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Deus absconditus, anno 89, n. 2, Aprile-Giugno 1998, pp. 30-56

Itinerario spirituale di madre Mectilde del SS. Sacramento
di mons. Charles Molette*

Reverende Madri e Sorelle,

«Itinerario spirituale di madre Mectilde», questo è il titolo che sono stato invita­to a dare al mio intervento di questo pomeriggio. Tuttavia, non senza emozione, devo confessarvi, non senza una certa confusione, prendo la parola davanti alla vostra santa assemblea; perché voi, evidentemente, conoscete molto meglio di me lo spirito della vostra venerata fondatrice. Inoltre, voi siete delle specialiste delle vie di Dio e del cam­mino della perfezione, cioè della vita mistica: indubbiamente tutti noi siamo chiamati alla santità, ma spesso la santità dei secolari, come quella del popolo di Dio, si dispie­ga sotto il velo di una vita, il cui aspetto esteriore, nasconde un pochino le realtà profonde, mentre delle monache, attraverso ciò che appare dalla loro stessa vita, ren­dono manifeste questa realtà profonde. Cominciare quindi a parlare dell’itinerario spi­rituale di madre Mectilde sarà indubbiamente un’occasione per celebrare ciò che ci accomuna, ma da parte mia sarà senza dubbio in una modalità diversa da quella mona-stica.

Quando ho suggerito questo tema, non mi ero ancora accorto che già esisteva un lavoro intitolato così: infatti l’opera di suor Véronique Andrai [1] del monastero di Erbalunga, attualmente al monastero di Rouen, uscito in edizione privata nel 1990 [2], presenta una lettura penetrante, rigorosa e spirituale al contempo, che non sarei certa­mente in grado di ripresentare. Ha saputo attingere alle fonti migliori, tradurre in un linguaggio attuale la vita intima della vostra fondatrice e ritracciarne felicemente le tappe successive.

Il mio proponimento non beneficia certo di una simile familiarità con l’opera di madre Mectilde. Non è lo sbocco di una lunga ricerca e di una frequentazione così inti­ma con la vita e gli scritti della vostra fondatrice. Procede molto semplicemente da una banale intuizione, che precede ogni ricerca e che stimola lo spirito, ma che si è impo­sta alla mia riflessione durante studi diversi, nel corso dei quali mi è parso che il dispie­garsi - nella storia - di una vita umana risulti dall’incontro progressivo di una perso­nalità che si sviluppa poco a poco, lungo il corso delle sue reazioni successive, con un contesto anch’esso in evoluzione. Così certamente si esprimeva, in altri termini, Louis Massignon quando scriveva: «La sola storia di una persona umana è il graduale emer­gere del suo desiderio segreto attraverso la sua vita pubblica» [3]. E questo «desiderio segreto», è per ciascuno il mistero della sua personalità, in ciò che essa ha di proprio e di personale: in definitiva, che lo sappia o no, è il mistero della sua propria personalità davanti a Dio, mistero accessibile ad altri solo nella misura in cui se ne lascino decifrare delle tracce attraverso un’espressione esterna.

Questo è l’aspetto che aveva attratto la mia attenzione in modo del tutto partico­lare, quando nel 1989 avevo dovuto stilare una prefazione all’edizione dei consigli spi­rituali indirizzati da madre Mectilde ad una delle sue benefattrici entrata nel suo mona­stero; i testi così radunati sono noti con il nome di «Breviario di Maria di Châteauvieux» [4]. Non sono assolutamente uno specialista né della vostra fondatrice, né delle prime monache, né del XVII secolo spirituale e mistico. E mi sento molto picco­lo nel prendere la parola questa sera davanti a voi; considerando poi la conoscenza che voi avete di madre Mectilde. Mi sento un po’ inquieto per ciò che ho avuto la presun­zione di accettare. Mi sia solo consentito, riprendendo la mia prefazione all’edizione del Breviario di Maria di Châteauvieux, di enunciarne due frasi che serviranno anche come sfondo a questo mio intervento.

«E se al di là dei documenti e delle testimonianze tentiamo di scrutare la vita stessa di madre Mectilde, ci sembra già possibile intuire il suo itinerario spirituale e le prove attraverso le quali ella è dovuta passare» [5].

«Un esigente discernimento spirituale che metta in luce l’eroico progresso spirituale dei maestri di spirito e dei fondatori, che segua l’intero sviluppo rigorosamente storico della loro vita di uomini e di donne fra gli uomini e le donne del loro tempo: è questo il modo migliore per avvicinarsi alla verità della loro personalità così come Dio - sottomettendosi ai tempi degli uomini - ha voluto si svilup­passe concretamente nel tempo» [6].

Questa è dunque la prospettiva che vi propongo. E quando ho pensato di cam­biare il mio titolo e il mio tema, mi è stato risposto che la mia esposizione non avreb­be sicuramente costituito un doppione del lavoro di suor Véronique Andrai, la quale ha anche avuto la bontà di prestarmi l’esemplare del suo lavoro, così come lo conserva, arricchito com’è, giorno dopo giorno delle correzioni che il prosieguo delle ricerche le suggerisce instancabilmente. È doveroso da parte mia esprimerle vivissima gratitudine per questo prezioso apporto, mentre ringrazio sentitamente le archiviste di Rouen, suor Jeanne d’Arc e suor Marie-Paschale, che mi hanno incessantemente fornito la docu­mentazione che sola mi ha permesso una studio un po’ serio della vita della vostra venerabile e venerata fondatrice.

Per cercare di approfondire ciò che avevo intuito come asse di ricerca fecondo nel caso di madre Mectilde, mi sono preoccupato di fare riferimento alle fonti scritte anteriori.

