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Deus absconditus, anno 96, n. 4, Ottobre-Dicembre 2005, pp. 26-29

 

Sr. Maria Cecilia La Mela osb ap*

Il Dio che nasce in noi: teologia dell’incarnazione in Mectilde de Bar

Nelle meditazioni per il tempo di Avvento proposte da madre Mectilde alle sue figlie ricorre spesso l’immagine della nascita di Dio in noi. Queste meditazioni, tuttavia, vanno al di là del tempo strettamente preparatorio alla solennità del Natale, tanto che, parafrasando san Benedetto in ciò che prescrive nel capitolo 49° della Regola a proposito della Quaresima, possiamo affermare che «in ogni tempo la vita della monaca adoratrice e riparatrice dovrebbe avere anche il tenore di un vero Avvento». È il mistero pasquale di Cristo che unisce in sé Incarnazione e Redenzione. Ecco le parole della nostra Madre Fondatrice:

«La fede ci insegna che Dio è immenso e riempie il cielo e la terra della sua maestà. La fede ci dice che egli è presente nelle anime in modo particolare e che vi è impresso con un carattere incancellabile» [1].

Addirittura neanche il peccato più orrendo riesce ad allontanarlo dall’anima dove Egli risiede.

Con una espressione ben figurata ella afferma che «Il bel Sole di giustizia sta nel cielo dell’anima nostra come nel suo firmamento» [2].

Questo tema del concepimento di Dio nell’anima era caro alla Chiesa degli inizi la quale considerava l’evento soprannaturale del parto divino non solo nei riguardi della Madonna, ma come mistero di ogni cristiano. Anche Mectilde de Bar ha questa apertura universale, quasi un profetico anticipo del Vaticano II: «Gesù nasce in tutti i cristiani nel momento in cui ricevono il battesimo» [3]. Ogni cristiano, per la Chiesa primitiva, diviene nella propria anima madre di Cristo. È l’invito a diventare noi stessi come una vergine che partorisce in sé Cristo. In madre Mectilde vi è il rimando esplicito di questa stessa immagine all’Eucaristia:

«Potrei anche dirvi, sorelle, che per mezzo della santa comunione voi divenite in un certo senso madri di Gesù. La comunione è infatti l’estensione del mistero dell’Incarnazione. Egli ci rende sua dimora in maniera tutta particolare, anche dopo la consumazione delle specie» [4].

La verginità giunge a compimento solo nella maternità. Questo paradosso di Maria vale anche per la vita spirituale. È come se la verginità si trasformasse in campo fertile proprio nella misura in cui si apre alla maternità. Ovviamente l’uomo vive questo dinamismo generativo con la ricchezza virile che gli è propria.

Ma allora questo miracolo di una verginità feconda vale solo per i consacrati e le consacrate? Come si può conciliare l’universalità di tutti i battezzati con la verginità, quando questa sembra una condizione solo per alcuni? Credo sia possibile rintracciare la risposta in ciò che dice ancora madre Mectilde toccando il cuore della questione: «L’amore fa venire Gesù in noi perché sia nostra vita e nostra luce» [5].

In questo senso si può intendere la verginità come quello stato di grazia permanente permeato dall’amore di Dio e dall’amore per Dio. «L’amore, poi, nel mistero ci farà dimorare» [6].

Il cristiano, qualunque sia il suo stato di vita, celibe, coniugato ecc., è chiamato ad essere fecondo nell’amore, in quella duplice direzione oblativa dell’amore verso Dio e verso il prossimo. Verginità diventa allora sinonimo di carità: verginità del cuore, dei sentimenti, dell’offerta generosa di sé a servizio della Chiesa e del mondo. Ecco il prodigio: benché impastati di peccato e di miseria, Dio continua a nascere in noi e ci permette di rinascere in Lui per essere creature nuove, redente. Lo stesso Gesù ce lo ha assicurato: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole». (Gv 14, 23-24).

L’icona della nascita di Dio venne sviluppata soprattutto dalla mistica tedesca nel XIV secolo. Sappiamo bene come l’influenza della scuola renano-fiamminga sia notevole nel pensiero mistico di Mectilde de Bar. Giovanni Taulero parla di una nascita di Dio nel profondo dell’anima. Il profondo dell’anima è il proprio intimo, il centro interiore. Madre Mectilde afferma infatti che nulla incanta il Figlio di Dio «quanto un’anima che si conosce a fondo e che si tiene piccola e abietta alla sua santa presenza» [7].

Maestro Eckhart chiama questo centro interiore la piccola scintilla dell’anima. Per lui essa è il luogo dell’assoluto silenzio in cui avviene la nascita di Dio. Nel silenzio l’uomo si svuota di sé per essere completamente pronto a concepire. Si spoglia di sé per essere preparato per Dio che è al di sopra dell’essere stesso. Anche madre Mectilde rileva questa dimensione profonda del silenzio:

«Il silenzio è la miglior disposizione per ricevere l’impronta dei divini misteri e in modo particolare quello dell’Incarnazione, in cui tutto si compie nel silenzio, nel cuore della notte» [8].

