voi. Dite che la vanità vi attac­cherebbe. Rimanete perduta nel vostro fondo e la vanità non vi troverà; che si imputi il vostro comportamento all’orgoglio, questo non è niente e non deve impedire che esercitiate la carità». Qui, Bernières parla solo di direzione spirituale. Evoca anche delle comunicazioni con altre persone che madre Mectilde rifiuta. Non accettando di svelare qualcosa di ciò che accade in lei, non manca forse alla carità? Poi ritorna sugli argomenti della priora: «ritorno a quello che dite, che se aveste un direttore, dovreste dirgli cosa accade nel vostro intimo di tanto in tanto e non sapendolo, non potete farlo; però sapete anche meglio di me che bisogna dire quello che si conosce semplicemen­te e candidamente, e il direttore illuminato capirà quello che voi non capite; e quando non potrete dirgli nulla, non mancherà di comprendere ciò che voi vorreste dire».

Una lettera datata 8 settembre, molto probabilmente indirizzata a p. Lejeune, ci aiuta a vedere più chiaro in questa complessità. Comincia con questa constatazio-ne:«So dalle vostre ultime [lettere] che l’unione fra voi e N. non è al punto in cui l’a­vrei desiderata». E più avanti si apprende infatti che p. Lejeune teme che madre Mectilde si faccia qualche illusione sul proprio stato spirituale. Probabilmente bisogna vedere qui una delle ragioni di questa distanza di cui abbiamo appena parlato. Con molta delicatezza, Bernières consiglia p. Lejeune riguardo al suo ruolo di direttore: «Avete ragione di temere l’illusione e l’errore, si incontrano facilmente in questo mondo in cui tutto è confuso e dove non vi è quasi nulla di puro; ma neppure bisogna temere troppo di sbagliarsi, perché per la perfezione delle anime talvolta è necessario rischiare un po’ la propria reputazione; avere tanta cautela nel conservarla, spesso non è compatibile con la carità di aiutare le anime un po’ inclinate all’illusione. Non biso­gna badare a ciò che dico, la mia luce è poca, il mio discernimento debole e la mia sem­plicità grande. Accade spesso che quando delle anime scoprono che il loro direttore desidera da esse che abbiano grande purezza [d’intenzione] e non abbiano alcun appoggio, questo le scoraggia e chiude loro il cuore. Bisogna incoraggiarle molto dol­cemente e dar loro un sostegno che si toglierà poco dopo. Ciascuno ha il proprio modo di guidare, tuttavia ordinariamente è necessaria un po’ di condiscendenza, di dolcezza e di trasporto per guadagnare un cuore che si desidera guadagnare a Dio. Conosco da lungo tempo N... conosco i suoi punti forti e quelli deboli, ma mi pare che ella vada semplicemente nelle vie di Dio; non dico che non possa sbagliarsi, ma desidererebbe essere disingannata». E Bernières pone alla fine della sua lettera una questione radica­le: «Per il resto, vorrei sapere un po’ quello che volete dire in qualcuna delle vostre let­tere in cui ho visto queste parole: vi è un ricco nulla dove si trova Dio, e qualcosa di simile. Come può l’anima giungere al proprio nulla, trovarvi Dio e perdersi? Approvate la vita mistica? Si trovano molti direttori che la fanno passare per una chimera, e parec­chi altri la considerano una via vera e reale».

Questa lettera è di importanza capitale. Prima di tutto perché Bernières da prova di una sollecitudine e di una fermezza che non gli sono abituali. Lui, che risponde solo di tanto in tanto alle lettere della sua diretta, improvvisamente si interessa e da vicino a ciò che le accade nella direzione in cui l’ha impegnata. Benché sia laico e dichiari sempre la propria incompetenza, si permette di consigliare un religioso e alla fine di porgli la domanda di fiducia: crede sì o no alla vita mistica? Abbiamo quindi senza alcun dubbio la ragione ultima delle difficoltà che madre Mectilde prova nel confidar­si a p. Lejeune. Sente in lui delle riserve riguardo alla realtà di ciò che lei vive nel­l’abbandono mistico fra le mani di Dio. D’altra parte, e questo dettaglio non è privo di importanza, si sa da questa lettera di Bernières che p. Lejeune teme per la propria repu­tazione. Ciò significa, lo sappiamo, che lo stato spirituale di madre Mectilde suscita attorno a lei un certo numero di controversie (ha avuto difficoltà con i giansenisti e questo in parte spiega le sue reticenze nel confidarsi) e che p. Lejeune esita a prende­re posizione troppo apertamente. Si comprende quindi senza fatica come la comunica­zione non possa stabilirsi.