Cronologicamente parlando, il primo testo al quale è necessario fare riferimento, è un manoscritto del luglio 1643: le Relations[7]. a padre Jean-Chrysostome de Saint-Lô, penitente del terz’ordine di san Francesco, in qualche modo la «guida intellettuale della Compagnia del Santissimo Sacramento di Caen» [8]; nelle pagine che egli ha scrit­to a partire da quello che gli aveva trasmesso madre Mectilde, evoca i suoi primi anni nel mondo e nel chiostro. Per completare la conoscenza di questo primo periodo, abbia­mo qualche altro scritto: dei Mémoires [9] di Marguerite de l’Escale, divenuta in seguito Marguerite de la Conception e che fu per parecchi anni priora di Rambervillers; un Petit abrégé de la vie de la vénérable Mère Catherine Mectilde du Saint-Sacrement, institutrice et première supérieure de l’Adoration perpétuelle du Très-Saint-Sacrement (Breve compendio della vita della venerabile madre Catherine Mectilde del Santissimo Sacramento, istitutrice e prima superiora dell’Adorazione perpetua del SS. Sacramento) [10], scritto dall’abbé Berrant, cappellano della Visitazione di Melun dal 1690 al 1715 e quindi contemporaneo e amico della vostra fondatrice; e una vita, più completa per il periodo 1614-1651, redatta da sua nipote (Gertrude, Marguerite o piut­tosto Catherine?) de Vienville [11].

Il nome stesso del figlio di san Francesco di cui abbiamo le Relations del 1643 indica che madre Mectilde aveva lasciato la sua Lorena natia e che era giunta in Normandia. Si apre allora per lei un nuovo periodo della sua vita in cui «ha subito molto profondamente l’influsso di Bernières», questo santo laico della Normandia diretto da padre Jean-Chrysostome de Saint-Ló, e con il quale madre Mectilde rimarrà «in corrispondenza fino alla morte di Bernières»  [12] nel 1659.

Questa menzione attira anche l’attenzione sulla corrispondenza di madre Mectilde; benché un certo numero di lettere sembra essere andato perso, ve ne resta­no tuttavia, così sembra, circa duemila. Inoltre, alcune notizie biografiche degli inizi del XVIII secolo, rimangono ancor oggi dei testimoni preziosi di madre Mectilde, perché i loro autori hanno avuto accesso a fonti alle quali le vicissitudini dei tempi non consentono più di ricorrere direttamente: pensiamo a l’Abregé de la vie de la mère Mectilde, di padre Héylot, che è del 1712; o anche al cenno di padre Giry, pro­vinciale dei Minimi, che è del 1719, quindi giusto una ventina d’anni dopo la morte della Madre la Domenica di Quasimodo 6 aprile 1698. Infine, non va trascurato il grosso lavoro del canonico Hervin, cappellano delle Benedettine del Santissimo Sacramento di Arras, aiutato dall’amico don Marie Dourlens, curato di Haravennes; quest’opera è datata 1883 e l’autore si preoccupa di informare dei diversi documen­ti che ha potuto consultare come pure dei luoghi nei quali è vissuta la vostra fonda­trice.

Sono queste dunque le fonti dirette alle quali dovevo ricorrere per cercare di intravedere l’Itinerario spirituale di madre Mectilde.

Prima parte: la Lorena, dalla «prima caritas» alla «angustia temporum»

Padre nostro, che sei nei cicli

E la Lorena, lo sapete, la culla di Catherine de Bar, la quale entra subito nella famiglia del Padre dei cicli, dato che è battezzata il giorno stesso della sua nascita, il 31 dicembre 1614. La nascita e il battesimo hanno luogo a Saint-Dié, ossia in una regione segnata dalla Controriforma, regione in cui si realizza anche la fusione «del concetto di patria e dell’universalismo cattolico» e in cui la Riforma cattolica si mani­festa «attraverso una pietà sensibile, molto esteriorizzata, volentieri esuberante»  [13]. A quest’epoca, infatti, la Lorena vede rinnovarsi gli antichi ordini: il fervore francesca­no, che segna le Annunciate come i terz’ordini, diffonde la devozione all’Immacolata Concezione; allo stesso modo, l’abbazia benedettina di Saint-Mihiel, celebre per la sua biblioteca e i suoi archivi, e «sede frequente dei capitoli generali della congregazione di Saint-Vanne» [14]. Contemporaneamente, sorgono nuovi ordini; così, san Pierre Fourier, che con Alix le Clerc fonda la Congregazione di Notre-Dame per l’educazio­ne delle ragazze, appare come «un missionario della Controriforma» [15]. Bisogna anco­ra rilevare che i pellegrinaggi sono frequentati: dagli antichi pellegrinaggi alla Vergine come Benoîte-Vaux, Sion, Bonsecours, ai pellegrinaggi che testimoniano l’influenza spagnola, come la Vergine di Monteserrat, oppure pellegrinaggi locali tradizionali che illustrano «in risposta al protestantesimo, la continuità apostolica delle Chiese attra­verso i vescovi e i santi» [16]. In Lorena, all’inizio del XVII secolo, il sentimento reli­gioso appariva vivo.

Terza di sei figli, Catherine, grazie al patrocinio meritato dal suo nome di batte­simo, annota il canonico Hervin, ereditava «ardente carità di Caterina da Genova e la vita interiore di Caterina da Siena»; Hervin suggerisce infine che avrebbe ereditato da Caterina di Alessandria una passione per Cristo sino all’offerta del sangue, quella Danina Krwi che sarà realizzata in modo cruento dalla vostra generazione.

Sotto il ciclo della fede cattolica questa giovane figlia di Dio si volge quasi natu­ralmente al «Padre Nostro che è nei cieli» e con una vita semplicemente cristiana rea­lizza le prime richieste del Pater.