            È chiaro il rimando alla profezia biblica: «Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente venne sulla terra» (Sap 18,14). E in relazione al silenzio, anche la nostra Fondatrice rivela l’importanza dell’umiltà, virtù necessaria a preparare il posto al Dio che viene:

«Dobbiamo lasciarci portare, governare, senza resistenze, non agire che secondo i suoi voleri. È  questa la migliore pratica per disporci a far nascere Gesù in noi, che si compiace soltanto dei semplici e degli umili» [9].

Il modello di questo stile di accoglienza è proprio la Vergine Immacolata, l’umile per eccellenza, la piccola alla quale l’Onnipotente ha fatto grandi cose:

 «La Santissima Madre di Dio, fino alla sua completa consumazione, è andata sempre crescendo in virtù e soprattutto nell’umiltà» [10].

È la Vergine dell’attesa, della speranza: guardando a Lei possiamo fare del nostro cuore una culla per i tanti figli che il Figlio ci affida perché, quando Gesù ci fa suoi, ci fa di tutti. Se nel nostro cuore non c’è posto per i fratelli Gesù non sa come entrarci, abita stretto in tanto spazio vuoto! L’orgoglio, ribadisce più volte la Madre Fondatrice, chiude le porte del nostro cuore e lo rende un luogo più inospitale della stalla di Betlemme. L’amor proprio esclude quello verso gli altri e ci rende sterili e duri. E dunque: verginità dell’umiltà, dell’ascolto, dell’accoglienza. Nel cuore di chi mi sta accanto viene concepito lo stesso Gesù che nasce in me!

Il concepimento di Dio è il più grande mistero per l’uomo ed è dono della grazia. All’uomo tocca prepararsi col silenzio e l’abbandono. È qui che l’uomo si ritrova unificato, tocca il suo nucleo più intimo, la sua essenza, sperimentando Dio come il vero mistero dell’amore in se stesso. Dimenticandosi, egli giunge a compimento in Dio e recupera in Dio la vitalità più intensa e la quiete più profonda. Significativo il pensiero di Taulero riportato in un altro contesto dalla Madre nella Giornata religiosa (cap. IV): «Sempre si trova Dio dove si lascia se stessi».

Chi viene generato nell’intimo della nostra anima è Gesù Cristo: noi facciamo esperienza dell’incontro personale con il Cristo che è in noi. È quanto scriveva Giovanni Paolo II al n. 19 della lettera apostolica Mane nobiscum Domine:

«Alla richiesta dei discepoli di Emmaus che Egli rimanesse ‘con’ loro, Gesù rispose con un dono molto più grande: mediante il sacramento dell’Eucaristia trovò il modo di rimanere ‘in’ loro».

Nutrendoci dell’Eucaristia riceviamo in noi le tre Divine Persone:

«Si tratta di una verità di fede che deve farci camminare in profondo rispetto e adorazione di un Dio sempre presente in noi. Sì, tutta l’augusta Trinità risiede in noi» [11].

È consolante e dà gioia questo sentirsi abitate da Dio nella contemplazione di un mistero di piccolezza che ci sorprende e ci sorpassa. Il Creatore dell’universo si rimpicciolisce per entrare in noi, Lui il contenitore di tutto si fa contenuto, l’Immortale entra nel tempo e nei processi vitali di nascita e di morte, l’Infinito si è liofilizzato per dare ai mortali, ai finiti, alle creature, la gioia di concepirlo interiormente. Davvero, come dice Madre Mectilde «noi attendiamo la nascita, nei nostri cuori, di Gesù: il dono dei doni» [12].

Questo dono non ci è dato per essere custodito gelosamente, ma ci è consegnato perché, a nostra volta, alimentiamo negli altri, in un certo senso favoriamo, con la preghiera e la carità, la nascita di Gesù nei loro cuori. Nel dono di Cristo tutti siamo chiamati a farci dono per ogni fratello.

 



* Monaca del Monastero “San Benedetto” di Catania.

[1] CATHERINE MECTILDE DE BAR, Per l'Avvento, in L'anno Liturgico, ed. Glossa, Milano 1997, p. 42.

[2] Ibid., p. 41.

[3] Ibid., p. 40.

[4] EAD., Nel giorno del Glorioso Santo Padre Benedetto (Festa del 4 dicembre), in L'anno liturgico, cit., p. 54.

[5] Ibid., p. 50.

[6] EAD., Nel giorno della festa dell'attesa del parto della Santa Vergine, in L'anno liturgico, cit., p. 61.

[7] EAD., Per il Santo tempo di Avvento, in L'anno liturgico, cit., p. 46.

[8] EAD., Nel giorno del Glorioso Santo Padre Benedetto, in L'anno liturgico, cit., p. 48.

[9] EAD., Per il Santo tempo di Avvento, in L'anno liturgico, cit., p. 45.

[10] EAD., Per la festa dell'attesa del parto della Vergine,  in L'anno liturgico, cit., p. 58.

 

[11] EAD., Per l'Avvento, in L'anno liturgico, cit., p. 42.

[12] EAD., Nel giorno della festa dell'attesa del parto della Santa Vergine, in L'anno liturgico, cit., p. 59.