Tutte queste difficoltà non impediscono a madre Mectilde di confidare il proprio stato spirituale a p. Lejeune in una lettera del 6 novembre.

Una lettera a Rocquelay, datata 25 novembre, ci informa che p. Lejeune aveva progettato di recarsi a Caen per parlare con Bernières e madre Mectilde. Ma non potè realizzare questo progetto. Lei stessa continua a pensare che questo buon Padre non la tratti abbastanza duramente. Ma vorrebbe che egli potesse parlare di lei con Bernières: «In attesa di questa gioia, mi atterrò a questo buon Padre con rispetto e sottomissione. Non sono mai stata così libera come ora. Tutto mi è pressoché indifferente».

1654

All’inizio del febbraio 1654, ella scrive a Bernières per informarlo che le reli­giose del monastero «prenderanno la croce»[1] il 10 di questo mese. Affida il loro inse­diamento alla sua preghiera, ma non ritorna sulla questione del direttore spirituale. Per contro, il 16 marzo, ritorna sull’argomento nel corso di una lunga lettera in cui descri­ve a Bernières il proprio stato spirituale: «Tutto quello che posso dirvi, mio carissimo fratello, è che questo buon Padre non ha ancora approfondito le mie disposizioni più intime; ho troppa poca testa e capacità per esprimerle». Il seguito della lettera mostra che non c’è nulla da fare, malgrado le sue dichiarazioni che non è in grado di dire nulla, ma si confida con Bernières: «Credo che se potessi parlarvi, mi comprendereste facil­mente, perché avete tanta bontà da abbassarvi alla mia piccola via per darmi istruzio­ni». Bella descrizione della direzione spirituale. Tuttavia, rimane sottomessa a ciò che deciderà il suo vero direttore: «Parlate a p. Lejeune come Dio vi ispirerà, è mia inten­zione non tacergli nulla e rimanere sotto la sua guida per quanto la divina Provvidenza ordinerà; essa me l’ha donato, ella me lo conserverà quanto le piacerà». E termina la sua lettera stupendosi di se stessa per essersi stavolta molto aperta. Desidererebbe d’al­tra parte incontrare Bernières e parlare con lui «di molte cose molto importanti per la gloria di Nostro Signore in questa casa e per me in particolare». È quello che gli dice il 20 marzo, in una lettera in cui non fa alcuna allusione a p. Lejeune e in cui chiede insistentemente a Bernières di risponderle: «E’ la grazia che vi chiedo, essendovi obbli­gata per comando del nostro beato Padre».

Madre Mectilde scrive a Bernières il 22 marzo? Si potrebbe pensarlo, visto il con­tenuto della lettera. In maniera un po’ secca che contrasta con i suoi modi abituali, le dice: «Ho grande gioia che egli [Gesù sofferente] abbia fatto la nostra unione con una particolare Provvidenza, e mi pare superfluo che chiediate di fare un’unione già fatta e che continuerà». Non si trovano richieste esplicite di questo stile nelle lettere preceden­ti di madre Mectilde. La conclusione della lettera da tuttavia da pensare che il destina­tario sia la priora: «Avete la Legge e i Profeti, avendo il buon Padre N....Sottometto tutte le mie idee alle sue, avendo grande rispetto per la sua grazia e sapendo quanto la sua anima sia illuminata nelle vie di Dio». Si tratta certo di p. Lejeune, Bernières deve esse­re quindi rassicurato sulle sue posizioni quanto alla vita mistica.

Bernières resta dello stesso parere in una lettera del 29 marzo: «non conosco in dettaglio la vostra orazione, avete vicino a voi il buon M.N. al quale Nostro Signore ha dato la grazia per aiutare le anime del vostro stato, i suoi consigli vi saranno ottimi». Ma aggiunge subito: «e quando Dio vorrà che ci mandiate qualcosa sulla vostra ora­zione, vi diremo alcuni brevi pensieri in tutta libertà e semplicità; ma fatelo solo quan­do Dio ve ne darà il movimento, perché è meglio dimorare perduta in Dio piuttosto che uscire di propria iniziativa con il pretesto della carità o a produrre all’esterno i propri pensieri e i propri sentimenti». Bernières intende comunque rimanere disponibile per madre Mectilde, ma si vede che è leggermente contraddittorio nei consigli che le rivol­ge, perché l’ha invitata prima a parlare per carità. È vero che qui si tratta di lui.