Sia santificato il tuo nome

Sembra infatti, che la vocazione religiosa di Catherine de Bar sia stata un ele­mento inscritto in lei sin dal risveglio della coscienza. Le esigenze dell’assoluto di Dio e della santità del suo nome abitavano questa figlia di Dio al punto che un gior­no, racconta una biografa, si avventò su un ragazzine che aveva «proferito davanti a lei parole che parevano essere bestemmie» [17]. Anche la presenza eucaristica la affa­scinava, da bambina. Per lei, la sua prima comunione «fu come un germe» di grazie «mediante le quali fu condotta alla perfezione a cui Dio la chiamava». Affidò la sua nascente vocazione alla protezione della Santa Vergine, che visitava «in un modesto santuario dedicato a Nostra Signora di Ortimont» [18], sulla strada della chiesa dei Cappuccini [19], dove aveva il permesso di recarsi da sola a Messa. Avendo trovato la formula dei voti del Terz’Ordine di san Francesco, si sarebbe messa a recitarlo parec­chie volte al giorno, desiderando le stigmate del santo: certo, pare che tutto si sia svol­to non senza qualche prova di salute o di altro genere: ma ella era appassionata e ardente per l’estensione del regno dell’onnipotenza di Dio. Pare che alla sua pietà siano state accordate delle guarigioni; così, racconta sua nipote, «tormentata da un dolore agli occhi, a causa del quale perse la vista», implorò santa Odilia durante una processione delle Rogazioni e riebbe la vista; inoltre, annotano dei contemporanei, ottenne la guarigione da un’altra grave prova di salute «che la condusse alla soglia della tomba», grazie al ricorso ad una preghiera di san Giovanni da Capistrano al santo nome di Gesù. Grazie di preservazione sembrano esserle state elargite affinché non fosse colpita in qualche modo da una prova o dall’altra: così è avvenuto durante alcune «corse clandestine» a servizio dei poveri, o in occasione di letture di romanzi fatte in tutta innocenza, o di progetti matrimoniali andati a monte, ed anche nella pro­spettiva di studiare, che respinse dicendo: «Se mi applico a tutto ciò, dimenticherò Dio; meglio che pensi a lui e che trascuri il resto».

È proprio l’assoluto di Dio ad essere presente all’orizzonte della sua infanzia, ed è anche la santità del suo nome che ella vuole vendicare o a cui ricorre.

Venga il tuo regno

Alla morte della madre (pare che all’epoca avesse circa dodici anni) «andò a get­tarsi ai piedi della santa Vergine scongiurandola di essere da quel momento in poi sua madre, promettendole di avere sempre per lei la fiducia e la sottomissione di un bimbo» [20]. Così, ella visse come istintivamente le prime due domande del Pater sin dalla più tenera infanzia. «Ciò che soprattutto la desolava - rileva padre Jean-Chrysostome - era la resistenza del padre, che non voleva nemmeno sentir parlare del suo progetto. Bisogna tuttavia riconoscere che quest’anima ancora vuota di virtù, aspi­rava e tendeva a Dio unicamente con la violenza del suo desiderio di essere religiosa, senza comprendere ancora la grandezza di tale stato»  [21].

Ora, ecco che nel 1629, la guerra dei Trent’Anni, nata dall’antagonismo che opponeva i principi tedeschi (protestanti) all’autorità imperiale (cattolica), non fu priva di eco in Lorena. Ben presto gli intrighi del duca di Lorena [22], Carlo IV, di inclinazio­ne imperiale e spagnola, con i nemici della corona, provocarono l’intervento di Luigi XIII e degli Svedesi [23] ", suoi alleati, su queste zone, di lingua e di costumi francesi.

Se la guerra provocò la morte del giovane che i suoi genitori le avevano destina­to, Catherine era comunque sconvolta dagli orrori della guerra: «Le città erano devasta­te, i monasteri bruciati, le chiese saccheggiate, le ostie gettate al vento o odiosamente profanate. Al racconto degli oltraggi fatti a Gesù Cristo nel suo divino Sacramento, lo zelo di Catherine si infiamma: Vorrebbe poter vendicare gli interessi del suo Dio oltrag­giato, e portare la pena di tanti misfatti. Questa idea non la lascerà più»  [24].

Nel fervore della sua adolescenza, Catherine vuole realizzare la sua vocazione religiosa; e suo padre, «vinto dalla perseveranza della figlia» da alla fine il suo con­senso. Ma - annota padre Jean-Chrysostome - «quest’anima, nell’ardore della sete che la divorava non si dava tempo di riflettere; non si ferma a considerare a che acqua volesse bere. Voleva essere religiosa, nulla più: così qualsiasi Ordine le era indifferen­te, non temendo altro che di mancare a quello che desiderava; la solitudine e il riposo erano tutto ciò che ella sperava» [25]. Val la pena di rilevare che nel novembre 1631, Catherine non ha ancora 17 anni quando bussa alla porta del monastero delle Annunciate di Bruyères, a sei leghe da Saint-Dié.

Sia fatta la tua volontà 

Ora, nell’elezione e nella realizzazione della propria vocazione personale, «se l’adolescenza si definisce mediante le sue virtualità, l’età adulta si definisce in base a ciò a cui essa ha rinunciato. È questo che esprime la terza domanda del Pater. Certo, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra implica già una rinuncia a tutto ciò che è desiderio disordinato [o non anco­ra orientato]: tutti quei pruriti del possesso, del godimento, del potere, che sono altrettanti asservi-menti. [Si può probabilmente pensare che nel 1631 per Catherine de Bar, era cosa scontata]. Ma vi è anche ciò che rappresenta l’accoglienza delle esigenze più intime che strutturano la nostra identità personale [...] Le grandi scelte che segnano l’ingresso nell’età adulta richiedono, perché "sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra", la rinuncia a tutte le altre virtualità che avevano nutri­to i sogni della nostra adolescenza. Ora, l’avanzare nell’età adulta ci fa anche prendere coscienza di queste due esigenze ineluttabili.

Da un lato, perché "la tua volontà sia fatta come in cielo così in terra", la fedeltà alla via riconosciu­ta richiede, giorno dopo giorno, una fedeltà che reca con sé incessantemente altre rinunce, più o meno importanti. [...Perché], nella linea di ciò che è stato riconosciuto una volta come costitutivo della nostra personalità e della sua crescita, non si tratta assolutamente di sottrarci a tutto ciò che un discer­nimento rigoroso ci farebbe riconoscere come in grado di farci crescere in questa stessa linea, secon­do la nostra propria vocazione, secondo lo stesso riferimento alla stessa domanda "sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra", nello stesso senso e secondo lo stesso pensiero. Altro terreno sul quale questa domanda è portata a segnare il nostro avanzamento nell’età adulta, è il rifiuto di prestare attenzione a ciò che rischierebbe di contaminare, non tanto forse la linea stessa delle nostra risposta alla vocazione specifica, ma il modo di rispondervi, perché realmente "la tua volontà sia fatta come in cielo, così in terra".

