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Deus absconditus, anno 75, n. 1, Gennaio-Marzo 1984, pp. 14-17
Francois Xavier Durrwell
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Ogni epoca mette in risalto un aspetto o un altro della stessa Eucaristia. Da alcune decine d’anni, l’attenzione della teologia e della pastorale si concentra sull’azione liturgica.
L’Eucaristia è la celebrazione delle «mirabilia Dei», compiute in Gesù Cristo; è la festa della Chiesa che vive nell’ascolto della Parola e nella distribuzione del pane sia celeste che terrestre.
Il Sacramento della Presenza
Ma non bisogna trascurare quest’altro aspetto essenziale: l’Eucaristia è il sacramento della Presenza, dell’incontro col Cristo, della comunione.
Il cristianesimo possiede questo carattere unico: le «mirabilia Dei» sono Qualcuno! Il Cristo è in persona l’Alfa e l’Omega dell’azione creatrice e redentrice; l’incarnazione, di cui la pasqua avvenuta per la morte e risurrezione è il sigillo supremo, è il punto di partenza e il termine della storia di salvezza. «Piacque a Dio di fare abitare in Lui ogni pienezza» d’essere, di potenza e di azione, e «in Lui voi siete ricolmi» (cf. Col 1,19; 2,9s.).
Fin dalle origini, l’Eucaristia è stata percepita come la venuta nella Chiesa di Colui che è la salvezza. La si chiamava «la tavola del Signore» o «la cena del Signore»; era concepita come il pasto in cui il Risorto raduna i suoi attorno a Sé, per renderli partecipi della salvezza, in un pasto d’intimità, io direi di manducazione vicendevole: «Se qualcuno... mi apre, io verrò a lui, cenerò con lui e lui con me» (Ap 3,30).
Se il Cristo non fosse venuto e non si fosse dato alla Chiesa, sarebbe inutile per lei la morte del Cristo. Essa è un fatto personale di Gesù: è la realizzazione del suo proprio mistero filiale, del suo proprio entrare nella piena comunione col Padre, allorché Questi pronuncia su di Lui, risuscitandolo: «Mio Figlio sei tu, oggi ti genero» (At 13,33; cf. Rm 1,4). Ciò che noi chiamiamo mistero redentore non è che Gesù in persona nella sua propria consacrazione pasquale (Gv 17,19), «divenuto per noi... santificazione e redenzione» (1 Cor 1,30). Questo mistero di salvezza personale del Cristo diventa nostro nella misura in cui Cristo ci fa entrare in comunione con Lui. L’Eucaristia è il sacramento della venuta del Cristo e della comunione con Lui: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo dato per voi».
La pasqua di Gesù è un mistero di venuta verso di noi e di partecipazione, come pure di morte e di risurrezione, un mistero che è insieme totale consacrazione al Padre e presenza alla Chiesa. Gesù si è definito come «Colui che il Padre ha consacrato e inviato nel mondo» (Gv 10,36); ecco quindi che nella pasqua Gesù è totalmente consacrato e più che mai inviato: «Al culmine di tutto, Egli l’ha donato come Capo alla Chiesa» (Ef 1,22), «egli riempie ogni cosa» (Ef 4,10). Invece di dire: «Io muoio e risuscito», Gesù giunge a dichiarare: «Me ne vado e vengo a voi. Ancora un po’ e non mi vedrete più e ancora un po’ e (allora) mi vedrete» (Gv 14,28; 16,16). Gesù risuscita verso di noi ! San Pietro costata: questo Gesù che voi avete crocefisso, Dio «l’ha risuscitato e ve lo manda» (At 3,26; cf. 26,23). La presenza di Gesù alla Chiesa è un aspetto essenziale del mistero pasquale e l’eucaristia ne è il sacramento.
La Presenza è salvifica
Quando Gesù dichiara: «Ecco, sono con voi» (Mt 28,20) parla di una presenza tanto attiva e santificante quanto reale. Perché questa presenza è un aspetto del mistero salvatore; il Cristo viene a noi nella sua pasqua, egli viene nella sua morte salvifica, grazie alla risurrezione verso di noi.
San Paolo dice del Risorto che egli è «spirito vivificante» (1 Cor 15,45), tanto vivificante quanto vivente, un essere-sorgente in un continuo e totale atto di donazione di sé. In fisica si conoscono delle sostanze attive radianti; la presenza del Cristo è in questo senso una irradiazione di vita, capace di «trasformare di gloria in gloria» chiunque si espone ad essa (cf. 2 Cor 3,18); i fiumi dello Spirito sgorgano da questa presenza (Gv 7,37-39). Come il fuoco brucia e la luce illumina, così la presenza del Risorto santifica.
L’Eucaristia è tanto azione quanto presenza, è un sacramento permanente di santificazione. Benché la Presenza sia localizzata in ragione del pane e del vino e sembri essere statica, essa è totalmente personale, creatrice di relazione, sprigiona forze di contatto, è diffusiva di sé: una presenza-che-viene, che si comunica, che santifica incorporando ad essa quanti l’avvicinano. La Chiesa è cosciente di questo e usa i suoi diritti di sposa – perché la sposa «dispone del corpo dello sposo» (cf. 1 Cor 7,4) – e conserva in suo possesso la Presenza anche fuori della Messa, affinché perduri a suo vantaggio l’irradiamento di salvezza.
