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Deus absconditus, anno 89, n. 2, Aprile-Giugno 1998, pp. 87-93;
n. 3-4, Luglio-Dicembre 1998, pp. 92-101; anno 90,
n. 1, Gennaio-Marzo 1999, pp. 38-42; n. 2, Aprile-Giugno 1999, pp. 45-53;
n. 3, Luglio-Settembre 1999, pp. 40-43; n. 4, Ottobre-Dicembre, pp. 49-52

 

Sr Gianina Rognoni, osb ap

L’Eucaristia in san Benedetto e
Madre Mectilde de Bar in rapporto
all’Eucaristia del
Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica

 

 

 

PREMESSA

 

Sarà opportuno chiarire, in primis, che sia la Regola di S. Benedetto sia gli scritti della nostra Madre Fondatrice, Madre Catherine Mectilde de Bar, non sono trattati ove poter trovare una dottrina dogmatica, nel nostro caso eucaristica, ma piuttosto scritti spirituali che contengono una “dottrina spirituale” per la vita.

Il confronto quindi che verrà fatto con il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica (ed. 1992) sarà in questa prospettiva, tenendo conto anche dell’evoluzione, avvenuta nel corso dei secoli, in seguito alla riflessione fatta dalla Chiesa sul dato tramandato.

Così il fatto che nella sezione liturgica della Regola di S. Benedetto non si trovi nessuna menzione dell’Eucaristia può meravigliare monaci e non del XX secolo, abituati a considerare l’Eucaristia come la parte migliore della loro liturgia quotidiana.

Tuttavia il fatto non è isolato nell’antichità. L’ordo officii di parecchie Regole non ha nulla di più in ciò che riguarda messa e comunione e, se quello di qualche altra Regola se ne occupa, lo fa solo di sfuggita e come per accidens.

Il medesimo carattere indiretto ed esclusivo si riscontra nelle rare indicazioni che S. Benedetto dà a questo riguardo fuori dei suoi capitoli dell’Ufficio.

Della messa e della comunione insieme egli parla una volta, a proposito del rito d’entrata del lettore la domenica mattina (RB 38,2). La comunione sola è menzionata nel seguito dello stesso capitolo e figura, preceduta dalla “pace”, anche nelle prescrizioni sull’ordine della comunità.

Quanto alla messa la si può riconoscere nel servizio all’altare affidato al monaco - sacerdote, come nell’oblazione alla quale si unisce l’impegno dei giovani oblati.

Se la messa e la comunione sono appena menzionate dagli autori delle Regole, e quindi anche da S. Benedetto, lo si deve al fatto che, diversamente dall’ufficio, l’Eucaristia non cade direttamente sotto le loro competenze.

Patrimonio della Chiesa, essa è presieduta e regolata dalla gerarchia. Un legislatore monastico non ha nulla di particolare da prescrivere in tale materia. Mentre i monaci possono e devono esercitare della creatività quanto alla preghiera delle ore, in quello che concerne l’Eucaristia non hanno nulla da fare altro che conformarsi alle norme della Chiesa locale.

La riservatezza delle regole monastiche non denota una minore stima dell’Eucaristia.

In realtà la loro “messa ebdomadaria” con un “semplice servizio di comunione extra missam” nei giorni ordinari è un’altra maniera, né più né meno degna della nostra, di venerare e di trarre profitto da questo grande Sacramento.

La differenza tra di loro non dipende da una stima minore del dono divino, ma da un’opzione diversa circa la maniera di renderlo fecondo.

L’intenzione degli antichi, come la nostra, era di dare all’Eucaristia il più grande rilievo possibile.

Essi lo facevano riservando la messa alla domenica e alle feste, proprio come noi facciamo celebrandola ogni giorno: “Ille honorando non audet quotidie sumere et ille honorando non audet ullo die prætermittere” (Agostino, Ep. 54, 4).

Quello che Agostino diceva della comunione quotidiana o meno nella sua epoca noi possiamo dirlo dei due ritmi della celebrazione della messa, quello dei Monasteri antichi ed il nostro: l’uno e l’altro non mirano se non ad onorare l’istituzione di Cristo.

In un contesto storico e teologico ben diverso viene invece a trovarsi la nostra Madre Fondatrice, Madre Catherine Mectilde de Bar. Come monaca benedettina, Ella visse in quell’ambiente monastico di vitalità eccezionale in cui si trovava la Francia del XVII secolo. Né bisogna dimenticare che, negli ambienti cattolici francesi, stava prendendo il sopravvento la devozione verso la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.

Contribuirono a questo fenomeno numerose cause, tra cui particolarmente, il fatto che la fede nella presenza reale era uno dei punti che più metteva in opposizione cattolici e calvinisti.

Questa devozione, tuttavia, assunse subito un carattere espiatorio a motivo delle profanazioni commesse sovente contro l’Eucaristia, sia da parte dei calvinisti che da parte di numerosi stregoni che ne abusavano per i loro sacrilegi.

Perciò il XVII secolo, dice lo studioso francese G. H. Simon, fu un secolo eucaristico e la sincera pietà eucaristica ebbe vivo il senso della “riparazione” per i sacrilegi così brutalmente commessi dalla soldataglia.

Nacquero così le “Confraternite del SS. Sacramento”; si diffuse l’uso delle Benedizioni Eucaristiche; sorsero gruppi che si prefiggevano come scopo l’Adorazione Eucaristica: il più noto fu quello animato dallo Zamet e dalla celebre cistercense Angelique Arnault (1633).

I “laici impegnati”, come li chiameremmo oggi, vivevano intensamente in questa atmosfera di fervore, per cui, quando Madre Mectilde manifestò il desiderio, il “carisma” che veniva scoprendo in sé, di dedicare cioè il futuro monastero al culto eucaristico, cui l’osservanza integrale della Regola di S. Benedetto offriva il quadro più appropriato per vivere questa spiritualità, furono proprio questi laici a incoraggiarla in tal senso.

Chi tuttavia credesse che l’orientamento eucaristico avesse trasformato in “Sacramentine” le figlie di S. Benedetto, guidate da Madre Mectilde, sarebbe in errore.

Erede della migliore tradizione monastica, consigliata ed appoggiata da illustri monaci mauristi sia nella fondazione sia nella stesura delle Costituzioni ed anche nell’espansione dell’os-servanza, Madre Mectilde fu sempre, e fino in fondo, una vera benedettina.

Pur dando tutta l’importanza al “culto eucaristico”, estrinsecato nelle forme congeniali al suo tempo, essa lo inserì nel quadro preesistente della vita monastica organizzata, senza creare contrasti né squilibri, ed anche il suo insegnamento, eco insieme fedele ed originale della Scuola Francese, dimostra la ricchezza della sua dottrina nella quale viene stabilito un perfetto equilibrio fra il “Sacrificio e la presenza Reale”.

Per questo, ancora oggi, le sue lezioni spirituali non hanno perso nulla del valore dell’at-tualità che le sono proprie.

 

 

 

I. CAPITOLO - L’EUCARISTIA NEL NUOVO CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

 

 

1212 – Con i sacramenti dell’iniziazione cristiana, il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia sono posti i fondamenti di ogni vita cristiana. “La partecipazione alla natura divina, che gli uomini ricevono in dono mediante la grazia di Cristo, rivela una certa analogia con l’origine, lo sviluppo e l’accrescimento della vita naturale. Difatti i fedeli, rinati nel Santo Battesimo, sono corroborati dal sacramento della Confermazione e, quindi, sono nutriti col cibo della vita eterna nell’Eucaristia, sicché, per effetto di questi Sacramenti dell’iniziazione cristiana, sono in grado di gustare sempre più e sempre meglio i tesori della vita divina e progredire fino al raggiungimento della perfezione della carità”.

 

 

  Paolo VI Cost. Ap. DIVINÆ CONSORTIUM NATURÆ AAS 63 (1971), 657 – 664.

      Cifr  Rituale Romano RITO DELL’INIZIAZIONE CRISTIANA DEGLI ADULTI Introduzione generale, 1 – 2.

 

1. Il sacramento dell’Eucaristia

 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica dedica una lunga trattazione all’Eucaristia.

La si trova nel settore in cui si parla dei Sacramenti, e precisamente nell’articolo intitolato «Il Sacramento dell’Eucaristia»(nn. 1322 - 1419).

Di esso vengono illustrati i vari aspetti, manifestati anche dai nomi o espressioni con i quali esso viene indicato Essi vengono presentati nei numeri 1328 - 1332 e sono i seguenti: Eucaristia Cena del Signore, Frazione del Pane, Assemblea eucaristica, Memoriale, Santo Sacrificio, Santa e Divina Liturgia, Comunione, Santa Messa.

«Il Mistero eucaristico è veramente il centro della sacra liturgia, anzi di tutta la vita cristiana. Perciò la Chiesa, istruita dallo Spirito Santo, studia di approfondirlo ogni giorno di più e di vivere più intensamente di esso» (Eucharisticum mysterium).

Ben a ragione il Catechismo afferma, nel numero 1374, che l’Eucaristia nell’organismo sacramentale «occupa un posto unico in quanto è il Sacramento dei Sacramenti»; «gli altri sono tutti ordinati a questo come al loro specifico fine» (San Tommaso D’Aquino, Summa Theologiæ, lll, 65, 3), poiché in esso Cristo associa la sua Chiesa e tutti i suoi membri al proprio sacrificio di lode e di rendimento di grazie offerto al Padre una volta per tutte sulla croce; mediante questo sacrificio egli effonde la grazia della salvezza sul suo corpo che è la Chiesa.

Perché il culto eucaristico sia veramente tale, nella continuità di quello di Cristo, reso al Padre, non basta che esso sia manifestazione esterna del rapporto esistente tra Dio e l’uomo: esigerà che l’uomo si metta in ascolto della voce di Dio per conoscere la sua volontà a riguardo proprio e del mondo, portandolo a ricambiare con amore la sua Alleanza.

2. L’Eucaristia come sacrificio spirituale

Ecco perché, nella denominazione fatta dal Catechismo di Santo Sacrificio, aggiunge ancora: «santo sacrificio della Messa, “sacrificio di lode” (Ebrei, 13,15), sacrificio spirituale, sacrificio puro e santo…».

Già Agostino nel De Civitate Dei diceva:

«Quello che da tutti noi è chiamato sacrificio, è solo il segno del vero sacrificio, il quale consiste in ogni opera buona che si compie al fine di entrare in santa comunione con Dio. Il sacrificio visibile è il Sacramento, ossia il segno del Sacrificio invisibile, interiore».

Il vero culto di Dio consiste nell’entrare in filiale dialogo con lui e rispondere con ubbidienza e fedeltà alla sua Parola.

Il Catechismo al n. 901 parla specificatamente di questo sacrificio spirituale e al n. 1273 parla di esercizio di sacerdozio battesimale “con la testimonianza di una vita santa ... e con una operosa carità”; così pure ai numeri 2099 e 2100 fa la precisazione del sacrificio, come vero sacrificio, cioè interiore e spirituale, generatore del culto esteriore; per questo al n. 2581 parla di conversione del cuore.

È bene sottolineare che questo valore simbolico del sacrificio era visto come essenziale anche da tutta la legislazione sacrificale dell’ Antico Testamento, dato il grande uso che in esso si è fatto del sacrificio:

«Ai vostri padri, quando li feci uscire dall’Egitto, io non feci parola né diedi comandi riguardo agli olocausti ed ai sacrifici. Ma comandai loro solo una cosa: Ascoltate la mia voce e allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (Geremia 7, 22 - 23 Michea 6, 6 - 8).

«Se ascolterete la mia voce e sarete fedeli all’alleanza, sarete tutti un popolo di sacerdoti» (Esodo 19, 5 - 6).

«Possa tu accogliere il nostro cuore contrito e il nostro spirito umiliato al posto degli olocausti di montoni e di tori e delle migliaia di grassi agnelli.Tale sia oggi ai tuoi occhi il sacrificio di noi stessi e ti sia gradito perché ... ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto ...» (Daniele 3, 39 - 41).

Perché il sacrificio spirituale è l’unico vero sacrificio. Nel. salmo 39, 7 - 8 si prega: «Sacrificio e offerta non gradisci; le orecchie mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima d’espiazione; allora ho detto: Ecco, io vengo a fare il tuo volere, come è scritto, a mio riguardo, nel rotolo del Libro».

 

Dio vuole una sola cosa: che si dia ascolto alla sua voce («mi hai aperto le orecchie») e che questo ascolto si risolva in una risposta di pronta e volontaria obbedienza, che abbracci tutta intera la volontà di Dio espressa nella sua Parola «Ecco, io vengo a fare la tua volontà».

Con questo ascolto - risposta si sostituisce il sacrificio in ogni sua forma.

 

3. Confronto con i testi della Regola di San Benedetto e con gli scritti della Madre Fondatrice, madre Mectilde

San Benedetto inizia la sua Regola presentando appunto il monaco come uno che ascolta e obbedisce:

«Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del Maestro, apri docile l’orecchio del tuo cuore, accogli volentieri i consigli del tuo padre buono e impegnati con vigore a metterli in pratica» (Prologo, 1).

Uomo obbediente è chi sta attento alla voce di Dio, chi ascolta con il cuore. Solo in questo modo il monaco può tornare a Dio (Prologo, 2) e cercare Dio (RB 58,7).

Perciò in RB l’ascolto è come via a Dio.

Anche la nostra Madre Fondatrice ci dice:

«La lettura è uno dei mezzi più adatti a conservare il fervore, ma bisogna essergli fedeli. Prima di cominciarla si deve elevare il cuore a Dio e chiedergli luce e grazia perché, come l’anima parla a Dio nell’orazione, così Dio parla all’anima attraverso le sante letture. Non bisogna leggere però per essere più dotta, ma più santa» (Uno stile di Lectio divina p. 57).

«Dio si serve spesso delle letture per illuminarci... sono come muti predicatori che non smettono di bussare al cuore e di illuminare la mente» (Attesa... n. 469 p. 94).

«State attente alla sua voce, ascoltate le sue ispirazioni e sacrificatevi a Lui in tutto quello che a Lui piacerà» (Attesa ... n. 1166 p. 53).

«Guardatevi bene dall’indurire il cuore, come è detto nella nostra S. Regola. Sì, sorelle mie, trascurare un’ispirazione o un piccolo rimprovero interiore della coscienza che ci dice di non fare determinate cose, è indurire il cuore e chiudere gli occhi alla luce della grazia, e questo è il peggiore dei mali» (Attesa ... n. 431 p. 53).

Nel Salmo 50, 19 si proclama la stessa radicale opposizione al sacrificio cruento, ma questa volta l’atteggiamento spirituale di adesione a Dio è chiaramente promosso al rango di “sacrificio”, anzi di un unico sacrificio gradito a Dio:

«Tu non gradisci il sacrificio e se offro olocausti non li accetti. Lo Spirito contrito è sacrificio a Dio e il cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, non disprezzi».

L’offerta interiore del cuore e dello spirito sarà dunque un vero sacrificio e sarà sacrificio spirituale, e quindi non solo in opposizione, ma in netta superiorità al sacrificio di animali “senza spirito”.