Così, è proprio il programma della nostra vita adulta che segnala questa domanda del Pater: "sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra"» [26].

È questa la situazione della nuova postulante, che fa la vestizione nel gennaio 1632 e diventa suor Catherine di san Giovanni Evangelista nel monastero delle Annunciate «rosse» di Bruyères. La sua generosità è grandissima, e, nel 1633 (ha appe­na 19 anni) fa professione. Ora, «la notte precedente la professione» si sente trasporta­ta da due angeli sino al trono celeste della Vergine Maria che la presenta a Gesù [27]; immediatamente si reca nella chiesa del monastero per concludere la notte nell’attesa della cerimonia liturgica della sua consacrazione [28]. Dopo questa consacrazione a Dio, desidera moltiplicare le mortificazioni e coltivare la povertà. Non solo, come annota un testimone, la spingeva a ciò «l’estrema indigenza in cui la sciagura dei tempi aveva ridotto tutte le comunità della Lorena» [29], ma anche un’attrattiva personale, come con­fesserà più tardi alle sue figlie: «Mi pare che dovrebbe essere la nostra virtù preferita, perché un’anima giunta a questo spogliamento interiore ed esteriore di tutte le cose create, ha la felicità di possedere Dio in pienezza» [30]. Le prove e la grazie si succedo­no, assieme all’esaltazione e ai disgusti, «a causa del fatto – doveva dire p. Jean-Chrysostome – che l’anima era molto imbrigliata dallo spirito naturale» [31]. La sua estre­ma impulsività e la sua viva sensibilità riguardo al punto d’onore le fecero chiedere al Signore di esserne liberata. Ora, «il giorno della Pentecoste 1634, i suoi desideri furo­no esauditi, nota un biografo contemporaneo: le furono accordate in cambio dolcezza e moderazione e divennero come naturali in lei» [32].

Il ritorno nel suo convento d’origine della religiosa che aveva accolto la sua pro­fessione lascia Catherine in preda ai moti umorali della nuova superiora. Ma la morte di quest’ultima, nel 1635, spinge le sorelle a scegliere lei, nelle elezioni, quale «vice­gerente», Benché non abbia ancora ventun anni.

... come in ciclo, così in terra

È l’ora in cui la guerra colpisce il convento. A questa vocazione che viene dal ciclo, bisogna rispondere sulla terra. All’inizio del maggio 1635, le truppe svedesi si avvicinano. Appena evacuato, il monastero brucia, ed ecco la piccola comunità per strada, con solo pochi stracci. Sotto la protezione del colonnello L’Huillier, cognato di suor Catherine di san Giovanni Evangelista, le suore, in abiti secolari, raggiungono Saint-Dié e si dirigono, non senza spavento e peripezie, verso Badonvillers, alla cui periferia si trova un convento di Annunciate. L’avanzata delle truppe costringe però le religiose a terminare in città, all’«Hotel du Prince», la processione dell’ottava del Corpus Domini. Ben presto, poiché Badonvillers offre poca sicurezza, esse devono ripartire. Ma gli Svedesi arrivano, pronti a tutto.

Le religiose avevano ripreso l’adorazione ed «essi si fermano, e contemplano con muto stupore lo spettacolo che si presenta loro. Queste quaranta religiose - continua il racconto - prostrate davanti alla santa Ostia e per la loro immobilità più simili a statue che a creature umane, si impongono loro. Nessuno di essi osa procedere; afferrati da un improvviso terrore indietreggiano; il loro panico aumenta e fuggono con tale preci­pitazione che, scendendo, rotolano gli uni sugli altri, in un terribile disordine». È in quel momento che un generale svedese, Briegfeld, che era arrivato, adotta un altro atteggiamento alla vista di madre san Giovanni: prende le religiose sotto la sua prote­zione; «e per tutto il tempo in cui fu a Badonvillers, inviò loro ogni giorno dei viveri,in tale abbondanza che esse, con il loro superfluo, poterono alleviare i poveri». Dopo la sua partenza, il generale si convertì al cattolicesimo [33] al momento di ritirarsi davan­ti al duca di Lorena.

Questo cambio di comportamento verso le suore non assicura comunque a lungo una situazione più calma [34]. E suor Catherine lo sperimenterà, perché, nelle truppe del duca di Lorena si trova un ufficiale che era stato suo pretendente, il quale mette i suoi soldati alla ricerca del carro in cui, per sfuggirgli, ella si era nascosta, travestita da uomo, insieme ad un’altra religiosa; in una locanda, facendosi passare per il servo del carrettiere, subisce le avances della figlia del locandiere alla quale, dopo la sua par­tenza, scriverà per farsi conoscere indicandole i motivi del suo travestimento; e il rac­conto continua in un pio stupore: «vivamente commossa, la ragazza versò abbondanti lacrime e prese immediatamente la decisione di consacrarsi a Dio, decisione che attuò» [35]. Di nuovo per strada, le due fuggitive si fermano a Epinal, ove si rifugiano in un gra­naio, che servirà loro da alloggio per sei mesi.

Rispondere alla vocazione che viene dal cielo in mezzo ai rivolgimenti che si suc­cedono sulla terra può essere sconcertante; ma è a questo prezzo che si acquisisce il senso realistico della terza domanda del Pater. Forse vi è una sorta di chiave di lettu­ra della vita di queste monache sulle strade in mezzo ai soprassalti dovuti alla guerra.

