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Deus absconditus, anno 95, n. 4, Ottobre-Dicembre 2004, pp. 28-31

 

Sr. M. Cecilia La Mela osb ap Monaca del Monastero San Benedetto di Catania.

La riflessione sulla grazia in Madre Mectilde de Bar: dalla teoria alla prassi

Un tema ricorrente negli scritti di Madre Mectilde de Bar è quello relativo alla grazia. Su questo argomento, il Seicento fu un vero ginepraio di teorie spesso contrastanti fra di loro, portate alle estreme conseguenze e culminanti nei movimenti protestanti o in ideologie rigoriste come il Giansenismo o troppo lassiste come il Quietismo. La nostra Madre Fondatrice, interlocutrice delle grandi personalità spirituali della Francia del secolo d’oro, conosceva bene i dibattiti teologici del suo tempo e quelli precedenti che, spesso fraintesi, hanno dato origine ad eccessi, se non addirittura a degenerazioni proprio in questa sua epoca.

Molteplici, nei vari scritti, sono gli interventi di madre Mectilde circa la questione della grazia. Ne citiamo uno tratto dalla conferenza L’anima tempio di Dio del 1664:

«Numerosi spirituali hanno dedicato le loro fatiche a comprendere che cosa è la grazia, specialmente dopo le nuove opinioni del tempo. Alcuni l’hanno definita un movimento e ispirazione dello Spirito Santo; ma io dico che la grazia non è altro che una partecipazione di Dio meritata da Gesù Cristo, di modo che in verità possiamo dire che la grazia è una partecipazione di Gesù Cristo e i suoi effetti sono le produzioni del suo amore e delle sue misericordie. Per questo può dirsi che l’anima in grazia possiede nel suo fondo un tesoro nascosto, e questo tesoro non è altro che Gesù Cristo» [1].

Marcatamente cristologica è, dunque, la riflessione mectildiana a proposito della grazia.

Vorrei, tuttavia, porre l’attenzione ad un aspetto pratico e utile al cammino spirituale indicatoci dalla Madre e che, ovviamente, si inserisce e sviluppa a partire dalla sua riflessione più strettamente teorica. Leggiamo ancora un passo di un’altra conferenza:

«Bisogna avere una grande fedeltà alla grazia. E mai si recupera una grazia perduta. Perché? Perché la grazia che perdete è passata. Non ritorna più. Ne verranno altre in seguito, ma sono più deboli – non che ci sia inefficacia da parte della grazia, no – perché, trovando meno vigore in noi per l’infedeltà usata verso la prima, la grazia seguente non può agire che molto debolmente e spesso passa senza alcun effetto.

Ugualmente, la fedeltà attira una grazia più grande, perché la persona, avendo maggior forza e generosità per vincersi, progredisce sempre di virtù in virtù, distruggendo in sé le opposizioni che riconosce come ostacoli ai disegni di Dio» [2].

Questo discorso non deve spaventarci né scoraggiarci, sebbene la Madre voglia dirci che è pericoloso scherzare con se stessi: la libertà è un dono, ma il suo retto esercizio è una conquista, è frutto di corrispondenza alla grazia divina. È pericoloso assuefarsi alla grazia, può riuscire irreparabile. Avviene come per la sposa del Cantico dei Cantici che ritarda ad aprire allo sposo che bussa e questi va via...sì, è vero, alla fine lo incontra ma la bellezza e l’incanto di quel primo momento non sono tornati più. Il filosofo greco Eraclito affermava che non possiamo immergerci due volte nello stesso fiume: nel momento in cui ci immergiamo nuovamente l’acqua, nel frattempo, ha seguito il suo corso e quella in cui ci bagniamo non è più la medesima, inoltre noi non siamo più gli stessi, quelli, cioè, del momento prima perché, adesso, c’è un altro momento che si assomma alla nostra esperienza.

Madre Mectilde vuole dirci, con la maturità che le è propria, che la grazia è un’occasione speciale offertaci dal Signore e, siccome è gratuita, essa si ripete frequentemente, ma occorre che la persona sappia valorizzarla in pieno, cogliendone l’intensità di ricchezza per quel momento in cui ci è data, senza rimandare o rimanere superficiali. Ci sarà ovviamente un’altra grazia dopo, ma non sarà quella di prima. Il decantato carpe diem dei latini, il «cogliere l’attimo fuggente», acquista, nella dimensione religiosa, la prospettiva della maturazione intesa come corrispondenza alla grazia del momento. L’uomo esprime il suo essere cristiano in quell’orientamento del cuore e della mente che lo porta ad operare una lettura sapienziale del proprio vissuto e della storia in chiave del dono della grazia. «Tutto è grazia» esclama prima di morire il curato di campagna di Bernanos, sì tutto è grazia!