San Benedetto, al Cap. IV, 57 della sua Santa Regola, ci dice:

«Ogni giorno nella preghiera confessare a Dio le proprie colpe passate, con lacrime e gemiti e correggersi per non commetterle più in futuro».

Al Cap. XX, 3: “... non saremo da Lui (Dio) esauditi per le nostre molte parole, ma per la purezza del nostro cuore e la compunzione fino alle lacrime”.

Al Cap. LII, 4: “... pregare, in segreto, da solo ... con lacrime e intenzione del cuore”.

La nostra Madre Fondatrice ci dice:

«Se finora non avete vissuto secondo la santità del vostro stato per non averne compreso la grandezza o per mancanza di fedeltà, umiliatevi davanti a Dio e chiedetegli perdon» (Attesa ... n. 950 p. 95).

«Dobbiamo rammaricarci delle nostre infedeltà e di avere così poco profittato del sangue di Gesù Cristo, ma senza alcuna diffidenza della misericordia, che è infinita ... Queste anime umiliate sono gradite al Signore, purché si guardino dall’inquietudine e dall’agitazione, ma restino soltanto nello Spirito di compunzione» (Giornata Religiosa. Attesa ... p. 95).

«Ecco dunque lo stato che anche noi dobbiamo vivere, umiliandoci profondamente davanti alla infinita Maestà di Dio, mediante un duplice annientamento fatto di umiliazione, di vergogna e di confusione per i nostri peccati e per quelli dei nostri fratelli» (Vero spirito Cap. I, 17).

«Amiamo la nostra piccolezza e le nostre miserie e guardiamole sempre nella disposizione di Dio su di noi» (Attesa ... n. 659 p. 55).

«Tendete sempre a Dio …  non desistete dal gemere sempre ai suoi piedi con fiducia e pazienza» (Attesa … n. 1415 p. 61).

«... andate a Dio per le vie di una profonda umiltà e di una continua azione di grazie per le sue misericordie» (Attesa …  n. 2900 p. 93).

 

 CAPITOLO II - L'EUCARISTIA È IL SACRAMENTO DEL SACRIFICIO SPIRITUALE

 

 

Il momento che mette in essere il sacrificio spirituale è quello in cui ci si pone in ascolto della voce di Dio per dare a Lui la risposta che egli gradisce.

L’ascolto - risposta di accettazione della Parola - Volontà di Dio sono dunque gli elementi costitutivi di ogni preghiera sul piano della rivelazione in quanto la preghiera ci dà la conoscenza del piano salvifico divino e costituisce il momento di accettazione di esse.

Il “sacrificio spirituale” è ciò che concretamente risulta dalla preghiera ed è a questa espresso come offerta volontaria.

La preghiera sarà sempre “Sacramento” dell’atteggiamento interiore di adesione alla volontà di Dio ricevuta attraverso la parola.

La preghiera significa e dà esistenza al sacrificio spirituale in quanto offerta volontaria concretamente applicata alla vita.

San Benedetto, dopo aver invitato il monaco all’ascolto, lo esorta:

 

« ... ogni volta che ti accingi a fare qualcosa di bene, chiedi al Signore con ferventissima preghiera di portarlo egli stesso a compimento (Prologo 4). ... con la grazia che egli stesso ci dona dobbiamo cercare di compiere sempre il suo dovere (Prologo 6) .... Gli occhi nostri spalancati alla luce divina, gli orecchi attoniti per lo stupore, ascoltiamo la voce di Dio che ogni giorno si rivolge a noi (Prologo 9). ... Ora egli aspetta che ogni giorno rispondiamo con i fatti ai suoi santi ammonimenti (Prologo 35). ... E così, non scostandoci mai dal magistero di Dio, anzi perseverando nel suo insegnamento ... (Prologo 50)».

La nostra Madre Mectilde ci dice:

«Bisogna andare all’orazione con l’intenzione di abbandonarsi completamente a Gesù e di sottomettersi completamente alla sua volontà» (Attesa … n. 2248 p. 156).

«Quando vi dico di seguire i movimenti della grazia in tutte le sue esigenze non intendo facciate qualche cosa di straordinario» (Attesa ... n. 1218 p. 101).

«Non sono le belle parole, le belle luci, né le dolcezze che fanno una buona orazione, ma la conformità alla volontà di Dio» (Attesa ... n. 607 p. 161).

«Ci sono solo due cose da fare nella vita per essere di Dio: adorare e aderire sempre; dunque adorare e aderire a tutto ciò che fa, a tutto ciò che permette, a tutto ciò che vuole, amando e volendo, accettando tutto per sottomissione ai suoi ordini» (Attesa ... n. 1875 p. 100).

« Il più grande sacrificio che possiamo fare è l’obbedienza, perché obbedendo si rinuncia al potere che si ha di disporre della propria volontà, del proprio giudizio e della ragione per farne un sacrificio, sottomettendoli ai voleri di Dio e delle persone che tengono per noi il suo posto ...» (Giornata della Religiosa da Attesa ... p. 101).

« ... rimanere unite alla volontà di Dio così da diventare una stessa cosa con Lui, mediante la trasformazione della nostra volontà nella sua ... Cedetevi totalmente a Lui, mantenetevi nel vostro nulla alla sua santa presenza e lasciatelo libero di agire in voi e di fare di voi quello che più gli tornerà gradito» (Vero Spirito Cap. 13,3).

«Prendete l’abitudine di darvi spesso a Dio in spirito e ... il rinnovare il vostro sacrificio vi darà la forza di trionfare su voi stesse e sui vostri nemici» (Attesa ... n. 1387 p. 94).

La preghiera, specie quella di lode - ringraziamento sostituisce cosi il sacrificio e rappresenta il culmine della vita religiosa, tanto più quando questa raggiungerà il suo punto di massima purezza e interiorità.

Nella diaspora, dominata dalla lingua greco - ellenica, la lode - ringraziamento si dirà col termine greco eucaristia..

Si vede quindi come tutto assume importanza per la comprensione di quello che è appunto l’elemento essenziale del Cristianesimo sul piano del culto, e cioè il Sacramento dell’Eucaristia.

La duplice evoluzione per la quale nel “sacrificio” si recupera come valore principale quello interiore (sacrificio spirituale) e a questo si dà come espressione adeguata la preghiera di lode e ringraziamento, ossia di Eucaristia trovò il suo punto di arrivo in Cristo.

 

San Benedetto nel capitolo XVI, 5 esorta così: “ ... eleviamo dunque canti di lode al nostro Creatore per i suoi giusti decreti ... ”.

E al capitolo XIX 3 - 5 aggiunge. “Richiamiamo perciò continuamente alla memoria la parola del profeta che dice: Servite il Signore con timore, e cantate inni con arte ... a Te voglio cantare davanti agli angeli”.

Nella lode divina si glorifica il Creatore e si magnifica il suo piano di salvezza: i nostri occhi sono tutti attenti a Dio, il cui sguardo riposa su di noi.

San Benedetto termina questo capitolo con una frase dalla quale traspare tutto il suo anelito per l’atteggiamento interiore; ai versetti 6 e 7 leggiamo: “ ... consideriamo dunque quale debba essere il nostro atteggiamento alla presenza di Dio e dei suoi angeli, e quando cantiamo i salmi cerchiamo di mettere in sintonia il nostro cuore con la nostra voce”.

Ogni volta infatti che richiede un comportamento liturgico esteriore, indica anche il corrispondente atteggiamento interiore, perché non vi sia solo una “devozione delle labbra”, che accorda a Dio l’accesso fin “sulla soglia della bocca”, non nella dimora del cuore.

 

La nostra Madre Mectilde ci dice:

«Per rendere gradito a Dio il Sacrificio di lode è assolutamente necessario che le sorelle si considerino sempre alla sua presenza perché, salmodiando, i loro cuori e affetti siano all’unisono con la lingua e la voce» (dal Cerimoniale, Attesa ... p. 152).

«Vi dirò anche che noi abbiamo ricevuto dal nostro beato Padre l’adorazione perpetua, che è un “laus perennis” interiore. All’origine dell’Ordine ce n’era una esterna, e sarebbe desiderabile che durasse ancora. Ma noi la facciamo mentalmente, adorando giorno e notte» (Attesa ... n. 3129 p. 153).

«È ben giusto riconoscere l’amore che Gesù Cristo ha per noi. Una delle più intime disposizioni che potreste prendere sarebbe di tenervi un profondo rispetto davanti a quell’adorabile maestà, di restare alla sua presenza in un silenzio pieno di stupore, rimanendo più che potete in questo santo raccoglimento che vi tiene quasi sempre in un atteggiamento di adorazione, di ammirazione e di riconoscenza, e che vi porta ad annientarvi amorosamente con dolcezza e fedeltà nelle occasioni» (Attesa ... n. 3137 p. 160).

«Che bella orazione sarebbe rallegrarsi che Dio è quello che è!» (Attesa ... n. 607 p. 161).

 

1. Il sacrificio spirituale du Cristo

Cristo è venuto a portare a compimento (Matteo 5, 17 - 18) il sacrificio, sia nel senso che il suo insegnamento fisserà definitivamente la superiorità del “sacrificio spirituale” su ogni altro sacrificio, sia perché di esso la sua vita e morte saranno la realizzazione più perfetta.

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica:

n. 1357 - Al comando del Signore obbediamo celebrando il “memoriale del suo sacrificio”. Facendo questo offriamo al Padre ciò che egli stesso ci ha dato: i doni della creazione, il pane e il vino diventati, per la potenza dello Spirito Santo e per le parole di Cristo, il Corpo e il Sangue di Cristo: in questo modo Cristo si è reso realmente e misteriosamente presente.

n. 1364 - Il sacrificio che Cristo ha offerto una volta per tutte sulla croce rimane per sempre attuale.

 

San Benedetto ci ammonisce:

«... procediamo sulle vie del Signore, sotto la guida del vangelo, per meritare di vedere colui che ci ha chiamati al suo regno» (Prologo 21) .

«... perseverando nel suo insegnamento ... parteciperemo, con il nostro mite soffrire, alle sofferenze del Cristo, per meritare do condividere pure la gloria del suo Regno» (Prologo 50);

e la nostra Madre Mectilde:

«O mirabile dignità! Ma quanti pochi Cristiani vogliono riconoscere e ancor meno aderirvi, ignorando la loro grandezza e la perfetta unione che hanno con Gesù Cristo, non ricordandosi più che essi sono vittime per essere immolati con Lui, come dice San Paolo, e che hanno ricevuto questo carattere divino nel Battesimo» (Pensieri sulla Riparazione 2279, tratto dallo studio di Sr. V. Andral p. 15).

Le poche volte che Cristo nei Vangeli usa il termine “sacrificio” lo fa sempre per rifiutare il “sacrificio” che non sia espressione di un atteggiamento interiore, soprattutto di carità fraterna (Matteo 5, 23 - 29; 9, 13; 12, 79).

San Benedetto al capitolo 35, 15 - 18 dice che:

«... la preghiera comune prima e dopo l’adempimento di un lavoro faticoso serve ad affidare a Dio, come ricco sacrificio, i servizi dedicati ai fratelli in segno di devozione».

«Il lavoro quindi è avvolto in una atmosfera di preghiera; la dedizione nel servizio fraterno si trasforma in offerta di sé a Dio. Così viene illuminato il “valore” che San Benedetto attribuisce al lavoro: esso è una “azione sacerdotale, un sacrificio».

«Coloro che avran ben servito ... si prenda cura dei malati, dei bambini, degli ospiti e dei poveri ... tratti tutti gli oggetti e tutti i beni del monastero come i vasi sacri dell’altare» (Cap. XXXI 8, 9, 10).

Il servizio reso in totale sottomissione ai fratelli, agli ammalati, ai poveri, agli ospiti, è offerto a Cristo stesso. Cristo serve nella persona dei responsabili; Cristo è servito nei fratelli.

Ogni ministero o diaconia ha in Cristo il suo modello. In un monastero la vita e il lavoro sono interpretati come servizio del tempio “vasi sacri dell’altare” e hanno valore di azione sacerdotale: la dignità del cristiano davanti a Dio consiste nel suo “sacerdozio regale”.

La spiritualità della Chiesa delle origini parla di questo sacerdozio comune esercitato sull’altare del cuore.

Origene scrive: “L’altare è dunque il cuore dell’uomo, ciò che di più nobile vi è in lui. I voti e le offerte sono tutto ciò che viene deposto su di esso. Ad esempio, quando tu innalzi una preghiera a Dio, la tua orazione è offerta, posta nel tuo cuore come su un altare ... Chi è “puro di cuore” è un altare che santifica i suoi voti”.

Secondo Origene l’intera esistenza cristiana è esistenza sacerdotale: “Hai dunque il sacerdozio, poiché sei popolo sacerdotale e perciò devi “offrire a Dio un sacrificio di lode”, ossia il sacrificio della preghiera, della misericordia, del pudore, della giustizia e della santità” .

Anche per Benedetto il “sacerdozio regale” non è una realtà esclusivamente interiore: ogni atto che il cristiano compie con rettitudine di cuore, persino il modo di trattare gli utensili del monastero, assume carattere sacerdotale.

Il carattere di sacralità si manifesta a maggior ragione nei rapporti interpersonali. Il servizio reso in totale sottomissione ai fratelli, agli ammalati, ai poveri, agli ospiti, è offerto a Cristo stesso.

La nostra Madre Mectilde ci dice:

«Appartenendo a Dio siamo date e sacrificate a Lui per Gesù Cristo quali membra del suo Corpo Mistico e perché tutte le cose appartengono a Dio ... La vostra vita è nascosta in Gesù Cristo ... dunque nulla deve apparire in voi che non sia Gesù Cristo» (dallo studio di Sr. V. Andral, 307).

«In tutto dobbiamo vedere soltanto Gesù Cristo, nostro esempio e nostro modello. Imitiamo la sua dolcezza, la sua umiltà, la sua condiscendenza e pazienza verso il prossimo» (Attesa … n. 377 p. 251).

«Vi confesso che fui profondamente toccata il Giovedì Santo, sentendo come S. Giovanni ci descrive l’amore vicendevole che Gesù raccomandava di avere ai suoi discepoli. Sembra che avesse a cuore non tanto l’amore che si deve a Lui, quanto quello che vuole si abbia per il prossimo» (Attesa ... n. 2887 Capitolo di Pasqua p. 256 - 257).

«Di tutti i luoghi del monastero non ce n’è uno dove Gesù Cristo si trovi più presente come l’infermeria.

Là Egli soffre nella persona delle religiose ammalate, sue spose. Non parlo del Coro che è il suo “sancta sanctorum” dove Egli è realmente presente nel santissimo Sacramento, come nel suo trono. Ma nell’infermeria è sulla croce; per questo bisogna comportarsi con rispetto e non fare o dire neanche la più piccola cosa che possa offenderlo» (Attesa ... n. 328 p. 183).