Nel febbraio 1636, sono a Commercy, dove le altre religiose le raggiungono e ben presto le affidano l’incarico di superiora, di «ancella». Per creare delle risorse, apre un pensionato e viene offerta alla comunità la possibilità di insediarsi in modo stabile nella città. Tuttavia, da maggio a settembre, la peste miete le sue vittime e decima la comu­nità; lei stessa, che si fa infermiera, è colpita e «rimane per quindici ore senza dare segno di vita. Mentre la si crede morta, ella appare - così dice - al giudizio di Dio, ma viene rimandata sulla terra in vista di una misteriosa missione. Secondo la sua stessa testimonianza, questo fatto si ripeterà per tre volte nella vita» [36]. Come discernere, sulla terra, ciò che richiede la realizzazione della vocazione che viene dal cielo? E come leg­gere una simile pagina critica e insieme aperta al mistero?

Alla guerra e alla peste si aggiunge anche la fame. E se madre Catherine di san Giovanni si sacrifica instancabilmente per portare aiuto a coloro che sono colpiti dalla miseria, allo stesso tempo questa vita in pieno mondo espone anche la virtù ai grandi libertinaggi che la desolazione porta con sé [37]: «dopo qualche tempo, riferisce a padre Jean-Chrysostome, gli incidenti deplorevoli per le religiose la misero in grande occa­sione di rilassamento e in grandissimi pericoli». In questa situazione, il Padre rispon­de che «è un miracolo che quest’anima non sia completamente naufragata in quelle cir­costanze di cui sono venuto a conoscenza; ella non può fare a meno di ringraziare molto Dio e la santa Vergine che invocò, perché sicuramente si tratta di un capolavoro del loro amore verso di lei; e io credo che ella debba sperare molto dalla bontà divina, dal soccorso e dalla grazia per tendere ad un’alta perfezione»[38]. Altrettante grazie di preservazione in una situazione di gravissime tentazioni. Certo, lei ne fu distrutta, tro­vandosi, disse, «estremamente colpevole di infedeltà alle grazie; e inoltre [...] si senti­va così turbata che soffriva come un martirio interiore; e in un abisso di desolazione insopportabile, le pareva impossibile volgersi a Dio ed era agitata da strane tentazio­ni». Di questa situazione che ella gli presentò, padre Jean-Chrysostome fa la seguente lettura: «Quando l’anima destinata alla salvezza, alla perfezione, alla grazia e alla glo­ria, esce dal suo centro, soffre queste cose» [39].

Ella scopriva fino a dove giungevano, sulla terra, le esigenze della terza doman­da del Pater. attraverso le condizioni esteriori (guerra e soldataglia, peste e fame) come attraverso l’eco interiore delle tentazioni che l’avevano assalita, condivideva la situa­zione comune agli uomini del suo tempo e della sua regione. È in questa situazione che aveva dovuto imparare a rispondere alla sua propria vocazione. La tensione che ne risultava la sconvolgeva, l’angosciava anche sino a credersi - disse - costretta a vive­re, secondo le sue stesse parole, «un martirio interiore e in un abisso di desolazione insopportabile».

Si ricorda che, la notte precedente la sua professione, si era vista trasportata in cielo. Ora, volendo che la volontà divina fosse fatta, le rimaneva da realizzare la sua vocazione «come in cielo, così in terra». Senza nulla togliere alla qualità della sua risposta iniziale nel divino empireo della prima caritas - quei primi movimenti dell’a­more verso Dio ricordati dall’angelo della Chiesa di Efeso (Ap 2,4) - doveva impara­re cosa significasse accettare di distillare la sua risposta nello stillicidio giornaliero di una vita terrena attraversata da prove esteriori ed interiori in angustia temporum, nella strettezza dei tempi, secondo l’espressione del profeta Daniele (9,25) a proposito della ricostruzione del Tempio di Gerusalemme.

Verso quale futuro?

Si trattava proprio di un nuovo tempio per madre Catherine di san Giovanni. Partita da Commercy per Saint-Dié , dove arriva nel dicembre 1637 con le cinque reli­giose che le rimangono, prosegue per Epinal ove sono accolte dalle suore della con­gregazione di Notre-Dame (fondata da san Pietro Fourier). Passando a Bruyères rive­dono il loro antico monastero: «una scala mezza consumata, ecco tutto quanto restava della casa che avevano tanto amata», annota madre Marguerite de la Conception, che aggiunge: «mentre la madre di san Giovanni adorava gli impenetrabili disegni di Dio che aveva permesso la distruzione di un monastero in cui egli era così ben onorato, una voce risuonò nel fondo del suo cuore e le disse: "Verrà un giorno in cui tu costruirai a Dio una casa molto più splendida di quella che piangi e in cui Dio sarà servito ancor meglio". Si risollevò consolata» [40]. È forse superfluo ricordare qui l’espressione del profeta Daniele a proposito della ricostruzione del tempio di Gerusalemme?

All’inizio del 1638, essendo state condotte ad accettare l’ospitalità delle bene­dettine di Rambervillers che, in una parte della loro casa «procurarono loro la legna, verdura e frutta», le Annunciate fuggiasche «trassero dal loro lavoro e dalla carità fatta dalla famiglia della loro superiora, le risorse necessarie per sovvenire ai loro altri biso­gni». Così, le due comunità si edificarono reciprocamente «per un anno» [41]. Inoltre, questo soggiorno consentì a madre Catherine di san Giovanni di conoscere la Regola Benedettina e di vederla vissuta nella comunità di Rambervillers. Al termine di questi scambi, «avendo preso la decisione di lasciare le Annunciate [...] per abbracciare un genere di vita più perfetto e sottomettersi ad una regola più austera», intraprese i passi necessari e «trovò modo di sistemare le sue cinque figlie in diverse case del loro ordi­ne. Dopo aver accompagnato ciascuna alla propria destinazione, si dimise dalla carica di superiora. Libera allora da ogni preoccupazione, prese l’abito di san Benedetto, cam­biò il nome portato sino a quel momento in quello di suor Catherine di santa Mectilde ed entrò nel noviziato di Rambervillers il 2 luglio 1639» [42].

Si inaugurava una nuova tappa della sua vita: stava per compiere venticinque anni. Dal 1614 al 1639, nella sua Lorena natale, era passata dalla prima caritas all’e­sperienza della angustia temporum. E scopre la regola di san Benedetto. Ma come verrà operata questa nuova costruzione? Per mezzo suo, in Lorena? O piuttosto sulle strade nelle quali Dio l’avrebbe condotta?