Nella sfera psichica e spirituale di Madre Mectilde, accogliere la grazia significa vivere il momento presente, lasciando cadere ogni forma di apprensione o di tensione, lasciandosi puramente riempire da Dio solo. La parola d’ordine che la Madre ci rivolge sembra essere: «Sii qui adesso. Il dono della grazia ci offre quella consapevolezza che mantiene vivi e svegli nel qui e ora e ci consente di abbandonarci con semplicità nel presente sperimentando ciò che sta accadendo». È la stessa esortazione che San Benedetto ci rivolge nel Prologo facendo eco alla lettera ai Romani: «È tempo ormai di levarci dal sonno, e aprendo gli occhi alla luce divina, ascoltiamo con orecchie attentissime che cosa ogni giorno ci ripete la voce ammonitrice di Dio». Il discorso pratico di Mectilde de Bar non è altro che una formulazione concreta dell’ascesi monastica. Il monaco, uomo del deserto, e il deserto non è soltanto un luogo geografico, impara a conoscersi nella verità e a vincersi continuamente profittando della grazia presente. Egli è consapevole che affievolire la lotta, lasciarsi scappare un’occasione di grazia, è un rischio enorme. La vigilanza è frutto dello Spirito ma richiede da noi attenzione, costanza, stabilità. Si racconta che dopo la morte di rabbi Mosches di Kobryn, domandarono ad un suo discepolo: «Qual era la cosa più importante per il vostro maestro?». Egli riflette un momento, poi rispose: «Quella che stava facendo».

È possibile leggere, in questa direzione, il vangelo delle dieci vergini (Mt 25,1-12). Per lo più questa parabola di Gesù viene interpretata in una prospettiva escatologica, riguardante cioè il giudizio finale, ma è racchiuso in essa anche l’invito a vivere consapevolmente il momento di grazia che ci è donato. L’olio diviene, allora, sì il simbolo dell’attesa, della fede vigilante, della fedeltà, ma anche la risposta ad una chiamata che è adesso, non domani, oggi, quest’oggi... La risposta, apparentemente brusca ed egoista, delle cinque vergini sagge alle cinque stolte può trovare spazio in quello che Madre Mectilde afferma nella già citata conferenza del 1664, immediatamente dopo l’enunciazione sulla grazia:

«Se mi chiedete che cosa occorre fare per trovare questo tesoro, vi dirò, sorelle mie, che ognuna di voi ha il suo sentiero particolare per cercarlo. Ciò che dovete fare è essere fedele, ognuna a seguire il proprio, che è stretto. Non ci si va a due a due. Se è stretto, è anche molto difficile percorrerlo; e noi abbiamo un grande cammino da fare prima di trovare Gesù Cristo, questo divino tesoro, e prima che egli si manifesti all’anima, a causa delle grandi opposizioni e resistenze che sono in noi, procurate dai nostri sensi, passioni, umori del nostro amor proprio e dal resto che non è affatto annientato in noi. E tutto questo ci impedisce di entrare nella verità, la quale non è altro che Gesù Cristo come egli ha dichiarato con la sua propria bocca: di essere la Via, la Verità, la Vita» [3].

Le passioni, l’amor proprio sono, dunque, la mancanza di olio: a tutti, però, è data la possibilità di accedere alle nozze, di alimentare la propria lampada, ma occorre l’ascesi che è continuo esercizio di corrispondenza alla grazia. L’intervento della grazia è personale, individualizzato potremmo dire, ecco perché le vergini sagge non possono dare olio per le lampade delle stolte, così come la fede e il merito delle opere buone. Anche San Benedetto, nella Regola, parla di via stretta, e prima ancora Gesù nel Vangelo! Ma non dobbiamo spaventarci, avremo forza dallo Spirito Santo e se seguiremo il lapidario e inderogabile consiglio di Madre Mectilde:

« Sorelle, vi raccomando: siate fedeli a Dio. [...] Che il vostro cuore tenda a Dio in semplicità. Non vi dissipate: siate sempre raccolte in voi stesse, in quel centro nel quale Dio dimora » [4].

Dissipazione è, dunque, rimandare la risposta alla grazia attuale: ecco perché l’esitare indebolisce; ma non c’è dispersione, solitudine o precarietà che Dio non accolga e non riempia, basta soltanto aprirgli la porta quando bussa con le mani dell’amore e della misericordia. Solo allora potremo dire veramente che tutto è grazia!

 



[1] Cit da: Genovefa Guerville, Catherine Mectilde de Bar. II. Uno stile di Lectio divina nel secolo XVII, Città Nuova, p. 180.

[2] C. M. DE BAR, Sulla festa della Santissima Trinità, in L’anno liturgico, Glossa, p. 264.

[3] Cit da: Genovefa Guerville, Catherine Mectilde de Bar. II. Uno stile di Lectio divina nel secolo XVII, Città Nuova, Ivi.

[4] C. M. De Bar, Fedeltà a Dio e alla grazia, in Capitoli e conferenze, Alatri, p. 57.