«Per partecipare a questo merito tutte le sorelle serviranno in refettorio e in cucina; nessuna se ne dispenserà senza il permesso della Madre Priora» (Attesa ... Costituzioni p. 181).

Il sacrificio di Cristo inoltre è espressione di amore filiale (Matteo 15, 5 - 9; Marco 7, 11 - 12; cifr. Isaia 29, 13).

San Benedetto, nel Prologo della sua Santa Regola, inizia dicendo: “Ascolta, figlio mio, ... accogli volentieri i consigli del tuo Padre buono ... Con la grazia che egli ci dona dobbiamo cercare di compiere sempre il suo volere, affinché non accada un giorno che Egli, quale Padre sdegnato, ci tolga l’eredità dei figli ...”.

La nostra Madre Mectilde ci dice:

«Attingete in Dio una riserva di fiducia e chiedetegli perdono dell’oltraggio che gli fate diffidando della sua bontà: Egli è vostro Padre e il vostro Salvatore» (Attesa … n. 2004 p. 98).

«tutto ciò che non è Dio, non è niente e pertanto non dobbiamo preoccuparcene … apriamogli il cuore, accogliamo questo sacro innesto, abbandoniamogli la nostra volontà e procediamo con grande attenzione e rispetto a tutte le sue divine operazioni per divenire infine un “altro Cristo» (Attesa ... n. 2636 p. 265).

Il pensiero del Signore al riguardo è indice di una visione chiara e precisa quando dichiara “non lontano dal regno di Dio” lo scriba, il quale affermava che “amare Dio e il prossimo vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici” (Marco 12, 33 - 34).

San Benedetto per ben tre volte ammonisce il monaco ad amare solo Cristo:

Cap. IV, 21                        “niente anteporre all’amore per Cristo”.

Cap. V, l - 2                      “il  primo gradino dell’umiltà è l’obbedienza senza indugio. Essa è propria di coloro che niente hanno di più caro che Cristo”.

Cap. LXXII, 11            “Nulla assolutamente antepongano a Cristo” ... ma lo invita anche a vederlo per Fede nell’ Abate:

Cap. II, 2                “Si sa per fede che egli (l’Abate), nel monastero, fa le veci di Cristo” .

 

… e nei fratelli:

 

Cap. XXXVI, l                     “... degli infermi si deve avere cura prima e sopra ogni altra cosa, sicché davvero si serva a loro come a Cristo in persona”.

Cap. LIII, 17, 15              “Tutti gli ospiti siano ricevuti come Cristo”.

“Perfino nel modo di salutare si mostri somma umiltà a tutti gli ospiti che giungono e partono: inchinato il capo o prostrato tutto il corpo a terra, si adori in esso Cristo che viene accolto. I poveri e i pellegrini siano accolti con particolari cure e attenzioni, perché specialmente in loro si riceve Cristo ... e anche nei fratello”.

Cap. LXIII, 17                    “Prevenitevi a vicenda nel rendervi onore”.

 

La nostra Madre Mectilde ci dice:

 

«Il vostro unico desiderio, la vostra sola passione, deve essere che Dio sia glorificato in tutte le sue creature, che in esse Egli regni e compia i suoi disegni» (Sapore di Dio p. 139).

«Secondo lo spirito della Regola le superiore tengono il posto di Cristo nel monastero … le sorelle le ameranno con amore umile e sincero» (Giornata Religiosa - Attesa p. 61).

«La carità che le nostre sorelle devono avere tra loro le deve portate ad aiutarsi a vicenda» (Giornata Religiosa - Attesa ... p. 253).

«Datevi a vicenda la dolcezza e la soddisfazione di una santa pace e unione» (Attesa ... n. 2028 p. 252).

«Quanto ai poveri che sono le membra di Cristo Gesù si farà loro tutti i giorni l’elemosina. La Madre Priora avrà cura che siano trattati con benevolenza, compatendo le loro sofferenze ... essi ci rappresentano vivamente la persona di Nostro Signore» (Attesa ... Costituzioni p. 214).

«Ordiniamo alle ufficiali di essere esatte nel dare fedelmente ai poveri ciò che sarà stato servito in onore della santissima Vergine» (Attesa ... n. 2349 p. 174).

L’atteggiamento interiore di Cristo, che della sua vita fece un perenne “sacrificio spirituale”, nacque e si consumò nella preghiera.

In Ebrei 10,5 - 7 leggiamo:

«Cristo entrando nel mondo dice (cioè prega): Tu non hai voluto né sacrificio né offerta ... Non hai gradito né olocausti né sacrificio di espiazione ... Allora ho detto: Eccomi, vengo a fare la tua volontà; dato che riguarda me quel che è scritto nel sommario del libro».

Nella Lettera Cristo appare, al principio della presa di coscienza della sua missione, come immerso nella “preghiera”.

Postosi in ascolto della Parola di Dio, Cristo rivede questa Parola divina che nella storia della rivelazione va ripetutamente dicendo che Dio non gradisce sacrifici animali e che al loro posto vuole che con amore e fedeltà si metta in pratica quello che egli comanda e prescrive nel Libro Santo.

Al momento dell’ascolto interiore segue un’altrettanta interiore risposta, e così si compie la “preghiera” di Cristo: riconosciuta ed accettata l’esigenza di Dio che vuole vedere attuata la sua Parola, Cristo passa alla dichiarazione esplicita di piena disponibilità a eseguire fedelmente tutto quello che Dio comanda e domanda, e ciò nella chiara coscienza che questa sua risposta di “offerta, espressa nella preghiera”, vale veramente davanti al Signore più di qualunque sacrificio animale.

«Questo poema divino viene offerto al canto dell’umanità redenta da Gesù Cristo, Verbo del Padre, ed è voce della Chiesa, ossia di tutto il corpo mistico che loda pubblicamente Dio» (S. C. 99).

« ... è quell’inno che viene perennemente cantato nelle sedi celesti e che Cristo, prendendo la natura umana, ha introdotto in questo esilio terrestre».

«Come Sommo Sacerdote della nuova ed eterna alleanza Egli associa a sé tutta l’umanità nell’elevare questo divino canto di lode, ufficio sacerdotale che Cristo continua per mezzo della Chiesa che loda incessantemente e intercede per la salvezza del mondo non solo con la celebrazione dell’Eucaristia, ma anche in altri modi, specialmente con l’Ufficio divino ... Mentre dunque recitiamo l’Ufficio dobbiamo riconoscere l’eco delle nostre voci in quella di Cristo e quella di Cristo in noi» (S. C. 83).

 

Catechismo della Chiesa Cattolica: “L’azione di grazia e la lode al Padre”

n. 1359            L’Eucaristia, Sacramento della nostra salvezza realizzata da Cristo sulla croce, è anche un sacrificio di lode in rendimento di grazie per l’opera della creazione. Nel sacrificio Eucaristico tutta la creazione amata da Dio è presentata al Padre attraverso la morte e la resurrezione di Cristo. Per mezzo di Cristo la Chiesa può offrire il sacrificio di lode in rendimento di grazie per tutto ciò che Dio ha fatto di buono e di bello, di giusto nella creazione e nell’umanità.

n. 1360            L’Eucaristia è un sacrificio di ringraziamento al Padre una benedizione con la quale la Chiesa esprime la propria riconoscenza a Dio per tutti i suoi benefici, per tutto ciò che ha operato mediante la creazione, la redenzione, la santificazione. EUCARISTIA significa prima di tutto “azione di grazia”.

n. 1361            L’Eucaristia è anche il sacrificio della lode, con il quale la Chiesa canta la gloria di Dio in nome di tutta la creazione. Tale sacrificio di lode è possibile unicamente attraverso Gesù Cristo: egli unisce i fedeli alla sua persona, alla sua lode e alla sua intercessione, in modo che il sacrificio di lode al Padre è offerto da Cristo e con Lui per essere accettato in Lui.

 

San Benedetto al Capitolo XLIII, 3 afferma: “Nulla, dunque, si anteponga all’opera di Dio”.

Come nella vita affettiva “nulla bisogna anteporre all’amore di Cristo”, così nelle attività niente può essere considerato superiore all’Ufficio divino, perché esso è una concreta realizzazione dell’invito a “pregare incessantemente”.

Cap. LVIII, 7                      “Si osservi soprattutto se egli cerca veramente Dio, se si dedica con amore all’opera di Dio, all’obbedienza…”.

Veramente, per San Benedetto, l’Ufficio divino è il cuore della vita monastica E, come Cristo si era posto in ascolto della Parola di Dio, anche il monaco deve “ascoltare di tutto cuore le Sante Letture” (Cap. IV, 55); “in giorno di domenica tutti si diano alla lettura” (Cap. XLVIII, 22); “... le ore in cui i fratelli devono dedicarsi alla lettura ... ” (Cap. XLVIII, 17).

Lo studio è raccomandato da San Benedetto perché il monaco possa giungere ad una buona conoscenza della sacra Scrittura per arricchire la memoria con testi ispirati per poterli recitare continuamente, sia all’Ufficio, sia al lavoro.

L’ascolto della Scrittura deve infatti precedere la preghiera e generarla, perché essa è risposta dell’uomo al Verbo di Dio. La Parola di Dio precede, Dio ci ha amati per primo.

La preghiera dell’uomo non può essere che una risposta a questo invito. Sentire la voce di Dio è preambolo necessario di ogni preghiera. È la legge del dialogo, nel quale Dio ha sempre l’iniziativa:

Cap. XVI, l             “Sette volte al giorno io ti lodo”.

Cap. XVI, 4                        “Nel cuore della notte mi alzo per renderti lode”.

Cap. LVII, 9                      “Ut in omnibus glorificetur Deus”.

 

La nostra Madre Mectilde ci dice:

«Figlia mia, voi pregate con la Chiesa per la Chiesa e per le sue intenzioni. Come cristiane siete membra di Gesù Cristo e fate parte del suo Corpo Mistico che è la Chiesa Voi non potete separarvene se non rinunciando al Cristo ed al vostro Battesimo. Ecco come siete legata per sempre alla Chiesa E grazie a questa unione voi fate necessariamente vostre tutte le sue intenzioni» (Sapore di Dio p. 139).

«Sorelle mie, l’Ufficio divino è opera di Dio. Non c’è nulla di così santo e in cui ci sia meno dell’umano quanto la recita dell’Ufficio divino.

Tutto è impegnato a lodare Dio: lo spirito e i sensi. Lo Spirito con l’applicazione, le orecchie per ascoltare, gli occhi per guardare, la lingua per parlare, tutto il corpo con le prostrazioni: tutto viene usato in questo Santo esercizio.

Dobbiamo sempre andare all’Ufficio divino con grande rispetto, con zelo e con santo raccoglimento.

È opera di Dio per eccellenza. Nella Chiesa romana non si chiama in altro modo che “opera di Dio”.

Ricordatevi che parlate a Dio. Che cosa vi dice il nostro glorioso Padre San Benedetto nella sua Regola? Non vi avverte della presenza di Dio e con quale rispetto dovete salmodiare?» (Uno stile di lectio divina ... p. 157 - 158).

«Ridestiamoci con la fede che ci fa conoscere la stima che dobbiamo avere verso Dio e inabissiamoci davanti alla sua grandezza. Stiamo davanti a Dio con l’amore e il rispetto dei serafini che gridano in un profondo silenzio: Sanctus ...

E se non vediamo la sua grandezza con gli occhi del corpo, vediamola con più purezza e verità con gli occhi dello spirito, mediante una semplice adesione di fede» (Sapore di Dio p. 132 - 133).

«Siate fedeli nel restare alla presenza di Dio senza mettervi in pena di non poter fare niente.

Gesù Cristo è colui che vive in noi, noi dobbiamo solo aderire a Lui in umiltà e semplicità di cuore e di spirito … egli non vuole altro da voi che il silenzio e l’annientamento; farete sempre molto se vi abbandonerete senza riserva alla sua potenza … restate umilmente ai piedi di Gesù, stimandovi indegna delle sue grazie» (Attesa ... n. 1746 p. 155).

Nel commentare di seguito il gesto di Cristo, la lettera agli ebrei 10, 8 rileva che questa preghiera (dopo aver detto: Non hai voluto ... soggiunge: Ecco, io vengo ...) è stata talmente efficace da “abolire i precedenti sacrifici per stabilirne uno nuovo, e cioè quello dell’offerta del corpo di Cristo, offerta fatta una volta per tutte” (Ebrei 10, 9 - 10).

E nel suo duplice gesto del pane - corpo sacrificato e del vino - sangue versato per l’alleanza, il Signore ha inteso compiere sul piano rituale il contenuto essenziale della Pasqua, contenuto che si esprime, in coerenza e in rapporto con i due momenti storici dell’avvenimento, come liberazione e come alleanza.

 

Catechismo della Chiesa Cattolica:

n. 1362            L’Eucaristia è il memoriale della Pasqua di Cristo, l’attualizzazione e l’offerta sacramentale del suo unico sacrificio, nella Liturgia della Chiesa che è il suo corpo.

n. 1364            Quando la Chiesa celebra l’Eucaristia fa memoria della Pasqua di Cristo e questo diviene presente: il sacrificio che Cristo ha offerto una volta per tutte sulla croce rimane sempre attuale.

n. 1367            Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell’Eucaristia sono un unico sacrificio.

 

San Benedetto, nel delineare la vita monastica, ha una visione Cristocentrica e pasquale. Già nel Prologo, che è come la “magna charta” della sua Regola, dice:

“Procediamo sulle vie del Signore ... agli inizi la via è stretta e faticosa ... ma poi avanziamo nel cammino di conversione e di fede, si corre con il cuore dilatato e con ineffabile dolcezza di amore sulla via dei divini comandamenti e ... perseverando nel suo insegnamento, parteciperemo, con il nostro mite patire, alle sofferenze di Cristo per meritare di condividerne pure la gloria nel suo regno”.

Nel versetto conclusivo del Prologo sentiamo riecheggiare i veri motivi per i quali i monaci perseverano nella professione intrapresa.

La pazienza e l’assoluta fedeltà, la rinuncia alla volontà propria, fanno di loro dei crocefissi al mondo, ma un necessario passaggio dalla croce alla resurrezione e alla vita nuova in Cristo.

La vita terrena del monaco non è dunque un’agonia continua. Ancor prima del regno dei cieli, essa conosce una certa felicità che San Benedetto qualifica addirittura come “ineffabile” ed è frutto dello Spirito, della vita nuova ottenutaci con la Pasqua di Cristo.

Perciò tutta la vita del monaco ruota intorno alla Pasqua. Nel calendario liturgico benedettino le varie stagioni fanno riferimento alla Pasqua e questo anche per quello che riguarda il lavoro e l’orario dei pasti. La dimensione pasquale è quindi centrale.

 

La nostra Madre Fondatrice ci dice:

«Nostro Signore si è offerto in sacrificio al Padre una sola volta al momento dell’Incarnazione e non è uscito un solo attimo della sua vita dalla disposizione e dallo stato di morte e di sacrificio; è l’obbligo che contraiamo con l’atto della nostra professione che non ci permette di vivere o di usare di tutto ciò che siamo se non per colui al quale ci siamo consacrate» (Attesa ... n. 502 p. 224 - 225).