Comunicare alla Presenza
Perché la presenza sia effettivamente salvifica, bisogna che il fedele si metta in accordo con l’Eucaristia. Una stazione radio potrebbe emettere tutte le onde, ma non raggiungerebbe lo scopo se manca l’apparecchio ricevitore, il quale peraltro deve adottare la lunghezza d’onda necessaria.
Né Caifa, né Ponzio Pilato, né il «popolo in generale» ha visto il Risorto, «ma noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui» (At 10,41); egli è visto dai soli discepoli. Si tratta di una Presenza di qualcuno che viene da un altro luogo senza tuttavia lasciarlo, che viene dal mondo celeste, dove solo lo sguardo di fede può immergersi. È una presenza nella morte per noi, cioè nell’amore, per la risurrezione nello Spirito (cf. Rm 8,11) che è amore: questo Cristo non s’incontra che nell’amore. Per l’uomo senza fede e senza carità l’eucaristia è un’assenza, come per i ciechi il sole è senza luce. Capita tuttavia che la Presenza sconvolga pure i cuori che non sono per nulla disposti a ricevere questo fuoco. André Frossard ne è un esempio e ne esistono altri. È questa una prova sconvolgente del suo dinamismo di salvezza.
Pregare nella Presenza
Siccome è dono di sé, creatrice di comunione la presenza eucaristica nella Chiesa è un prodigioso lievito di preghiera. Perché pregare è aprirsi al dono ed entrare in comunione con Dio. La Presenza si offre a noi, ci invita in modo insistente: «Prendete e mangiate!». È un pane che ha fame d’essere mangiato e suscita il desiderio: «Sto alla porta e busso» (Ap 3,20). È una grazia permanente di preghiera.
Pregare nella Presenza è entrare in comunione con essa. Si dice allora che si fa «una visita al SS. Sacramento». In realtà è il Signore che, dai lontani luoghi celesti e senza lasciarli viene incontro alla Chiesa terrestre, per renderla partecipe della sua gloria. La Chiesa orante accoglie la Presenza visitatrice. Alcuni pensano di tenere compagnia al Signore nella sua solitudine dei tabernacoli, ma Egli vi è presente senza lasciare l’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli (Eb 12,23). (È vero Cristo è solo, se lo consideriamo in rapporto agli uomini che sulla terra non l’accolgono). Pregare nella Presenza è lasciarsi reclutare per il Cielo, è riunirsi all’assemblea celeste. Si parla con il Cristo, ma non con parole che s’intersecano, ma in un dialogo in cui, ascoltando la Parola vivente, il fedele si lascia impregnare da essa.
Come ogni celebrazione eucaristica, così la preghiera nella Presenza è retta dalla legge: «Prendete e mangiate!». L’Eucaristia è un pane che si mangia, la preghiera consiste nel ricevere colui che - da parte sua - ci prende in sé; è un festino nuziale dove più che altrove l’amore fa sì che ci si cibi vicendevolmente [1].
La Chiesa si espone alla Presenza, come ci si espone al sole; essa si lascia sposare, cristianizzare dalla Presenza, celebrando la sua esposizione al SS. Sacramento: «E noi, a viso scoperto, noi (contempliamo e) riflettiamo la gloria del Signore e siamo trasfigurati in quella stessa immagine, di gloria in gloria, dal Signore che è spirito» (2 Cor 3,18).
Una volta ho sentito questa obiezione: «È artificioso pregare davanti a un tabernacolo, conversare a distanza col Cristo». Se il segno è localizzato, la Presenza è del tutto personale, è dono di sé: abolisce la distanza e crea il cuore a cuore. Invece di fissare l’ostia, il fedele potrebbe rivolgere lo sguardo verso il suo interno, dove si realizza l’incontro di comunione.
Capita che ci si serva di libri e di preghiere stampate. Ma esiste una preghiera sussistente in se stessa: il Cristo, che è diventato preghiera, come «è diventato redenzione» (1 Cor 1,30). Essendosi consegnato al Padre nella morte, non vivendo che di lui, che lo genera gloriosamente, risuscitandolo nello Spirito, egli è comunione con Dio, egli è preghiera. Bisogna lasciare che questa preghiera s’imprima in noi, bisogna lasciarci inglobare nella comunione del Figlio col Padre nello Spirito. L’Eucaristia introduce nella vita trinitaria.
Essa introduce pure nell’opera della salvezza del mondo. Perché l’Eucaristia durante la messa e fuori di essa è il sacramento pasquale, la presenza di Colui che, risuscitato dalla morte per tutti, è l’opera di salvezza. Sposata dalla presenza pasquale, in una preghiera che è comunione, la Chiesa diventa associata col Cristo nella sua pasqua salvifica e in questa unione produce «numerosi frutti» (Gv 15,5).
* N.d.R. – Siamo grate all’A. di averci benevolmente concesso di pubblicare la traduzione dal francese di questo suo articolo su un argomento che ci sta tanto a cuore. Per chi volesse accostarsi più da vicino alla ricchezza del pensiero teologico-spirituale dell’A. in materia eucaristica, consigliamo la lettura della sua opera: L’Eucaristia, sacramento pasquale, ed. Paoline.
[1] Lett.: l’amour est mangeur mutuellement.