Seconda parte: Benedettina di Rambervillers: «perché Dio solo sia» (Madre Mectilde a Bernières)

II nostro pane quotidiano

A Rambervillers la sua maestra delle novizie, «che era una grande contemplati­va» spinse suor Mectilde a progredire nell’orazione e «le ordinò di cedersi a Dio e alla sua guida divina senza opporsi all’attrattiva dello Spirito Santo, dicendole che, se in passato lei aveva costruito, per il futuro Dio stesso avrebbe demolito e costruito» [43]. E, al di là delle mortificazioni corporali e morali del noviziato, la maestra delle novizie «non ignorava che la più eccellente delle mortificazioni è quella della volontà; così si impegnò particolarmente a fissarla nel cuore della sua novizia» [44]. L’11 luglio 1640, nella festa della traslazione delle reliquie di san Benedetto, suor Mectilde emise i voti; ricoperta del drappo funebre, si consacrò - disse - «alla grazia e alla potenza di Gesù Cristo, per entrare nella reale verità di quanto detto [cioè essere crocifissa al mondo] e per dimorare per il resto della mia vita nell’abiezione a me stessa e a tutti» [45]. Allora, come per un messaggio ricevuto da Maria, comprese che da quel momento per lei la Vergine si teneva come nascosta dietro a Gesù: «Agirà lui d’ora in poi, perché io accol-go le anime solo per darle a lui» [46].

Un manoscritto dell’epoca, il Riassunto di un ritiro dell’anno 1640, mostra questa nuova tappa: suor Véronique Andrai individua una chiave interpretativa: «Poter essere annientata è un grande mistero e il più grande che possa compiersi nell’anima perché essa non è più in sé, ma è tutta di Gesù Cristo» [47]. Suor Véronique infatti riconosce nella sen­tenza che chiude questo Riassunto un riferimento a santa Caterina da Genova, il capitolo trentaduesimo del suo libro «Come si compie l’annientamento dell’uomo in Dio, a esem­pio del pane» [48]: «Pane, la tua esistenza è finalizzata a sostentare il mio corpo che è più degno di te; e tu devi essere più felice dello scopo per il quale sei creato che del tuo proprio essere; perché la tua esistenza non avrebbe valore se non fosse a causa del suo fine» [49].

Certamente, una cosa è il modo con cui è espresso questo aspetto dell’evoluzio­ne spirituale, altra cosa è la prospettiva nella quale è considerata la sua realizzazione [50]. Ora, questo «annientamento in Dio», nella luce soffusa di Caterina da Genova, è la prospettiva dell’essere umano davanti a Dio, che viene illuminata, forse in modo più esplicito della cooperazione all’opera della Redenzione. Comunque sia, è questa la realtà in cui è ora immersa suor Mectilde, e che le è chiesto di ratificare in angustia temporum. Perché la guerra si riaccende nuovamente in Lorena; Rambervillers ne subi­sce il contraccolpo, l’esercito lorenese è massacrato e, se le benedettine sono rispar­miate, sono comunque ridotte in miseria per il riscatto che devono versare; in settem­bre si disperdono. Suor Mectilde, con due compagne, si dirige verso Saint-Mihiel, dove trovano rifugio e vivono miseramente. In questa congiuntura il lazzarista Julien Guérin, superiore della missione inviata da Vincenzo de’ Paoli per portare soccorso alla Lorena, avendo scoperto la comunità e la sua situazione, ebbe l’idea «di proporre all’Abbadessa di Montmartre e a parecchie altre abbadesse di prendere nelle loro case alcune di loro e di tenerle sino alla cessazione delle guerre in Lorena» [51].

In questa congiuntura, prima di lasciarsi e dato che si trattava per loro di manife­stare che l’annientamento della loro vita in Dio si compie «secondo l’esempio del pane», ciascuna delle religiose sceglie ed aggiunge al suo nome quello del mistero nel quale ella realizza questo «annientamento in Dio»: suor Mectilde diventa allora «Mectilde del SS. Sacramento». L’I e il 2 agosto 1641, le suore si recano in pellegri­naggio a Benoìte-Vaux (a una ventina di chilometri da Saint-Mihiel), a chiedere alla Vergine Maria di conoscere la volontà di Dio, di guardarle dal «pericolo dei soldati» e di trovare una «buona abbadessa che voglia accoglierle, in attesa di giorni migliori» [52].

Parigi, poi Caen con l’ermitage dei mistici normandi

II 21 agosto 1641, suor Mectilde parte per Parigi con una compagna; giungono il 29, ma - annota il racconto dell’epoca - «così tardi che, non potendo recarsi il giorno stesso a Montmartre, fratel Mathieu le condusse dalla signorina Le Gras, fondatrice e prima superiora delle suore della Carità [...] L’indomani, il signor Guérin viene a pren­derle e le presentò al suo santo superiore dal quale ebbero la gioia di ricevere la bene­dizione. Furono poi condotte a Montmartre» [53] ove furono ottimamente accolte dall’Abbadessa, Marie de Beauvillier, che aveva preso molto a cuore la riforma neces­saria. Tuttavia, madre Mectilde non si dava pace per la situazione delle sorelle rimaste a Saint-Mihiel. Fratel Mathieu riparte quindi a cercare le altre sette monache [54], che fu possibile affidare a diverse abbazie.