«Noi siamo consacrate a Dio col Battesimo e riconsacrate con i voti di Religione ... fare voto di seguire Cristo è più che povertà, castità e obbedienza: è vivere come Gesù Cristo» (Attesa ... n. 1240 p. 225).

«Il corpo di Cristo è la sua Chiesa, di cui noi siamo membra: L’eterno Padre ci ha unti con la stessa unzione con cui ha unto il proprio figlio, e il nostro Battesimo è il Battesimo di Gesù Cristo. Col Battesimo siamo morti con Gesù, trasformati in Lui, in modo tale che non dobbiamo più apparire, ma tutte essere perdute e nascoste in Cristo Gesù» (Attesa ... n. 3157 p. 250).

«Una vera figlia di San Benedetto, vivendo una vita di morte, non assomiglia forse a Gesù nell’ostia? Se mi fosse permesso di precisare in dettaglio quali devono essere la disposizione e lo spirito di una vera benedettina, vi convincereste che, con la pratica fedele alla Regola, ella acquisterebbe tutti i modi di essere propri dell’ostia ed entrerebbe in un meraviglioso rapporto con Gesù nella santissima Eucaristia» (Vero spirito p. 161).

«E siccome non eravate sul Calvario per acconsentire alla vostra crocifissione, Nostro Signore vuole che acconsentiate a quella dell’altare, per portare a compimento ciò che manca alla sua Passione (Colossesi 1, 4) in modo che, come sue membra, siate offerte con Gesù Cristo e per mezzo di Gesù Cristo» (dagli Scritti Spirituali di M. Mectilde de Bar Vol. I, p. 14 - 15).

Tuttavia, né per San Benedetto, né per la nostra Madre Fondatrice, non si tratta di fermarsi a questo stadio.

Entrambi hanno di vista il mistero pasquale, al quale cercano di tenersi uniti attraverso questa morte, poiché dopo la morte viene la Resurrezione; dopo il sacrificio la vera Vita, cioè l’unione a Dio, la felicità suprema.

Per San Benedetto il sacrificio fa scoprire al monaco la “dolcezza dell’amore” che è il frutto dello Spirito, che è Pasqua, “Vita eucaristica consumata”.

Infatti il monaco è colui che cammina verso la Pasqua nel gaudio dello Spirito Santo e che ne adopera i mezzi: muore con il Cristo tutti i giorni per resuscitare con Lui.

E così la nostra Madre Fondatrice ci dice:

«Nel Battesimo voi ricevete due vite in Gesù: la sua vita di morte, cioè la vita mortale, la sua vita simile alla nostra e la sua vita risuscitata. San Paolo afferma: siete morti e la vostra vita è nascosta in Gesù.

Il vostro Battesimo è l’espressione della morte di Gesù in croce e della sua Resurrezione. È  quindi necessario che vi ci rapportiate ed uniate» (Catherine De Bar, Ecrits spirituels à la Contesse de Chateauvieux, Paris 1695, 5).

«La parola Pasqua significa passaggio: la Chiesa fa menzione dell’esodo dei figli di Israele dalla loro miserabile schiavitù. È dunque la festa delle anime rigenerate dal peccato alla grazia, ed è la festa del passaggio di Gesù Cristo nella vostra anima e della vostra anima in Gesù Cristo. Nella vostra anima appunto egli vuole operare questo grande mistero e comunicarvi per sempre una vita divina ed eterna, se siete fedeli ... ed allora il figlio di Dio dimorerà in voi facendovi risuscitare in Lui, di modo che non abbiate più altra vita se non la Sua, altro desiderio, altra volontà, altre inclinazioni, insomma che siate tutte rivestite del suo Spirito, in modo che Lui solo si mostri in voi, e voi siate tutte annientate in Lui» (Attesa ... n. 3039 p. 206).

« ... come il grano di frumento non fa nulla per cooperare al suo spuntare o alla sua nuova vita se non restare sotto terra e marcire, così l’anima deve rimanere sepolta nella terra del proprio nulla e della propria corruzione, aspettando con pazienza eterna il momento della sua resurrezione» (Attesa ... p. 51, Mère Mectilde du Saint Sacrement de Bar, Veritable esprit, Paris 1684).

2. La morte di Cristo sulla croce fu sacrificio spirituale

 

Cristo, nella sua vita, portava a termine tutta la scrittura e realizzò in se stesso quel perfetto sacrificio spirituale che era stato da Dio promesso al suo popolo:

“… se avesse ascoltato la sua voce e fosse stato fedele alla sua alleanza ...” (Esodo 19, 5 - 6).

E ciò Cristo fece vivendo in continua perfetta unione alla volontà del Padre e in costante ricerca della sua Parola (Gv. 4, 34; 5, 30; 6, 38 ... 8, 55) e annunciò che la sua “elevazione sulla croce sarebbe stata per tutti la prova di questo suo atteggiamento (Gv. 8, 27 - 28).

Ecco perché per San Benedetto l’obbedienza è il valore fondamentale nella vita monastica, che consiste essenzialmente nell’ascolto e nella totale disponibilità.

Cap. V - “Essa (l’obbedienza) è propria di coloro che ritengono di non avere assolutamente niente di più caro di Cristo ...

... uomini simili si conformano certamente alla parola del Signore che dice: Non sono venuto per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”.

Il monaco che abbraccia la via dell’obbedienza vuole rendersi partecipe della totale dedizione di sé del Cristo e lasciarsi invadere dal suo “amore che urge”.

Il suo modello è infatti l’obbedienza e la spogliazione di Gesù obbediente fino alla morte di croce, la rinuncia alla volontà propria del Servo del Signore.

Possiamo quindi parlare di un’obbedienza d’amore, che Cristo ha vissuto prima di noi, abbassando se stesso e facendosi nostro fratello per stabilire una nuova comunione fra gli uomini, nella quale il cenobita desidera entrare.

Per questo, anche nel PROLOGO, San Benedetto indica la via del ritorno a Dio:

“Attraverso la fatica laboriosa dell’obbedienza potrai ritornare a colui dal quale ti eri allontanato cedendo alla pigrizia della disobbedienza. A te si rivolge dunque questo mio discorso, chiunque tu sia, che, rinunziando alle tue proprie volontà per servire Cristo, il vero Re, assumi le fortissime e gloriose armi dell’ obbedienza”.

 

Catechismo della Chiesa Cattolica:

n. 615 “... con la sua obbedienza fino alla morte Gesù ha compiuto la sostituzione del servo sofferente che “offre se stesso in espiazione” mentre porta “il peccato di molti” e li giustifica, addossandosi “la loro iniquità”. Gesù ha riparato i nostri errori e dato soddisfazione al Padre per i nostri peccati”.

 

La nostra Madre Fondatrice dice:

«Tutta la sostanza della nostra S. Regola non è che obbedienza e non me ne stupisco, perché il nostro beato Padre San Benedetto era ripieno dello spirito di tutti i giusti, che non è altro che quello di Gesù Cristo Nostro Signore, modello di una perfetta obbedienza, alla quale si è votato fin dal momento della sua incarnazione.

È lo stato che Egli ha vissuto nella sua vita divinamente umana, ed è quello che conduce ancora nella sua vita eucaristica dove si è impegnato ad essere e a restare fino alla fine dei secoli.

Sorelle mie, quale amore dovremmo avere per l’obbedienza; considerando un Dio obbediente! .... ma anche quale fedeltà dobbiamo a questa virtù poiché la nostra Santa Regola ce la comanda espressamente.

Essa non è che un’emanazione dal cuore di Gesù in quello del nostro Padre Benedetto.

È l’obbedienza stessa di Gesù che santifica la nostra e ci dà la grazia e la forza per obbedire» (dallo Studio di Sr. V. Andral p. 55 - 1761) .

«... L’obbedienza è dunque il vostro principale obbligo quali religiose di San Benedetto, e non lo è di meno per la vostra qualità di Figlie del SS. Sacramento. perché il nostro istituto ci obbliga ad un rapporto di conformità con Gesù Cristo che è stato obbediente fino alla morte di croce.

Obbedienza che Egli continua ancora sull’altare. San Paolo dice di Lui due cose: “ha obbedito e si è annientato”.

Dopo questo esempio non cercate ragioni per dispensarvi dall’obbedienza. Leggete spesso la Santa Regola per imprimervene lo spirito» (dallo Studio di Sr. V. Andral p. 56 - 1963).

« ... Il più grande sacrificio che possiate fare è l’ obbedienza …» (da Attesa ... p. 101 - Giornata Religiosa).

Proprio la sottolineatura della dimensione sacrificale ci aiuta a cogliere il nesso così vitale per noi, tra obbedienza ed Eucaristia, obbedienza, mistero pasquale e vita trinitaria. È carisma specifico della Madre, come si esprime Suor Veronica Andral nel suo studio “Dottrina spirituale di Madre Mectilde de Bar”, il modo concreto, attraverso il quale nel nostro quotidiano viviamo ciò che nell’Eucaristia celebriamo: offrirci con Cristo come oblazione a Dio gradita.

Anche l’esortazione di San Benedetto che richiama l’invocazione del Padre Nostro, a fare non la volontà propria, ma quella di Dio, coinvolge tutta la persona, corpo e anima.

In tale vincolo di obbedienza, nella povertà e nell’abnegazione, si realizza così il mistero della Pasqua nella persona del monaco.

 

Catechismo della Chiesa Cattolica:

n. 613 “La morte dei Cristo è contemporaneamente il sacrificio pasquale che compie la redenzione definitiva degli uomini per mezzo dell’“Agnello che toglie il peccato dal mondo” (Gv. 1, 29) e il sacrificio della Nuova Alleanza che di nuovo mette l’uomo in comunicazione con Dio, riconciliandolo a Lui mediante il sangue “versato per molti in remissione di peccati” (Mt 26, 28)

n. 614 Questo sacrificio di Cristo è unico: compie e supera tutti i sacrifici ... è offerta dal Figlio che liberamente e per amore offre la propria vita al Padre Suo nello Spirito santo per riparare la nostra disobbedienza.

Se il sacrificio spirituale consiste nell’offerta di se stessi a Dio per metterne in pratica, nell’obbedienza, la Parola, esso non può non nascere dalla preghiera, che è sempre un ascolto - risposta.

Infatti, sempre “nei giorni della sua vita terrena” Cristo offri in sacrificio preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a Colui che poteva liberarlo dalla morte e “fu esaudito” (Ebrei 5, 7).

Dall’ultimo giorno della sua vita. terrena sappiamo quale era il contenuto delle preghiere e suppliche nelle quali Egli offriva il suo sacrificio al Padre: era la continua ricerca e accettazione della volontà del Padre, fino a dichiararsi disposto a “bere tutto il calice” della sofferenza (Mt 20, 22 - 23); ricerca e accettazione che di quell’ultima preghiera fece una “lotta prolungata” (Lc. 26, 37 - 45) fino a fargli sentire in maniera opprimente il peso della debolezza umana., tanto da dover chiedere l’aiuto ed il conforto della preghiera dei discepoli (Mt 26, 41).

Quella volta il sacrificio spirituale della sua obbedienza al Padre aveva veramente il sapore della morte; e quella sua preghiera ne era l’accettazione, quando pregava: Se è possibile, Padre, passi da me questo calice, tuttavia, non come voglio io, ma come vuoi tu (Mt 26, 39).

È in questa ultima preghiera di Cristo che il sacrificio spirituale da Lui sempre vissuto nella ricerca della volontà del Padre “fin dal suo ingresso nel mondo” (Ebrei 10, 5) avviò Cristo alla sua consumazione, ossia a quella perfezione del suo sacrificio che gli venne attraverso la sua passione e morte.

In altre parole: la preghiera aveva dato origine al sacrificio spirituale di Cristo e la preghiera fece della morte di Cristo un sacrificio perfetto, in quanto la morte è l’ultimo atto dell’offerta interiore nella quale consiste appunto il sacrificio spirituale.

Se mai c’è stato al mondo un vero sacrificio spirituale, esso è quello di Cristo, che “nello Spirito eterno si offrì immacolato a Dio” (Ebrei 9, 14).

Nella sua preghiera egli ha vissuto il suo sacrificio spirituale che dal suo ingresso nel mondo (Ebrei 10, 5) lo ha accompagnato perennemente.

 

Catechismo della Chiesa Cattolica:

n. 2598            L’evento della preghiera ci viene pienamente rivelato dal Verbo che si è fatto carne e dimora in mezzo a noi. Cercare di comprendere la sua preghiera attraverso ciò che i suoi testimoni ci dicono di essa nei Vangeli, è avvicinarsi al Santo Signore Gesù come al roveto ardente: dapprima contemplarlo mentre prega, poi ascoltare come ci insegna a pregare, infine conoscere come egli esaudisce la nostra preghiera.

n. 2611            La preghiera di fede non consiste soltanto nel dire “Signore! Signore!”, ma nel disporre il cuore a fare la volontà del Padre (Mt 7, 21). Gesù esorta i suoi discepoli a portare nella preghiera questa passione e collaborare al Disegno divino .

n. 521                     Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in Lui e che egli lo viva in noi ... Siamo chiamati a formare una sola cosa con Lui, egli ci fa comunicare come membra del suo corpo a ciò che ha vissuto nella sua carne per noi, come nostro modello.

 

San Benedetto, per questo, al Cap. XLIII, 3 dice: “Nulla, dunque, si anteponga all’opera di Dio!”.

La salmodia, come ogni lettura biblica, semina nelle anime la parola di Dio. Sentire la voce di Dio è il preambolo necessario ad ogni preghiera. Ma se il salterio, nella sua totalità di scritto ispirato, è parola di Dio agli uomini, esso abbonda anche di preghiere degli uomini a Dio.

Ma questa preghiera riceve la sua unità dal cuore di Cristo. Volle infatti il nostro Redentore che la vita da Lui iniziata nel corpo mortale con le sue preghiere e col suo sacrificio, non venisse interrotta per il volgere dei secoli nel suo Corpo mistico che è la Chiesa, cosicché la preghiera della Chiesa è insieme preghiera che Cristo, col suo Corpo, rivolge al Padre.

È questo lo scopo supremo della Liturgia: quello di agganciare saldamente a Lui tutta la nostra vita, innestando la nostra umile vicenda quotidiana nel suo mistero sempre attuale.

L’Ufficio consacra così la giornata intera, facendone una continua celebrazione del Mistero di Cristo.

Ma San Benedetto si preoccupa di dare una visione pasquale alla fatica laboriosa del monaco.

È infatti partecipando alla Croce di Cristo che nascono, quale “mozione dello Spirito” gioia, amore, libertà e dilatazione del cuore.

La gioia interiore non può sorgere all’improvviso nel giorno della Resurrezione, ma deve essere viva e presente già nel tempo della lotta, quando, partecipando alle sofferenze di Cristo, ci crocifigge la “carne con le sue passioni e i suoi desideri”.

Ed allora “gli occhi del nostro cuore” si fissano sulle realtà future, alla cui luce la Croce trova la sua giustificazione.