In una lettera del 18 maggio vediamo Bernières che cambia parere riguardo alla direzione di p. Lejeune: «Ho appena ricevuto le vostre ultime e mi sento spinto a rispondervi subito per dirvi che lo stato interiore in cui siete non permette di poter fare una lunga dichiarazione delle vostre disposizioni interiori a colui che prendete come direttore; poiché la grazia vi pone nella morte e nel nulla, non dovete sottrarvene sotto alcun pretesto, dovete rimanere tutta perduta e abbandonata alla guida divina». Bernières include forse il direttore in questione nel suo rimprovero, laddove afferma: «coloro che vi incalzano e vi perseguitano, se non lo fanno per provarvi, sembrereb­bero non capire quello che Dio fa in voi, dovrebbero rispettare la sua opera e non gua­starla né distruggerla»? In ogni caso, qualche riga più in là, dichiara: «Comincio a cre­dere che colui del quale mi parlate non ha grazia per guidarvi interiormente, benché sia un apostolo e un santo; ma queste eminenti qualità non vi obbligano a volere da lui una cosa che Dio sembra non volere. Confesso che è un’umiliazione non entrare nello spi­rito di un uomo così grande e che egli non gusti ciò che Dio fa gustare a voi; le grazie sono diverse, una sola persona non ha l’esperienza di tutte». Padre Lejeune quindi non capisce madre Mectilde e Bernières è costretto a constatare una sconfitta. Rimane pru­dente, nonostante tutto: «non giudichiamo tuttavia ancora in modo definitivo, parlerò con lui e poi vi scriverò; credo che si svelerà con me, ma lo lascerò parlare per primo, perché se il sentiero mistico non gli è rivelato, non gliene dirò nulla, ma [gli parlerò] soltanto di cose esteriori a cui Dio mi applica». Bernières ritorna perciò sulle proprie inquietudini riguardo alla capacità di padre Lejeune di comprendere alcuni itinerari mistici. Poi, propone a madre Mectilde di continuare a scrivergli:«Se di tanto in tanto volete scrivermi tre righe sulla vostra condizione spirituale, vi manderò con tre altre righe i miei brevi pareri. Credo che dobbiamo ridurci a sostenerci reciprocamente e a servirci, il nostro buon Padre me l’ha detto spesso; facciamolo dunque finché Dio ce lo comanda con la sua Provvidenza. Non ci vogliono grandi discorsi per manifestare la propria interiorità, né angustiarsi per questo: le anime della medesima via si intendono con mezza parola». Qui Bernières si arrende all’evidenza di una direzione spirituale più classica in cui il direttore risponde alle lettere della sua diretta. Ma lo fa riferendo­si a padre Chrysostome, del quale madre Mectilde ha sempre invocato il consiglio per ottenere delle risposte da Bernières, fondandosi sulla loro comunione profonda nella via mistica tracciata dal loro Padre comune.

Il 23 giugno, madre Mectilde non ha ricevuto altre lettere da Bernières e, con il pretesto di san Giovanni, si preoccupa degli esiti del dialogo che normalmente si svol­ge tra l’eremita della Normandia e padre Lejeune.

Il 23 agosto, siamo in attesa. Madre Mectilde ha ricevuto alcune lettere di Bernières, ma brevissime. Ella dice che p. Lejeune si reca a visitare spesso la comunità e che ha grande cura della salute della priora, non sappiamo di più. Il 15 settembre, non si parla più di p. Lejeune e si ha l’impressione di tornare indietro di parecchi anni, sen­tendo madre Mectilde chiedere a Bernières di scriverle più spesso.

1655-1659

A partire da questo periodo, possediamo una sola lettera di madre Mectilde a Bernières. È datata 26 gennaio 1655: «Mi pare che sarebbe la più grande e l’ultima delle mie gioie in questo mondo il rivedervi e intrattenermi ancora una buona volta e, per quanto mi è permesso desiderarlo, lo desidero, ma sempre nella sottomissione, perché la Provvidenza non vuole più che io desideri nulla con ardore. Bisogna perdere tutto in questo mondo per ritrovare tutto in Dio. È in lui, mio buon fratello, che vi trovo e mi pare che la carità che egli ha posto in voi per noi non si spenga, ed è la mia gioia».