Dopo un anno, dato che una delle religiose che erano arrivate all’abbazia della Santissima Trinità di Caen era gravemente malata, madre Mectilde lascia Parigi il 7 agosto 1642 per raggiungere la Normandia dove, accolta dal «santo Gruppo» [55] della Compagnia del Santissimo Sacramento di Caen, incontra Jean de Bernières Louvigny [56] e il suo segretario, il signor de Roquelay, ossia, prende contatto con alcuni dei «misti­ci normandi» che costituiscono il fermento locale della Compagnia del SS. Sacramento. Costoro avranno un’influenza determinante su colei che diverrà la vostra fondatrice, poiché, rientrata a Parigi, si porrà sotto la direzione di padre Chrysostome de Saint-Ló, probabilmente assente da Caen in quell’epoca: infatti, il Padre è «il maitre à penser della Compagnia [del SS. Sacramento] di Caen. Tramite il suo diretto, Bernières, la rende sensibile al tema della Santa Abiezione» [57]. D’altra parte, questo religioso fonda anche «una confraternita della Santa Abiezione, e considera soprattut­to nella Passione, l’umiliazione e l’abbassamento di Cristo» [58]. Quanto a Bernières, la sua esaltazione di Gesù annientato, a cui egli vuole unirsi, gli fa dire: «Quanto mi è gra­devole la vista del mio nulla e della mia impotenza, e quanto riposo mi da, poiché è il mio vero centro» [59]. Voi conservate ancora 198 lettere della corrispondenza di madre Mectilde con Bernières, Rocquelay e altri, distribuite dal 6 novembre 1642 al 27 giu­gno 1659; lungo oltre una quindicina d’anni; tali scritti manifestano la qualità di que­ste amicizie spirituali.

Ritirate in una casa vicina all’abbazia cistercense di Barbéry, le religiose vivono la loro vita comunitaria nella semplicità; e suor Mectilde, nelle Domeniche e nelle feste, insegna «il catechismo a tutte le donne e ragazze della parrocchia; non erano meno di ottanta la scorsa Domenica», scrive a Roquelay il 5 marzo 1643. In questa cor­rispondenza, madre Mectilde lascia anche intravedere la propria anima: «Amo molto questa beatitudine: beato colui che si vede ridotto a portare nella propria impotenza la potenza che lo distrugge» (A Roquelay, 15 maggio 1643).

Dopo le prove della Lorena, questa vita nascosta e senza fulgore in Normandia appare dunque, benché la comunità sia ancora dispersa, come il seppellirsi del buon pane, nell’irradiamento dell’eremo dei mistici normandi.

Saint-Maur e padre Jean-Chrysostome

Nel giugno 1643, un’ampia casa situata a Saint-Maur-des-Fossées della quale potranno fare un piccolo rifugio, viene proposta alle religiose, che potrebbero in que­sto modo trovarsi finalmente unite [60] e fare del bene nei dintorni. Di fatto, il raduno si compie nel mese di agosto. E presto, esse aprono un pensionato che, rendendo servi­zio e assicurando delle entrate, introduce anche la comunità nell’alta società parigina. Così, il loro lavoro personale unito alle offerte raccolte, permette loro di mandare qual­che aiuto alle sorelle di Rambervillers.

Sotto il profilo spirituale, questo spostamento fornisce a madre Mectilde l’occa­sione di incontrare direttamente padre Jean-Chrysostome de Saint-Ló, al quale il suo diretto, Bernières, l’ha indirizzata. Fino alla morte (il giorno 26 marzo 1646), questo religioso del terz’ordine di san Francesco e provinciale di Francia sarà la sua guida spi­rituale. Madre Mectilde gli svela la sua vita passata e la sua anima: padre Jean-Chrysostome, attento alla vita mistica, riceve le sue «relazioni» e vi annota delle rispo­ste nel luglio 1643; la incoraggia all’orazione e al puro abbandono, anche se con una nota costante di discrezione, di moderazione («Bisogna usare discrezione», «non biso­gna forzare l’intelletto, ma guidarlo piano», «bisogna tendere alla solitudine con discrezione», ecc.).

Tuttavia, nella prospettiva dell’unione «alla vita di Gesù», padre Jean-Chrysostome, la impegna in seguito sulla via delle mortificazioni esteriori - facendola pervenire così alla mortificazione interiore, la mortificazione del cuore - per impe­gnarla ad un’unione più stretta con il mistero di Cristo, come scrive: «Beata l’anima che, con la luce della grazia, conosce in sé la malignità della vita di Adamo, e che lavo­ra in tutta fedeltà a spogliarsene con la mortificazione, perché si renderà degna di comunicare alla vita di Gesù» (n. 19).

Nello stesso tempo, padre Jean-Chrysostome conferma le attrattive della religiosa su due punti in particolare: la pietà verso l’Eucaristia e la devozione alla Vergine Maria:

«Dio, mediante la Provvidenza, vi ha obbligata ad onorare il Santissimo Sacramento con particolare devozione, ed è in questo Sacramento che il nostro buon Signore Gesù Cristo, Dio e uomo, condurrà una vita tutta nascosta sino alla consuma­zione dei secoli, e che i segreti della sua bella anima vi saranno rivelati» (n. 4).

Ed anche: «Siate molto devota alla Vergine Santissima: onoratela in tutti i suoi legami con l’Eterno Padre, con il Figlio e lo Spirito Santo, con la santa umanità di Gesù. Onoratela per la parte che ha avuto nella nostra redenzione, in tutti gli stati e misteri della sua vita, specialmente nel suo stato eterno, glorioso e perfetto nel quale è entrata con la sua Assunzione; onoratela in tutto ciò che essa è in tutti i santi e in tutto ciò che i santi sono mediante lei» (n. 26).

Certo, in lei rimane lancinante il desiderio di preghiera e di una solitudine più totale, tuttavia l’amore di Dio rimane l’unico riferimento. Così, il 15 novembre 1645 scrive a Bernières:

«Ho più che mai desiderio di ritirarmi in solitudine per cedermi tutta a Gesù.

Non ho fatto conoscenza con le persone che vengono a visitarci a Parigi. Mi allontano per quanto è possibile dalle creature, tanto più che so per esperienza quanto le loro conversazioni piene di complimenti ecc., traggono l’anima dal riposo e dalla quiete che essa ha in Dio quando lo possiede nel silenzio.

Credo che per le anime destinate al ritiro e alla solitudine, sia un martirio appa­rire in compagnia. Beate coloro che possono essere ritirate così perfettamente da non vedere mai nessuno.

Dato che sono indegna di una tale grazia, pregate Dio che mi ferisca;-ne sarei feli­ce, perché vivere senza amarlo è morire, e sperimentare un inferno doloroso. Preferirei morire, nel momento in cui sto parlando, piuttosto che vivere senza morire d’amore per Colui che ha unito i nostri spiriti in lui».