Così anche le vigilie hanno un carattere pasquale, in attesa della resurrezione. Nel buio della notte, al morire della luce, si ha il richiamo della morte di Cristo. Nel buio l’uomo scopre sé indifeso, incapace, senza aiuto e percepisce la propria creaturalità. La sua unica speranza è posta in Dio, il creatore della luce, che l’uomo aspetta con pazienza e speranza.

Ma il giorno muore per rinascere e recare nuova luce: prelude cioè al ritorno di Cristo e al suo secondo avvento che ci introdurrà nella gloria.

È quindi l’Ufficio notturno una veglia in attesa della resurrezione, un preludio all’immortalità. Riassume in sé tutto il mistero pasquale nelle sue fasi: morte e vita.

Nelle vigilie il monaco percepisce quasi tangibilmente la realtà della sua vita, l’essere della sua vita una esistenza nella fede, per la quale ci vuole pazienza, speranza. Occorre aspettare, vigilare, rimanere nell’ attesa, ascoltando la Parola di Dio che esprime le sue promesse.

Nel buio, ascoltando queste parole, i monaci le proclamano l’uno all’altro, mentre insieme vegliano nell’attesa del grande avvenimento della Pasqua eterna, cioè il Regno eterno, e lodano Dio Creatore.

Per questo possiamo essere felici, rimanendo con gioia e speranza “nell’attesa della sua venuta”.

 

La nostra Madre Fondatrice ci dice:

«Se volete essere trasfigurate, dovete andare alla montagna dell’orazione pura: Grazie a questa orazione l’anima è veramente trasfigurata, è tutta spogliata di sé e rivestita di Dio.

Si sale percorrendo il sentiero dell’orazione e della mortificazione; e quando l’anima arriva alla cima, trova il Cristo trasfigurato che parla dell’eccesso del suo amore e delle sue sofferenze divine.

Su questa montagna l’anima è attentissima a Dio; essa ascolta il Verbo divino rivestito della nostra carne che parla al suo cuore e la istruisce sul suo amore e sui suoi misteri.

Lasciamoci condurre su questa montagna!

Innalziamoci con la fede e ascoltiamo la divina lezione del nostro adorabile maestro: Egli ci parla dell’eccesso della sua passione per insegnarci che la gloria e la felicità di Gesù era il soffrire per noi, per testimoniarci il suo amore.

Portiamo grande rispetto e amore alle parole sante di Gesù, desideriamo che esse siano operanti nell’intimo dei nostri cuori e che imprimano in noi un amore potente alla sua croce, poiché i contrassegni della trasfigurazione di un’anima sono: unirsi a Cristo Gesù in croce, amare e parlare della croce, e sulla croce essere consumata.

Siate trasfigurate in questo modo e non abbiate gioia più intima se non nel patire per Gesù e con Gesù» (Sapore di Dio p. 121 - 122).

 

CAPITOLO III – ELL’EUCARISTIA LA CHIESA ATTUA IL SACRIFICIO DI CRISTO OFFRENDO IL PROPRIO “SACRIFICIO SPIRITUALE”

 

l.  Nell’Eucaristia la Chiesa attua il sacrificio di Cristo

 

Nell’Eucaristia la Chiesa ha sempre inteso di ubbidire al comando dato da Cristo quando disse: “Fate questo in memoria di me”.

Ma che cosa, in concreto, Cristo ha comandato di fare?

Quel che Cristo aveva fatto nell’ultima cena era, a prima vista, certamente un rito il quale, mentre era in stretto rapporto con la Pasqua antica, la superava poiché la riempiva di un contenuto nuovo: era infatti il rito che si riferiva alla liberazione di tutti gli uomini e alla loro alleanza con Dio in forza del personale sacrificio di Cristo.

 

Catechismo della Chiesa Cattolica:

n. 1340            Celebrando l’ultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto pasquale, Gesù ha dato alla Pasqua ebraica il suo significato definitivo.

Infatti la nuova Pasqua, il passaggio di Gesù al Padre attraverso la sua morte e la sua resurrezione, è anticipata nella cena e celebrata nell’Eucaristia, che porta a compimento la Pasqua ebraica e anticipa la Pasqua finale della Chiesa nella gloria del regno.

E in verità la Chiesa ha imparato dall’ultima Cena di Cristo il rito che essa poi chiamerà Cena del Signore ed Eucaristia, perché in essa vi sono del pane e del vino da mangiare, vi è una preghiera detta appunto Eucaristica.

n. 1341            Quando Gesù comanda di ripetere i suoi gesti e le sue parole “finché egli venga” (1 Corinti 11, 26) non chiede soltanto che ci si ricordi di Lui e di ciò che ha fatto.

Egli ha di mira la celebrazione liturgica, per mezzo degli Apostoli e dei loro successori, del memoriale della sua vita, della sua morte, della sua Resurrezione e della sua intercessione presso il Padre.

n. 1342            Fin dagli inizi la Chiesa è stata fedele al comando del Signore ...

Ma bisogna interrogarsi di nuovo: che cosa Cristo ci ha veramente comandato di fare se ciò non è semplicemente un rito?

Per comprendere il contenuto del rito dobbiamo cercare di capire il gesto di Cristo che sta a monte del suo comando: “Fate questo in memoria di me”.

Ecco ciò che Cristo ha fatto:

1) Cristo è in posizione di preghiera di lode e ringraziamento, quale è la berakkàh rivolta al Padre;

2) la sua lode - ringraziamento si esprime in sentimenti e parole in cui presenta al Padre, in rinnovata fedeltà e obbedienza alla sua voce, l’offerta di se stesso, in quanto fa della sua vita un sacrificio spirituale al Padre stesso;

3) per evidenziare agli Apostoli il senso sacrificale della sua imminente Passione e morte, che fino ad allora egli solo conosceva, concretizza il suo sacrificio spirituale trasferendolo nei simboli reali del suo corpo sacrificato e del suo sangue versato per l’alleanza, simboli che, per le parole con cui vengono presentati agli Apostoli, formano l’immagine concreta della sua Passione e di essa scoprono il significato sacrificale.

4) Ciò fatto egli rivolge la sua attenzione agli Apostoli e dà loro da mangiare e bere il suo corpo ed il suo sangue, per indicare quale intima e reale comunione i suoi fedeli devono avere con il suo sacrificio;

5) infine comanda che tutto questo, essi, da quel momento in poi, lo facciano “in memoria di me”.

 

Catechismo della Chiesa Cattolica:

n. 1357            A questo comando del Signore obbediamo celebrando il memoriale del suo sacrificio. Facendo questo, offriamo al Padre ciò che egli stesso ci ha dato, i doni della creazione, il pane e il vino, diventati, per la potenza dello Spirito Santo e per le parole di Cristo, Corpo e Sangue del Signore: in questo modo Cristo è realmente e misteriosamente presente.

n. 1358            Dobbiamo dunque considerare l’Eucaristia

- come azione di grazia e lode al Padre,

- come memoriale dei sacrificio di Cristo e del suo Corpo,

- come presenza di Cristo in virtù della potenza della sua parola e del suo Spirito.

n. 1382            ... La celebrazione del sacrificio eucaristico è totalmente orientata all’unione intima dei fedeli con Cristo attraverso la Comunione. Comunicarsi è ricevere Cristo stesso che si è offerto per noi.

In quello che Gesù ha fatto, ci è indicato il come i discepoli devono farlo:

l) Si metteranno in preghiera, e sarà una preghiera nella quale la loro lode - ringraziamento (che chiameranno Eucaristia), nascendo dalla memoria di tutto quello che il Padre ha fatto per loro (e in loro a tutto il mondo) per mezzo del Figlio Gesù Cristo nello Spirito Santo, si esprimerà e si condenserà nel proposito di fare essi per Cristo e nello Spirito Santo la volontà del Padre. Sarà insomma una preghiera che avrà tutto il valore di un sacrificio di lode offerto a Dio, perché per essa gli oranti fanno di se stessi e della loro vita presente e futura un sacrificio spirituale al Padre.

2) Al sacrificio spirituale non mancherà il suo simbolo che, mentre lo esprime esternamente, ne contiene in sé il valore. Il pane e il vino, che il discepolo, o altri in suo nome, porrà sull’altare, costituiscono il simbolo reale (contiene l’offerta che significa) per mezzo del quale, davanti alla propria coscienza e insieme davanti alla comunità, si manifesta la propria volontà di essere un povero ma vero sacrificio spirituale a Dio.

3) Quel pane e vino non sono solo i simboli di quelli che stavano nell’ultima Cena sulla mensa del Signore e Cristo, nel vederli, non li scorge semplicemente nella loro natura di cibo e bevanda, ma scopre in essi il medesimo valore simbolico di allora: sono infatti oggi il simbolo del sacrificio spirituale di un discepolo, come lo erano allora del suo.

3) Ma il sacrificio spirituale del discepolo, anche se di valore certamente limitato e di molto inferiore a quello di Cristo, non è essenzialmente diverso da esso, e quindi Cristo ne può prendere in mano i simboli e ad essi dare, come allora, la consistenza stessa del suo sacrificio spirituale. Egli infatti riconosce nei simboli del discepolo la stessa, sebbene più povera e debole, volontà di obbedienza e fedeltà alla Parola del Padre che aveva Lui e quindi nei simboli del discepolo Cristo può riconoscere se stesso; per questo sul pane e vino del discepolo egli può dire “ ... questo è il mio corpo ... questo è il calice del mio sangue”.

È infatti evidente, anche se non sempre lo si avverte, che oggi è nel pane e nel vino del discepolo che si attua il corpo e sangue di Cristo, e che il gesto di consacrazione e trasformazione, che direttamente si volge al pane e al vino, indirettamente agisce sull’ offerente il cui sacrificio spirituale, segno di rinnovamento trasformatore del nostro spirito nella conoscenza della volontà di Dio (Romani 12, 2), viene integrato nel sacrificio di “Cristo, per compiere quel che manca alla passione di Lui” (Colossesi 1, 24).

In questo modo nella celebrazione il discepolo fa veramente quel che Cristo aveva fatto, ma lo fa in se stesso, appunto come Cristo, e non solo nel rito; conseguentemente è normale che il pane e il vino da lui presentati come simbolo di quello che egli veramente è diventino Sacramento del sacrificio di Cristo; e per la via del segno sacramentale il suo sacrificio spirituale si. unisca fino a formare una cosa sola con il sacrificio del Signore.

 

A questo punto, ricevere la comunione nel pane che era nostro sacrificio e che ora è diventato il Corpo di Cristo è indice che il nostro sacrificio viene ratificato dalla presenza di quello di Cristo.

Lo mangiamo per avere in noi la vita che vogliamo vivere in Cristo, facendo, come Lui, della volontà del Padre il nostro cibo.

Solo in una comprensione la quale, nel fare quel che Cristo ci ha comandato di fare, ci porti al di là del rito, si ha la vera intelligenza dell’Eucaristia.

Ma Cristo ha lasciato alla Chiesa il Sacramento memoriale del sacrificio della croce al fine preciso che il suo sacerdozio non venisse mai meno.

E il sacerdozio di Cristo è invece perennemente attivo ogni volta che il suo sacrificio perfettissimo si può nuovamente realizzare nel sacrificio, debole e povero, ma vero, che il discepolo fa quando si consacra a Dio per morire al mondo e vivere con Dio solo ... quando per Dio raffrena e domina nella temperanza il proprio corpo ... quando la sua stessa anima, accesa dell’amore di Dio, si sforza di perdere ogni forma di desiderio mondano per piacere solo a Dio.

“Essendo questi i veri sacrifici, avviene che in questo modo tutta intera la città redenta ... viene offerta in universale sacrificio a Dio per mezzo del grande sacerdote, Cristo, il quale ha offerto se stesso affinché noi potessimo essere il corpo di Lui capo” (S. Agostino: De civitate Dei 10, 6; PL 41, 284).

“Nella sua umanità Cristo è sacerdote, anzi è allo stesso tempo offerente e offerta: e di questa sua realtà egli ha voluto che ne fosse Sacramento il quotidiano sacrificio della Chiesa; in esso infatti la Chiesa, essendo corpo di Cristo, impara a offrire se stessa per mezzo di Lui”.

È sul sacerdozio di Cristo che la Chiesa si modella Come Cristo fu sacerdote, ossia offerente di se stesso in forza del suo sacrificio spirituale, così lo è anche la Chiesa: non può offrire altro che se stessa.

Ma questa stessa auto offerta, perché possa essere degna del Padre, deve passare per le mani e per il sacrificio stesso del sommo sacerdote Cristo.

È quello che avviene in ogni Eucaristia: mentre ci presenta il sacrificio da Cristo offerto una volta per tutte, mette in perenne esercizio il sacerdozio di Lui, in quanto è per mezzo suo che il sacrificio spirituale dei cristiani, inserito in quello di Cristo, assume quella dignità che lo rende gradito a Dio.

Questo spiega perché l’Eucaristia da sempre, si fa “per Cristo, con Cristo e in Cristo”.

 

2.  L’Eucaristia è anche il sacrificio della Chiesa

 

Catechismo della Chiesa Cattolica:

n. 1368            L’Eucaristia è anche il sacrificio della Chiesa.

La Chiesa, corpo di Cristo, partecipa all’offerta del suo capo. Con Lui, essa stessa viene offerta tutta intera. Essa si unisce alla sua intercessione presso il Padre a favore di tutti gli uomini.

Nell’Eucaristia il sacrificio dei Cristo diviene pure il sacrificio delle membra del suo corpo. La vita dei fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, le loro preghiere, il loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta totale e in questo modo acquistano un nuovo valore. Il sacrificio di Cristo presente sull’altare offre a tutte le generazioni di cristiani la possibilità di essere uniti alla sua offerta.

 

Nelle catacombe la Chiesa è spesso raffigurata come una donna in preghiera, con le braccia spalancate, in atteggiamento orante. Come Cristo ha steso le braccia sulla croce, così, per mezzo di Lui, con Lui ed in Lui essa si offre e intercede per tutti gli uomini.

n. 1369            Tutta la Chiesa è unita all’offerta e all’intercessione di Cristo.

Investito del ministero di Pietro nella Chiesa, il Papa è unito a ogni celebrazione dell’Eucaristia nella quale viene nominato come segno e servo dell’unità della Chiesa universale ... È attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto, perché viene unito al sacrificio di Cristo, unico mediatore; questo sacrificio infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell’Eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore.

 

Ecco perché San Benedetto stabilisce che sia la professione monastica sia l’offerta da parte dei genitori dei propri figli venga fatta a Dio durante la celebrazione eucaristica, al momento dell’offertorio:

Cap. LVIII n. 20, 21            “… scriva la promessa e ... di sua mano la deponga sull’altare … Il novizio intoni il versetto: Accoglimi, Signore, secondo la tua parola e avrò vita; non deludermi nella mia speranza”.

Cap. LIX n. 8                      “... offrano a Dio il loro figlio ... presentandolo insieme con l’offerta sull’altare”.