Per contro, pare che Bernières abbia indirizzato parecchie lettere a madre Mectilde. È impossibile affermarlo con certezza, perché i destinatari non sono nomi­nati, come abbiamo già detto. Ma fino al 1659, un certo numero di lettere sono nello stile della loro corrispondenza, in particolare una lettera del 20 ottobre -1654 in cui egli risponde ad una domanda sull’orazione passiva. Questa lettera che costituisce da sola un piccolo trattato di vita mistica, parla dell’unione di Bernières con la destinataria: «Sapete bene che la nostra unione in Dio è così grande...». Una frase fa allusione alla direzione spirituale: «E’ necessario che colui che cammina e colui che guida siano favoriti delle grazie di Dio in modo particolare, altrimenti rimarranno entrambi per strada e non giungeranno al punto della perfetta consumazione». Il direttore e la diret­ta sono quindi impegnati sullo stesso cammino e la direzione è per il direttore la via attraverso la quale anch’egli cammina verso l’unione con Dio.

Una lettera del 2 febbraio 1655, presentata come risposta alla lettera del 26 gen­naio di madre Mectilde, parla ancora a lungo della vita mistica. Bernières si apre in maniera sorprendente, perché sotto apparenze di oggettività, di fatto parla di sé e di quello che vive. Allo stesso tempo, dice a madre Mectilde che farà il possibile per recarsi a Parigi l’estate successiva. Ma ciò che sorprende, se queste lettere sono dav­vero indirizzate a madre Mectilde, è la cura che egli pone nel parlarle con molti detta­gli della vita mistica, dell’orazione passiva, ed anche a risponderle su ciò che accade in lei. Vi è in queste lettere una tonalità di sicurezza sullo stato interiore della priora mai apparso finora. Bernières deve aver certamente compreso che madre Mectilde è giunta ad un alto grado di unione con Dio per esprimersi in tal modo a suo riguardo. Una lettera del 20 novembre 1656 lo testimonia: «Abbiamo visto con consolazione il cambiamento interiore che è piaciuto a Nostro Signore concedervi; è certamente un favore speciale per il quale bisogna rendergli azioni di grazie straordinarie: è un dono prezioso, che vale più di tutto quanto la vostra anima ha ricevuto fino ad oggi. Insomma, è Dio stesso che si dona nel fondo della vostra anima in verità e realmente, in modo inesprimibile, benché ne abbiate l’esperienza; è questa esperienza che deve costituire ora la vostra orazione e la vostra unione con Dio».

Bernières parla forse di madre Mectilde in una lettera del 21 gennaio a qualcuno presentato dall’editore come suo intimo amico? Se è così, costui doveva essere in rap­porto con la priora e nella condizione di aiutarla, perché Bernières gli raccomanda di fare in modo che ella non faccia nulla che possa farla uscire dal suo stato di passività.

Trascriviamo, come ricordo, una lettera di Bernières a padre Lejeune, in data 5 novembre 1654 nella quale gli espone la via di annientamento: «Sappiamo da tempo che la perfezione è all’interno e non all’esterno dell’anima; che consiste nel non esse­re più assolutamente proprietaria della propria volontà, del proprio giudizio e di tutto quello che non è Dio».

Nel maggio 1659, la data non è più precisa, madre Mectilde annuncia a madre Dorothée del monastero di Rambervillers, la morte di Monsieur de Bernières, sabato 3 maggio: «Dopo aver cenato, senza essere per nulla ammalato, si intrattenne come al solito con quei signori e poi, ritiratosi e avendo pregato, se n’è andato a dormire nel Signore, di modo che la sua malattia e la sua morte sono durati soltanto il tempo di un mezzo quarto d’ora. Ecco come Nostro Signore l’ha annientato. Ne sono toccata in gioia e in dolore, ma la gioia prevale molto, perché lo vedo reinabissato nel suo centro divino nel quale ha tanto respirato in vita...Questo grande santo è morto prima di mori­re, con un annientamento continuo in tutto e per tutto».

Il 27 giugno, informando fratel Luc de Bray che era a Roma, confessa tuttavia: «sono più sola che mai, non parlando a nessuno e sentendomi spinta ad allontanarmi da tutto... Impoverisco tutti i giorni e sono così disgustata di me stessa che non vorrei più apparire... Sono in uno stato interiore che non posso dire, Dio solo lo conosce. Mi pare che se Nostro Signore vi riconduce a Parigi mentre la divina Provvidenza mi ci tiene, potrei parlarvi più facilmente che agli altri; il legame e la fiducia che ho in voi è grande è certamente voi aiuterete la mia conversione».



* Sulpiziano, Superiore del Seminario dell'Institut Catholique di Parigi. Conferenza tenuta alla Maison Nicolas Barre di Parigi.

[1] L'espressione si riferisce alla «posa della croce» che segnava l'ingresso della comunità in un nuovo mona­stero. Qui si fa allusione all'insediamento nel monastero di me Férou.