 

Nel dono di sé il neo professo si associa così a Cristo che nella sua offerta “spogliò se stesso”. E nel versetto “Accoglimi Signore ...” il monaco dà a Dio “quel che da Dio ha ricevuto” e con umiltà e fiducia lo supplica di accoglierlo quale sacrificio a Lui gradito.

Come nelle celebrazioni eucaristiche il sacrificio sfocia nella lode di Dio e della Santissima Trinità e conduce alla comunione, così l’offerta della professione sfocia nell’incorporazione in seno alla famiglia monastica.

I monaci, nell’offerta totale di sé, desiderano conformarsi in tutto a Gesù che, spogliato sulla croce, ha consumato la sua totale oblazione al Padre.

Così la persona del monaco, come quella del fanciullo, è ritualmente associata al pane e al vino, al corpo e al sangue di Cristo.

La congiunzione quindi dell’impegno monastico con il sacrificio eucaristico è piena di significato e si capisce quindi perché sia diventata la norma generale per ogni forma di consacrazione a Dio.

Farsi monaco è affermare e approfondire la relazione col Cristo morto e risorto, relazione stabilita una volta per tutte col Battesimo.

 

La nostra Madre Fondatrice ci dice:

 

«Facendo parte del suo corpo, dobbiamo essere immolate con Lui. Nel santo sacrificio della Messa ... la vittima che viene offerta è lo stesso Figlio di Dio.

Il divin Figlio viene sacrificato alla gloria del divin Padre, infinito in tutte le sue perfezioni: è un Dio che si offre a un Dio! Il Figlio, infinito, è il primo ed il principale sacerdote che si offre al suo divin Padre.

Questo Figlio, infinito, offre se stesso in sacrificio, in modo perfettissimo e incomprensibile» (Vero Spirito p. 41, 43).

«Questa vittima santa e adorabile del Padre Eterno si è offerto una volta in sacrificio sulla croce per i peccati di tutti gli uomini, avendo sparso il suo prezioso sangue sino all’ultima goccia per pagare alla giustizia del Padre suo divino tutti i nostri peccati, ma siccome non può più soffrire in questo modo, versando sangue, perché ora è glorioso in cielo, si offre ogni giorno e in ogni momento sui nostri altari per le mani dei sacerdoti ch’egli ha istituiti sulla terra per essere nostri mediatori, come Egli lo è per noi in cielo presso il Padre per ottenere il perdono dei nostri peccati» (Il Messaggio Eucaristico p. 76, 77 n. 14 Conversazioni sulla Messa 27 ottobre 1694).

“(Nella Messa) il primo e principale sacerdote e vittima è ancora lo stesso Figlio infinito di Dio che si sacrifica a Dio Padre in persona e per le mani del Sacerdote; è Lui che, con la bocca del sacerdote, pronuncia le sacramentali parole che operano il sublime mistero: questo è il mio corpo!

Perciò, anche nei salmi, è chiamato dal Padre sacerdote eterno.

Con la bocca del sacerdote Gesù dice: “Quotiescumque feceritis, in mei memoriam facietis”.

Bisogna dunque rinnovarlo ogni giorno (il sacrificio) davanti al Padre, per riparare la gloria che le nostre colpe gli rapiscono e soddisfare questa giustizia offesa.

Lo rinnova pure nei nostri cuori per accendervi un nuovo braciere del suo amore, perché è questo amore infinito che nutre per noi a tenerlo assoggettato e a farlo obbedire puntualmente alla voce del sacerdote quando dice: “hoc est corpus ...”.

È possibile vedere Gesù sull’altare, immolato veramente come sul calvario, che esprime con la voce del suo sangue sparso: “Muoio e mi sacrifico di nuovo a tutte le ore e in tutti i momenti per voi”, e pensare ad altro piuttosto che a questo amore infinito che gli toglie la vita? (Il Messaggio Eucaristico p. 80, n. 1836 Scritti).

“Non devo presentarvi solo Gesù Cristo offerto al Padre in qualità di vittima per i peccati del mondo, ma devo presentarvelo anche negli effetti attuali di questo stato.

È vero che celebra la sua Prima Messa oggi, nel Tempio, e che glorifica infinitamente il Padre con la sua immolazione, ma è pure nostra ostia e salvatore: è il Grande Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedech; siamo presentate al Padre da Lui e con Lui o; per meglio dire, formiamo un’unica ostia essendo in Lui con le membra unite al Capo e tutto ciò che ha compiuto in questa adorabile azione l’ha fatto per noi” (Messaggio Eucaristico p. 81, 82 n. 1065 Lettera sulla Presentazione di Gesù al Tempio).

“Quanto è meraviglioso vedere la bontà di un Dio sempre pronto a donarsi ogni volta che vogliamo comunicare. Non si rifiuta mai. Andate da Lui tutti i giorni: verrà” (Messaggio Eucaristico p. 92 n. 3150 Conferenza per il sabato della prima settimana di quaresima).

“ ... con la Santa Messa siamo andate a Gesù Cristo ed egli è venuto a noi per comunicarci la sua vita divina, per farci vivere della vita di Dio ... Dobbiamo pregarlo di nasconderci in Lui, affinché ci rinvigorisca e non viviamo che del suo Spirito, poiché è lo scopo principale della Santa Messa attirarci a Gesù Cristo e unirci totalmente a Lui” (Messaggio Eucaristico p. 81 n. 2191 Conversazioni familiari).

“La Regola del nostro glorioso Padre S. Benedetto racchiude in sé i mezzi di una perfezione elevatissima: per la sua austerità ci fa vivere nella morte in rapporto alla qualità di vittima; per l’obbedienza molto semplice e l’umiltà profonda che ci insegna, ci rende ostie pacifiche; e per le lodi divine che ci ordina di cantare giorno e notte, come anche per l’orazione continua, ci rende degli olocausti consumati dalle pure fiamme dell’amore divino” (Studio di Suor Veronica Andral p. 57 n. 2090).

“Come il Cristo, con il quale ella si identifica, la Chiesa è vittima Pasquale, immolata in se stessa e vivente per Dio. Grazie. alla Chiesa il mondo intero è un calvario sul quale Cristo muore e risuscita In lei, il Cristo non cessa di passare da questo mondo al Padre, di santificare sé, di immolarsi per non vivere che in Dio.

Questo ed unico sacrificio, raggiunto il termine nel Cristo individuale, si mantiene nella Chiesa, in un divenire attuale fino alla Parusia” (Studio di Suor V. Andral p. 58, 59 La resurrezione di Gesù p. 282).

“Mentre assistiamo alla santa Messa dobbiamo onorare, meditare, e tenere presente ogni episodio della passione del Signore, di cui la Santa Messa è il memoriale.

Vi riscontriamo cose meravigliose, che richiedono la nostra adorazione e imitazione.

Per questo dobbiamo umiliarci con Gesù e conformarci al suo sacrificio, fino a consumarci in Lui” (Vero Spirito Cap. IV 21 p. 54, 55).

 

3.  La Chiesa offre il sacrificio in comunione con la SS. Vergine Maria

 

Catechismo della Chiesa Cattolica:

n. 1370            All’offerta di Cristo si uniscono non soltanto i membri che sono ancora sulla terra, ma anche quelli che si trovano già nella gloria del cielo. La Chiesa offre infatti il sacrificio eucaristico in comunione con la Santissima Vergine Maria, facendo memoria di lei, come pure di tutti i Santi e di tutte le Sante.

Nell’Eucaristia la Chiesa, con Maria, è come ai piedi della croce, unita all’offerta e all’intercessione di Cristo.

La nostra Madre Fondatrice:

«Nel tempo in cui viene celebrata la Santa Messa, l’altare è circondato da Angeli e da Serafini, che scendono dal cielo per adorare e ammirare il profondo annientamento a cui l’amore ha ridotto il loro Re e Sovrano. E benché questo divin Sacrificio non sia offerto per loro, tuttavia vi adorano Gesù Cristo con un indicibile rispetto, vi ammirano la sublime dignità dei sacerdoti, fino ad averne una santa invidia e restano rapiti, constatando il grande amore che l’amabile sovrano Signore manifesta agli uomini in questo Mistero» (Vero spirito Cap. IV, 8 p. 44).

«Con quale devozione pensate voi che la SS. Vergine assistesse alla santa Messa che gli Apostoli celebravano alla sua santa presenza, dopo l’Ascensione del Figlio e loro adorabile maestro?

Quale era la sua intima partecipazione a questo Sacrificio che ella sapeva essere la vera rappresentazione di Colui che aveva visto soffrire sulla croce nell’effusione di tutto il suo sangue? ... E quale pensate che fosse ancora la sua attenzione interiore vedendolo immolarsi nuovamente in maniera non cruenta, ma più capace di conquistare i nostri cuori, poiché è solo l’amore che lo fa trattenere sui nostri altari per colmarci di grazia? ... Rivolgiamoci dunque alla SS. Madre di Dio pregandola di farci partecipi del suo zelo interiore nell’assistere al Sacrificio della Messa e delle disposizioni che lei aveva quando si comunicava. Non ce lo rifiuterà se glielo chiederemo con umiltà e fiducia; preghiamola dunque di disporci a ricevere il suo divin Figlio, o piuttosto di venire lei stessa a preparare il posto nel nostro cuore, tale e quale lei sa debba essere presentato. Ornandolo d’ogni virtù e disposizione che possono piacergli, affinché ci renda degne di possedere Gesù Cristo in questo adorabile mistero.

Si può dire che ella ha il potere di dare Gesù Cristo alle anime, poiché fu la prima a riceverlo dal Padre eterno, il quale ha fatto a lei questo dono sublime per darlo al mondo tramite lei. Non dovremmo mai comunicarci senza mettere la nostra comunione tra le sue sante mani, affinché ne disponga per la gloria del suo divin Figlio, perché gli sia gradita.

Preghiamo questa Madre di bontà perché ci ottenga dalla sua misericordia che tutte le nostre comunioni, così frequenti, siano piene di santità e diano onore a Dio; ci faccia la grazia di farne il santo uso che Gesù Cristo aspetta e domanda a noi, non facendoci vivere che della sua vita e virtù, per metterle continuamente in pratica in ogni nostra azione; infine perché lo faccia regnare nel nostro cuore come regna nel suo. Se le chiediamo questa grazia, ce la accorderà, poiché è onnipotente in cielo e in terra e il suo divin Figlio le ha messo nelle mani tutte le grazie che vuole comunicare” (Messaggio eucaristico p. 78, 79 n. 14 Conversazioni sulla Messa 27 ottobre 1694).

“Quale fortuna, sorelle mie, noi possediamo in Gesù Cristo e per mezzo di Gesù Cristo, il quale ci è dato per mezzo della santa Madre di Dio! Sì, lo riceviamo realmente e veramente ciascuna in particolare nella Santa Comunione, e dobbiamo ricevere questo dono infinito dalle mani e dal cuore della Santissima Vergine ogni volta che abbiamo la fortuna di fare la santa Comunione, e avere amore e riconoscenza per questa Madre di bontà, ma soprattutto essere fedeli nel servirci di Gesù Cristo, che è tutto nostro, e non soltanto per il tempo che le sacre specie sussistono nel nostro petto, perché, se poi Gesù non vi è più sacramentalmente, dimora sempre spiritualmente nell’anima per mezzo del suo divin Spirito, con la sua grazia e la sua virtù» (Messaggio eucaristico p. 117 n. 323 Conferenza: Vigilia della festa della purificazione).

«Non dobbiamo avere riserve: Gesù Cristo si dà tutto a voi e perché non dovete darvi tutte a Lui? Pregate la santissima Vergine di accendere il vostro cuore. Non dovreste mai comunicarvi senza esservi rivolte a lei per pregarla di preparare il vostro cuore perché sia degno di ricevere suo figlio, o piuttosto che essa vi dia il suo» (Messaggio eucaristico p. 135 n. 3142 Capitolo per la festa del santissimo Sacramento).

«Procurate dunque che la Santa Comunione attui d’ora in poi nelle vostre anime una vera trasformazione, che non si veda più voi stessa, ma Gesù Cristo in tutte voi e cosi pure voi non vediate che Lui in tutto e dappertutto ... È qui dove dobbiamo fermarci, tanto che questo divino oggetto fissi tutta la nostra vista e la nostra attenzione, da non pensare che a Lui, da non agire che per Lui, da non cercare che Lui.

Preghiamo dunque la Santissima Madre di Dio che ci disponga alla santa Comunione, mettendoci in istato di ricevere efficacemente la grazia di trasformazione che Gesù Cristo compie in noi, e questa grazia sia sempre operante, perché felicemente dimoriamo tutte in Cristo: è quanto desidero per voi» (Messaggio eucaristico p. 139 n. 3004 Capitolo sul capitolo 72 della Regola di San Benedetto Agosto 1694 - Cf. Catherine de Bar, A l’écoute de Saint Benoit, Rouen 1979 p. 139).

«I misteri di Cristo non ci sono ripresentati da nostra Madre; la Santa Madre, la Santa Chiesa, che per conformarvici con la vita quanto più ci è possibile. Meditate ed esaminate attentamente le circostanze nelle quali si sono svolti per entrare in comunione di vita con Gesù Cristo, nostro capo, come cristiani e sue membra e noi non saremo mai unite a Lui se non facciamo le stesse cose che egli ha fatto ... La santa vergine ha desiderato di darlo al mondo, i Santi Padri l’hanno desiderato e vediamo che l’Ufficio è tutto di desideri. Chiediamo alla Vergine santa, Madre di Dio, che ci insegni le predisposizioni a noi necessarie perché suo Figlio nasca nell’anima nostra .. »(Messaggio eucaristico p. 144, 145 n. 2573 Capitolo del 17 dicembre 1671).

«Lo stato di un’anima religiosa, il giorno della sua professione, è uno stato di morte ... con questa professione siete divenuta un altro Cristo ... per lasciare vivere Gesù Cristo in voi. Per ottenere questa grazia unitevi nell’intenzione e nell’amore alla Vergine Maria che si offre a Dio in sacrificio ... »(Attesa di Dio p. 227 n. 2097 A una novizia dell’istituto).

 

Dalla Regola di San Benedetto

 

San Benedetto, nella sua Regola, non parla espressamente di Maria, ma, quando parla del monaco e di come esso dovrebbe essere, possiamo interpretarlo in chiave mariana.

Fra tanti punti tre sono le più spiccate analogie tra Maria e il monaco nella Regola di San Benedetto:

• come accoglie la Parola

• come dichiara la sua disponibilità al Signore

• come mette Cristo al suo centro

 

• Come accoglie la Parola

Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 19).

Beati quelli che ascoltano la parola e la osservano” (Lc 11, 28).

Nella Parola che Maria accolse, concepì Cristo stesso.

Nella Regola la prima parola è “ascolta”. San Benedetto chiarifica: “piega l’orecchio del tuo cuore, accogli volentieri”. Questo è l’atteggiamento fondamentale dell’uomo davanti a Dio, del monaco e il nostro. Tutta la vita, l’agire, il fare provengono dall’ascolto. Prima si ascolta, si riceve la Parola, poi si fa ciò che si è ascoltato, ciò che è gradevole al Signore.

Il silenzio crea (48, 5) condizioni di ricettività per poter leggere e ascoltare la Parola. Leggere, per San Benedetto, vuol dire anche meditare (48, 23), cioè lasciar scendere nel cuore la Parola, ponderandola. Maria è il nostro modello.

La Parola può essere letta nella sacra Scrittura, può essere trasmessa attraverso mediatori umani nell’ascolto mutuo.

Così Maria e la Regola ci danno un programma:

“ascoltare e accogliere la Parola di Dio nella Liturgia, nella Lectio divina, ma anche nella parola trasMessa tramite gli uomini, sapendo scoprire in tutto la presenza di Cristo”.

 

• Come dichiara la sua disponibilità al Signore

Eccomi, sono la serva del Signore: Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38).

Maria ha ripetuto molte volte nella vita questo fiat: alla nascita di Gesù, nel tempio all’inizio della vita pubblica e soprattutto sotto la croce.

Il suo servizio è allo stesso tempo servizio di carità fraterna e servizio di salvezza all’umanità intera (Lc l, 39 - 56).

Anche nella Regola San Benedetto, già all’inizio del Prologo, non resta soltanto nell’ascoltare, ma aggiunge “metti in pratica” e subito indica la via dell’obbedienza per rendere servizio a Cristo (Prologo l, 5). Tutta la vita monastica viene chiamata “dominici schola servitii”, scuola del servizio del Signore (Prologo 49).

Nel rito infatti della professione, il monaco fa l’offerta di tutta la sua vita per appartenere totalmente al suo Signore. Così nell’obbedienza e disponibilità si realizza il più grande servizio al mondo.

 

• Come mette Cristo al suo centro

Beata sei tu, o Vergine Maria, perché hai creduto: si è adempiuta in te la Parola del Signore” (Lc 1, 45).

Maria non vede ancora niente, ma crede nel mistero di Dio, riconosce il vero Dio.

Nella sua vita vissuta con Cristo non mostra se stessa, ma Lui, il centro della sua vita e insegna a noi come seguire il suo cammino.

Nella Regola di San Benedetto il Cristocentrismo è la via maestra. Il monaco crede Cristo presente nell’ Abate (2, 2; 63, 13), crede Cristo presente nei membri più deboli della Comunità (36, 1 - 3), negli ospiti, nel povero (53, 1 - 7 - 15), dappertutto (19, 1 – 2; 7, 23). Niente si deve anteporre a Cristo e nelle difficoltà e nella pazienza il monaco matura il suo amore per lasciare tutto lo spazio a Cristo. Così il monaco può amare, non soltanto rispettare l’Abate, perché trasmette la presenza di Cristo (2, 2; 63, 13).

In questo amore può pregare per i nemici e offrire la riconciliazione (4, 72); in questo amore può servire i malati, forse impazienti (36, 4 - 5), gli ospiti e, con sollecitudine speciale, i poveri (53, 15). E infine, nel capitolo 72, San Benedetto mostra le conseguenze dell’amore radicale per Cristo: lo zelo ferventissimo nella Carità fraterna.

“E così, non scostandoci mai dal magistero di Dio, anzi perseverando nel suo insegnamento, stabili in monastero fino alla morte, parteciperemo, con il nostro mite patire, alle sofferenze di Cristo, per meditare di condividerne pure la gloria nel suo Regno” (Prologo 50).

“Sì, a quella dimora giungeranno coloro che, pervasi dal timore di Dio, non si inorgogliscono per la loro esatta osservanza ma, consapevoli che quanto c’è in loro di buono supera le loro capacità ed è unicamente frutto della grazia divina, magnificano il Signore che opera in loro e dicono, con il Profeta: Non a noi, Signore, non a noi ma al tuo nome dà gloria” (prologo 29, 30), proprio come Maria che esclamava:

L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore ... Poiché grandi cose ha fatto in me l’onnipotente e Santo è il suo nome ... “ (Lc. 1, 47 - 49).

 

 CAPITOLO IV – L’EUCARISTIA: BANCHETTO PASQUALE

 

Catechismo della Chiesa Cattolica:

n. 1384            Il Signore ci rivolge un invito pressante a riceverlo nel Sacramento dell’Eu-caristia: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Gv. 6, 53).

n. 1385            Per rispondere a questo invito dobbiamo prepararci a questo momento così grande e così santo ...

n. 1386            Davanti alla grandezza di questo Sacramento, il fedele non può che fare sua con umiltà e fede ardente la supplica del centurione: Domine, non sum dignus ...

 

I frutti della Comunione

n. 1391            La Comunione accresce la nostra unione con Cristo. Ricevere l’Eucaristia nella Comunione reca come frutto principale l’unione intima con Cristo Gesù ... La vita in Cristo ha il suo fondamento nel banchetto eucaristico ...

n. 1392            Ciò che l’alimento materiale produce nella nostra vita fisica, la Comunione lo realizza in modo mirabile nella nostra vita spirituale. La Comunione alla carne del Cristo risorto “vivificata dallo Spirito Santo vivificante” conserva, accresce e rinnova la vita di grazia ricevuta nel Battesimo. La crescita della vita cristiana richiede di essere alimentata dalla Comunione eucaristica, pane del nostro pellegrinaggio, fino al momento della morte, quando ci sarà dato come viatico.

n. 1393            La Comunione ci separa dal peccato. Il corpo di Cristo che riceviamo nella Comunione è “dato per noi” e il sangue che beviamo è “sparso per molti in remissione dei peccati”. Perciò l’Eucaristia non può unirci a Cristo senza purificarci, nello stesso tempo, dei peccati commessi e preservarci da quelli futuri.

n. 1396            L’unità del Corpo mistico: l’Eucaristia fa la Chiesa. Coloro che ricevono l’Eucaristia sono uniti più strettamente a Cristo. Per ciò stesso Cristo li unisce a tutti i fedeli in un solo corpo: la Chiesa. La Comunione rinnova, fortifica, approfondisce questa incorporazione alla Chiesa già realizzata mediante il Battesimo. Nel Battesimo siamo stati chiamati a formare un solo corpo …

 

Nel Monastero di San Benedetto si beve “vino misto con acqua” e la Regola lo prescrive per il lettore di settimana, giustificando tra i motivi quello: per riguardo alla santa Comunione.

Infatti la Comunione ricevuta alla fine della Messa, la domenica e le feste, precedeva immediatamente il pasto.

È quindi un gesto di riverenza verso il corpo di Cristo che, per il monaco, è veramente il pane del pellegrinaggio fino al momento della morte.

San Benedetto è ancora una volta l’esempio. Sentendosi prossimo a partire da questa terra, come ci viene raccontato al Capitolo XXXVII dei Dialoghi di San Gregorio: “... si fece portare dai discepoli nell’oratorio, dove volle fortificarsi per il trapasso prendendo il Corpo e il sangue del Signore; dopo, sostenuto a braccia, debole com’era in tutte le membra, dai discepoli, rimase in piedi con le mani protese verso il cielo e spirò bisbigliando una preghiera.

E proprio in questo giorno, a due dei suoi monaci, uno dei quali era in monastero e l’altro parecchio lontano, apparve un’unica e identica visione: una via coperta di tappeti e splendente di innumerevoli luci, partendo dal suo Monastero, verso oriente, si innalzava diritta fino al cielo. E quando un personaggio di venerando aspetto che stava in cima alla scala circonfusa di luce chiese loro per chi fosse la strada che essi vedevano, risposero di non saperlo. Ed egli: Questa è la strada per la quale San Benedetto, diletto di Dio, è salito al cielo”.

 

La nostra Madre Fondatrice ci dice:

 

«Sarebbe desiderabile che ci fosse qualcuno che volesse parlare dell’adorabile sacrificio che Gesù compie nell’anima al momento della Santa Comunione» (Vero Spirito p. 69).

«È mia opinione che è necessario premettere alla Santa Comunione una congrua preparazione ... Ma se è permesso riflettere su ciò che possiamo fare, dirò ... Il mio pensiero in proposito è che l’anima rimane come rinchiusa nella propria indegnità, quasi non osasse farsi vedere a motivo di ciò che è per il peccato. Rimane inoltre sperduta nel suo nulla mentre Gesù, nella Santa Comunione, entra in lei come un sovrano nel proprio regno, al quale tutto appartiene, e alla cui presenza ognuno deve ritirarsi, per cedergli il posto.

... Sorelle mie, siamo di fronte al mistero dei misteri. È per noi che Gesù Cristo entra nell’anima con la Santa Comunione, pur senza aver bisogno di noi per preparare la stanza o per aprire il Sancta Sanctorum dove si ritira.

So che entrando nei nostri cuori, giunge nel benedetto santuario della parte più intima di noi stessi, dove rinnova i suoi adorabili misteri, in modo particolare il suo sacrificio, con un frutto assai vantaggioso per l’anima.

Infatti Gesù, quando è unito a noi, sostanzialmente per mezzo dell’Eucaristia fa si che noi veniamo a formare con Lui, secondo il pensiero dei Santi Padri, una sola cosa, diventando ossa delle sue ossa, carne della sua carne, risultando totalmente unite in Lui, per cui questa unione riempie di meraviglia la Chiesa intera, la quale non può né comprenderla, né sufficientemente ammirarla. Si tratta di una verità di fede che dobbiamo credere» (Vero Spirito p. 77, 78).

«Ma quale frutto ricava l’anima da questo sacrificio? Esso fa si che sacrifichi anche se stessa. Infatti, essendo sostanzialmente unita a Gesù, non può essergli separata e quindi viene immolata con Lui e da Lui in questo tempio.

Essa partecipa al suo sacrificio, cosa che può fare solo mediante la Comunione. Ecco dunque, Sorelle mie, la trovata prodigiosa e meravigliosa ideata da Gesù per dare all’anima la possibilità di offrirsi per Lui all’Eterno Padre, in modo degno della sua grandezza.

In questo mistero divino l’anima non è per nulla separata da Gesù Cristo.

Poiché l’Eterno Padre accoglie Cristo con infinita soddisfazione, si può affermare ch’egli accoglie pure l’anima unita a Lui, perché per mezzo del SS. Sacramento non c’è più separazione tra Gesù e l’anima stessa.

Il vostro dovere è solo quello di unirvi a Lui, di accettare ciò che compie in voi e di sottomettervi alla sua azione.

Bisogna tener presente, tuttavia, che questa divina operazione richiede una corrispondenza fedele ed una vigilanza continua per vivere nella purezza e nella santità richieste da una grazia così importante, e di conseguenza richiede la fedele pratica di una mortificazione e di un annientamento continui di loro stesse, altrimenti un favore così straordinario non produrrà in noi quella santificazione che le è propria e che Gesù esige come conseguenza di questo memorabile Sacramento.

Non basta quindi essere unite a Gesù in tal modo, ma bisogna conseguire gli effetti di quest’unione con la pratica delle virtù della pazienza, dell’obbedienza, della dolcezza, dell’umiltà, della carità ...

Bisogna pure sapere che il silenzio osservato durante e dopo la Santa Comunione non è un silenzio ozioso, ma è un silenzio fatto di profondo rispetto verso la grandezza di Dio. Si tratta di un silenzio di adorazione.

Gesù, abitando nell’anima, cosa fa? Dove risiede? L’ho già detto: nel Sancta Sanctorum dell’anima, cioè nella sua parte più intima che serve da santuario per questo grande Sacerdote e da tempio per la celebrazione del tremendo sacrificio di se stesso al suo Divin Padre; sacrificio che Gesù vuole rinnovare nell’intimo di quest’ anima come in un tempio sacro, santificato dal Battesimo.

Oh! Incredibile meraviglia! Gesù scende nei nostri cuori per celebrarvi la sua Messa solenne, sia pure in un profondo silenzio.

Tutto è tranquillo in questo tempio: gli angeli e i santi ammirano e adorano le umiliazioni di Gesù e l’Eterno Padre vi si compiace» (Vero Spirito Cap. VII p. 80, 83).

«Gesù non ha bisogno di noi per la gloria del suo Divin Padre, ma proprio perché ci ama veramente Egli non si ritiene felice se anche noi non siamo partecipi.

Ed è proprio perché ci ritiene membra del suo corpo mistico che non può essere soddisfatto senza che siamo unite e trasformate in Lui» (Vero Spirito Cap. VIII p. 88).

«Vi ho detto altre volte che, come cristiane siete membra di Gesù Cristo e fate parte del suo Corpo Mistico che è la Chiesa. Non potete separarvene se non rinunciando a Gesù Cristo e al vostro Battesimo. Eccovi dunque eternamente legate alla Chiesa. Per questa unione voi entrate necessariamente in tutte le sue intenzioni, benché non ne siate applicata: diversamente vi sarebbe impossibile.

Dunque, figlia mia, voi pregate con la Chiesa, per la Chiesa e per le sue intenzioni ... » (Studio di Suor V. Andral p. 43 n. 1324).

«Non ho mai conosciuto nulla di più forte per annientare le passioni che la santa Comunione, e quando le Comunioni frequenti non hanno il potere di farcele mortificare, in verità vi assicuro che non credo ci sia altra cosa che vi ci possa portare! » (Catherine de Bar, Fondation de Rouen, 1977 Messaggio Eucaristico p. 98).

«Nostro Signore ha detto nel Vangelo che colui che mangia la sua carne e beve il suo sangue dimora in Lui.

Ci deve appunto stupire e confonderci, in noi stesse, vedere il poco frutto che ricaviamo da una azione così santa, che è la più degna, la più grande, la più importante del Cristianesimo. Se comprendessimo bene cos’è questo mistero dell’unione di Dio con noi, avremmo grande gioia nel riceverlo e nello stesso tempo un rispetto così profondo che ci darebbe … timore di avvicinarcene. O felice possesso di Dio, quanto siete da amare» (Messaggio eucaristico p. 135, 136 n. 2614 Conferenza per la festa di Sant’Orsola).

 

 CAPITOLO V –  IL CULTO DELL’EUCARISTIA: ADORAZIONE

 

Dal catechismo della Chiesa Cattolica:

 

n. 1377            La presenza eucaristica di Cristo ha inizio al momento della consacrazione e continua finché sussistono le specie eucaristiche. Cristo è tutto e integro presente in ciascuna specie e in ciascuna sua parte, perciò la frazione del pane non divide Cristo.

n. 1378            Il culto dell’Eucaristia - Nella Liturgia della Messa esprimiamo la nostra fede nella presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino, tra l’altro con la genuflessione o con un profondo inchino verso il Signore. La Chiesa cattolica professa questo culto latreutico al Sacramento Eucaristico non solo durante la Messa, ma anche fuori dalla sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana.

n. 1380            È oltremodo conveniente che Cristo abbia voluto rimanere presente alla sua Chiesa in questa forma davvero unica. Poiché stava per lasciare i suoi sotto il suo aspetto visibile, ha voluto donarci la sua presenza sacramentale; poiché stava per offrirsi sulla croce per la nostra salvezza, ha voluto che noi avessimo il memoriale dell’amore con il quale ci ha amati “sino alla fine” (Gv. 13, 1), fino al dono della propria vita. Nella sua presenza eucaristica, infatti, egli rimane misteriosamente in mezzo a noi come colui che ci ha amati e che ha dato se stesso per noi e vi rimane sotto i segni che esprimono e comunicano questo amore:

“La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto Eucaristico. Gesù ci aspetta in questo Sacramento dell’amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andare ad incontrarlo nell’adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione” (Giovanni Paolo II Dominicæ cenæ, 3).

n. 1381            Che in questo Sacramento sia presente il vero corpo e il vero Sangue di Cristo “non si può apprendere con i sensi, dice san Tommaso, ma con la sola fede, la quale si appoggia all’autorità di Dio”. Per questo, commentando il passo di San Luca 22, 19: “Questo è il mio corpo che viene dato per voi”, San Cirillo dice:

“Non mettere in dubbio se questo sia vero, ma piuttosto accetta con fede la Parola del Salvatore, perché essendo Egli la verità, non mentisce”.

 

La nostra Adorazione è un carisma, un ministero nella Chiesa: “La Chiesa vi ha ricevute nel suo seno quali adoratrici per supplire agli altri suoi figli che non rendono omaggi a Gesù Cristo” (1010).

Questa Adorazione non si ferma a Gesù Cristo, come forse si potrebbe credere, ma risale con Lui e in Lui al Padre.

 

Per quanto riguarda San Benedetto, faccio parlare la nostra Madre Fondatrice.

Nel suo Vero Spirito, al Capitolo XIX, dice:

«Sorelle mie, non posso non ammirare continuamente l’adorabile Provvidenza di un Dio infinitamente sapiente nel suo modo di agire, il quale ha scelto le Religiose del grande Patriarca San Benedetto per renderle Figlie del Santissimo Sacramento dell’Altare, destinandole non solo a rendergli continui omaggi, ma ad essere le custodi del Sacro deposito affidato alla sua Chiesa.

Mi sembra che siamo di fronte a qualche cosa di misterioso in questa scelta fatta da Dio delle Figlie del grande Santo. E di questo non mi meraviglio affatto, perché, anche se si trattava di qualche cosa di incomprensibile, di profondo e di nascosto, lo stato che questo grande uomo ha vissuto sulla terra e che ha ispirato ai suoi discepoli, ha profonde relazioni con la Santissima Eucaristia per cui sono persuasa che esso costituisce la porzione e l’eredità delle Religiose di San Benedetto. Anzi, mi meraviglio che siano trascorsi tanti secoli senza che i figli di questo Beato Padre abbiano sentito il dovere di entrare in possesso di tale inestimabile tesoro fatto loro dalla bontà infinita di Dio.

Sorelle mie, se mi chiedete da dove ricavo questo ragionamento, oso assicurarvi che si tratta di un segreto, che scopro nella morte del nostro illustre Patriarca.

Egli, infatti, volendo dar prova del suo amore verso il Santissimo Sacramento dell’Altare, non poté rendergli un onore e un segno più tangibile della sua fede e della sua carità che spirando alla sua santa presenza e offrendo gli ultimi battiti del suo cuore a quell’ostia adorabile, rinchiusa nel sacro ciborio. E questo per far sorgere, a suo tempo, dei figli del suo Ordine destinati a rendere a Gesù Eucaristia. continui atti di adorazione, omaggio, amore e riparazione, fino alla fine del mondo ...

Posso affermare, sorelle mie, che il nostro Istituto non è uscito da nessun altro luogo, ma dal Tabernacolo, dove il grande Santo l’ha deposto negli ultimi istanti della propria vita ».

L’adorazione, per la nostra Madre Fondatrice, è qualcosa di molto più vasto del fatto di “non lasciare mai il SS. Sacramento né giorno né notte senza omaggi” ... perché “il punto principale dell’Istituto è l’adorazione perpetua”, ma aggiunge “siate sempre in adorazione, niente ve lo impedisce, questo è sempre in vostro potere” (2021).

«Gesù, nel SS. Sacramento dell’altare, sia l’unico scopo della vostra esistenza! Adorare un mistero così indicibilmente superiore all’intelligenza umana è ciò che attira su di noi le divine compiacenze di Dio che ci guarda con amore.

Andate dunque in ispirito di fede ai piedi del tabernacolo e lasciatevi bruciare alla divina presenza di questo Dio d’amore: non potreste fare nulla di meglio: ma non presentatevi che con profonda umiltà, perché non c’è disposizione che onori tanto Dio e lo glorifichi di più in noi della nostra profonda umiliazione ...

Guardatevi bene dal lasciare spegnere il fuoco del suo amore nel vostro cuore.

Per essere sempre in adorazione non è necessario dire, ad ogni momento: Mio Dio, vi adoro! Un solo atto basta e finché voi agite in virtù di questo atto siete in adorazione, purché non facciate nulla che gli sia contrario» (Messaggio eucaristico p. 154 n. 1010).

«La Chiesa vi ha ricevute nel suo seno quali adoratrici per supplire agli altri suoi figli che non rendono omaggio a Gesù Cristo».

«Gesù è quest’aquila eucaristica che si eleva fino al trono di Dio per l’unione ipostatica, contempla, adora e comprende le perfezioni divine racchiuse nell’Essenza di Dio.

Nel SS. Sacramento compie queste funzioni misteriose, rendendo un omaggio e una gloria infinita alla augusta Trinità.

Noi siamo questi piccoli uccelletti che non facciamo altro che volteggiare sulla terra senza poter prendere lo slancio verso questa maestà suprema per contemplare le sue grandezze. Dobbiamo scivolare sotto le ali di quest’aquila eucaristica affinché, per mezzo del suo volo e dell’ardore dei suoi percorsi, veniamo elevate fino all’unione divina e possiamo adorare questo sole dell’Essenza divina che non può essere compreso né fissato che da Lui stesso.

Quando siamo davanti a questa maestà sacramentale dobbiamo tenerci, come ho appena detto, sotto le ali di Gesù Cristo, e fare ciò che Egli fa verso il Padre» (1535).

«Il dono ineffabile che Egli ci fa in questo Sacramento non si può riconoscere degnamente che con l’amore.

Amore riconoscente delle grazie infinite che Dio ha riposto per noi nella divina Eucaristia e, singolarmente, del dono ineffabile che Egli ci ha fatto di tutto se stesso in questo Sacramento ...

Amore che unisce e trasforma l’anima in Gesù Cristo la quale si consuma tutta in amore in questo Mistero incomprensibile per lo scopo della sua istituzione ... Egli vuole vivere in noi affinché viviamo in Lui ... e per Lui» (2297).

«Quale estensione deve avere questa adorazione? In tutti i momenti della nostra vita e per tutta l’estensione del nostro essere. Ma non basta per adempiere la nostra vocazione di adoratrici stare solamente un’ora o un certo tempo alla sua presenza, in coro.

Bisogna che la nostra adorazione sia perpetua perché lo stesso Dio che adoriamo nel SS. Sacramento ci è continuamente presente in tutti i luoghi.

Bisogna che l’adoriamo in spirito e verità, facendo sì che tutti i nostri esercizi siano un’adorazione continua per la nostra fedeltà e rimetterci a Dio in tutto ciò che ci domanda, perché, dal momento che manchiamo di fedeltà, cessiamo di adorare ... in ispirito, per la certezza della vostra fede ... in verità, adorando con tutto il vostro essere e con tutto il vostro cuore ...

... Non è necessario per adorare sempre dire: Mio Dio, vi adoro! Basta che abbiate attualmente una certa tendenza a Dio presente in voi, un rispetto profondo in omaggio alla sua grandezza, credendolo in voi come Egli è in verità, perché la SS. Trinità vi fa la sua dimora: il Padre vi agisce ed opera con la sua potenza, il Figlio con la sua sapienza, lo Spirito Santo con la sua bontà.

È nell’intimo della vostra anima che risiede questo Dio e che dovete adorarlo continuamente ...

Dovete essere, per la vostra vocazione e professione, le vere e perpetue adoratrici di Gesù Cristo ...

Incominciamo sul serio ad adorare Gesù Cristo in spirito e verità, ad essere le vere adoratrici perpetue ...

Adoriamolo dovunque e in tutto quello che facciamo ... Quello spirito di adorazione ... vi renderà nello stesso tempo vere vittime sempre immolate alla sua gloria e alla sua felicità» (2338).

«Restate in Dio ... non avete che da rientrare in voi stesse, perché Dio è nell’intimo della vostra anima. Lo troverete ad ogni momento, perché vi fa attualmente la sua dimora. Dunque contemplatelo sempre per seguire il suo Spirito, per aderire a Lui, per volere tutto ciò che vuole, per sottomettervi.

Pregatelo di attirarvi tutta a Sé: “Trahe me post te!”. Non ci sono che due cose da fare per appartenere a Dio: “adorare e aderire sempre” (Conversazioni familiari).

«Consumò così il suo sacrificio con una adorazione perfetta ed eterna che fu il frutto della sua santa morte ...: è questo il perfetto sacrificio!

Giacché l’adorazione perpetua è uno degli obblighi più essenziali, bisogna sostenerla con vigore e senza alcun rilassamento, non mancando mai per colpa nostra alla nostra ora di adorazione. Non bisogna che obbligazioni poco importanti ce la facciano lasciare e trascurare e che siano preferite delle bagattelle a ciò che dobbiamo a Nostro Signore, perché il nostro principale impegno è di adorare Gesù Cristo sull’altare» (279 p. 88).

«Non stanchiamoci, chiediamo e preghiamo per Gesù Cristo e in unione con Lui o piuttosto lasciamolo pregare e dimorare in noi, e restiamo ai suoi piedi in silenzio e rispetto. È stato detto che lo Spirito di Dio è in noi, che preme e geme in noi ... Restiamo unite allo Spirito Santo di Gesù, abbandoniamoci alla sua condotta. e lavoriamo con la sua grazia. a far morire in noi tutto quello che si oppone al suo regno.

Imitiamo la Santa Madre di Dio e il suo sposo S. Giuseppe i quali, uniti nel cuore e nell’affetto, erano sempre in adorazione e contemplazione di Gesù che stava in mezzo ad essi» (1529).

«Oh! Piacesse a Dio bruciare i nostri cuori del suo grande amore e che noi potessimo morire di contrizione per i nostri peccati e quelli dei nostri fratelli peccatori … perché tanti peccatori non fanno uso del sangue di Gesù e della sua presenza reale nel SS. Sacramento dove dona ancora la sua vita tutti i  giorni misticamente per noi come l’ha donata sulla croce» (Pensieri sulla riparazione).

«Non si tratta di accontentarsi di far onorare nostro Signore facendo qualche opera esteriore per la sua gloria, come avviene tra il comune dei cristiani; occorre che abbiamo un ardente zelo per strappare dai nostri cuori tutto ciò che gli impedisce di regnare in noi e di porvi le sue compiacenze. Ciò non è sufficiente; si deve portare il suo amore nel cuore di coloro che lo profanano e contribuire alla loro salvezza riparando per loro.

È in noi che bisogna cominciare a riparare la gloria di questo Divin Salvatore; è in noi che bisogna operino la giustizia e la santità per renderci vere vittime.

Lavoriamo dunque generosamente a disfarci di tutto ciò che vi è contrario. Non tardiamo un momento a metterci nello stato di ricevere gli effetti della sua grande misericordia» (1491).

«Siate delle riparatrici d’amore e le vostre riparazioni devono essere fatte nell’amore, giacché voi supplite i peccatori che sono senza amore.

Quale felicità se potessimo fonderci nella presenza di questo divin Salvatore e i nostri cuori fossero spezzati e consumati dalle preziose fiamme del suo amore!

Piaccia a Dio renderci degne di amarlo di questo puro e violento amore che nel cielo trasforma i beati in Gesù!

Amore violento e tranquillo insieme, amore che brucia senza consumare, amore che trionfa su tutto e che rende Dio maestro assoluto di noi stesse» (2321 - Lettera alla comunità di Rambervillers).

«La prima cosa che bisogna fare è riconoscere davanti a Dio la grazia di questa occupazione alla quale la santa Provvidenza ci ha destinate, per essere sempre in attuale adorazione, in modo che tutto il nostro essere e le nostre operazioni siano riferite all’onore di questo SS. Sacramento» (235).

«Lavorate giacché Dio vi assoggetta ciò a bene, affinché possiate nutrire voi e tutta la comunità del vostro lavoro; ma lavorate con spirito interiore affinché Dio sia glorificato ... Adempite bene gli impieghi che l’obbedienza vi impone; ma il vostro spirito e il vostro cuore non cessino per questo di adorare sempre. La vostra adorazione, lo sapete, deve essere continua ...

Per essere sempre in adorazione non è necessario dire ad ogni momento: Mio Dio, io vi adoro! Un solo atto basta; e fino a tanto che non lo ritraete e non fate nulla contro questo atto, siete in adorazione. Fate dunque un atto di adorazione ... e abbiate cura che permanga» (1010).

«Il voto di adorazione perpetua deve essere una rinnovazione completa di tutta la nostra vita e di tutte le nostre azioni» (1491).

«Non mancate di adorare il SS. Sacramento che è la principale e la più grande devozione e quella che tutti i cristiani devono avere ... Compite dunque questo dovere con più cura e fedeltà che mai, con un nuovo fervore, ardore e amore per Gesù Cristo che si dà a noi in questo prezioso mistero» (Messaggio Eucaristico p. 155 n. 138 Capitolo del 12 agosto 1695).

«Il mio spirito vi pensa spesso davanti all’augusto Sacramento dove so che state quanto più vi è possibile per effondervi il vostro cuore, in sincera adorazione di questo Dio tutto amore annientato nell’ostia.

Oh! Quali meraviglie si trovano in questo ineffabile Sacramento!» (Messaggio Eucaristico p. 156 n. 2203).

«Quando siamo davanti a questa maestà sacramentale non si perde il tempo rimanendo ore intere in questo modo, senza altri pensieri né occupazioni.

Bisogna che, dopo aver fatto la Comunione, Egli sia la nostra lingua per lodare, benedire, esaltare, adorare e ringraziare suo Padre ed Egli: parimenti sia il nostro cuore per amarlo. Gesù Cristo opera tutto nell’ anima che lo lascia agire; il segreto è di rimanere in Lui, cercando di non uscirne: ciò è raro a causa della facilità e della leggerezza dello spirito che corre dietro ad ogni oggetto da nulla e se ne riempie a volte senza che l’anima se ne accorga, se non quando è ormai penetrato nell’intelletto e oscura il suo raggio o disturba il cuore attirando il pensiero e l’attenzione» (Messaggio Eucaristico p. 157 n. 1535).

«Corriamo, sorelle, corriamo ai piedi del SS. Sacramento, andiamo ad appagare i desideri infiniti del suo cuore adorabile ... Gettiamoci con un abbandono totale ai suoi piedi e diciamogli: Accontentate i vostri desideri in me e per appagarli attiratemi completamente a voi ... » (Vero Spirito capitolo VIII p. 89).