Qualche mese più tardi, alla morte di padre Jean-Chrysostome (il 26 marzo 1646) che pare sia stato disprezzato per tutta la vita dal suo ordine [61], madre Mectilde affida la direzione della propria anima a Bernières:

«Fratello carissimo - gli scrive - abbiate pietà di me e per l’amore che questo santo padre vi portava, siate per me in questo mondo ciò che lui era per me [...]. Andiamo a Dio senza riserva, voi nella vostra grande via, e io nella santa abiezione e nella purezza d’amore in cui questo santo padre mi ha confessato che io ero chiamata» (28 marzo 1646).

come noi li rimettiamo...

Esteriormente, essendo stata richiesta a Caen nella primavera 1647 come priora di una comunità divisa che si era rifugiata là, madre Mectilde chiede parere a Bernières il quale risponde che deve «sottomettersi e accettare il fardello» [62]. Ma madre Mectilde faceva sempre parte della comunità di Rambervillers. Così, questa comunità, «temen­do di opporsi ai progetti di Dio, promise di dare il proprio consenso se madre Mectilde si fosse impegnata, per iscritto, a non cessare mai di appartenere al suo monastero di professione». Dopo aver redatto questa promessa, l’interessata si esprime così:

«Prostrandomi ancora ai piedi di tutte in generale e in particolare, domandando loro umilmente perdono di tutte le sofferenze e della pessima edificazione data loro, le supplico, per amore di Gesù Cristo e della sua santa Madre, di continuare ad amarmi e di considerarmi sempre come membro del loro corpo, Benché indegna di una tale gra­zia, dichiarando di nuovo loro solennemente che non ho altra volontà se non quella di morire con loro, se questo è il comando e il disegno di Dio, alla cui presenza e per amore del quale, ho scritto e firmato la presente promessa, a Saint-Maur-des-Fossées-lès-Paris il 23 maggio 1647. Suor del Santissimo Sacramento, indegnissima religiosa» [63].

Rimarrà a Caen per un triennio, dal 28 giugno 1647 al 28 agosto 1650; riguardo a questa carica che è condotta ad assumere, bisogna dire che è una prova pesante per madre Mectilde, perché la comunità, scontenta di colei che pareva loro essere un’in-trusa, le resistette in diversi modi, come traduce abbastanza bene, il seguente dialogo che testimonia le sue disposizioni a perdonare tutto quanto potrebbe costituire un’of­fesa personale:

«Madre, cosa siete venuta a fare allora qui?».

«Figliola, sono venuta a farmi edificare dalla vostra fedeltà nell’assolvere i vostri compiti» [64].

Conquistando quindi la comunità con la dolcezza, si mette a istruirle; ristabilita l’unità, raggiunge nuovamente il suo monastero di Ramberviller, che la nomina priora.

Ma in Lorena si riaccende la guerra. E se a quest’epoca Bernières non smette di dirle e di ripeterle che «Dio solo basta», «Dio solo deve bastare a un’anima morta e annientata», lei non gli nasconde la situazione:

«Siamo in mezzo alla guerra, tra gli allarmi, in apprensione e in miserie più gran­di di quelle che ci hanno costrette la prima volta ad uscire dal nostro monastero. Non si parla che di spada, di fuoco e di fame. La poca gente che rimane nel paese è quasi disperata, tanto i mali sono grandi. Ecco dove la Provvidenza mi ha condotta, in mezzo a queste miserie, responsabile di venti figlie senza sapere dove volgerci [...] Nessuno è mai stato più stupito di me, rientrando in questa confusione che avevo lasciato per riti­rarmi un po’ e consegnarmi alla grazia di Gesù che sembrava attirarmi al ritiro e alla separazione dagli ingombri e dalle creature. Ci vuole una grazia tutta particolare per vivere raccolta e conservare lo spirito di orazione in questo paese. Gli allarmi sono tanto frequenti, che la nostra povera casa è sempre piena di gente che vi si precipita per evitare i primi colpi di furia che i soldati scaricano su quelli che incontrano.

Ahimé, mio caro fratello; mi avete detto a volte che avrei dovuto ritornare a Rambervillers per morirvi solitaria; è una strana solitudine qui: sono sempre tra le grida, tra i rumori e gli affari. Devo essere pronta a veder perire tutto, dato che siamo minacciate ad ogni istante. All’inizio del mio soggiorno in questo luogo pieno di con­tinue tempeste, si è levata una tale rivolta nel mio spirito, che ho creduto di ammalar­mi, e per parlarvi schiettamente, [vi dico che] io rimango qui solo per pura adesione al disegno divino. Né la mia natura né il mio spirito hanno potuto ancora trovare alcuna soddisfazione e se Dio non tenesse sospesa la mia volontà al comando del suo bene­placito, mi sarebbe impossibile poter rimanere qui una sola ora, tanto ho avversione verso tutto ciò che incontro e che è contrario alla mia disposizione. Tuttavia, bisogna soffrire e morirvi, se il buon Dio non ha pietà di me, dandomi modo di uscirne. Se mai mi facesse questa misericordia, vi dichiaro che mi stabilirò da qualche parte per riti­rarmi dai fastidi che vorrebbero prostrarmi e che la carica che mi si è impietosamente imposta mi fornisce incessantemente».

Dove andare?

In questa situazione, che espone a Bernières il 7 gennaio 1651, ella si chiede se non dovrebbe ritirarsi in un altro monastero per salvaguardare la sua vita di solitudine e di pre­ghiera, anche a costo di richiedere un breve pontificio per realizzare questo progetto [65]

Altra soluzione: - che avrebbe evidentemente il vantaggio di sgravarla di tutte le preoc­cupazioni materiali - accettare un’abbazia offertale in Alsazia; ma dice: «la mia anima si trova molto meglio dalla parte della bisaccia che da quella del pastorale»; in ogni caso, sarebbe meglio «essere in una casa del nostro Ordine come una povera rifugiata scono­sciuta e ignorata [...] non mi serve null’altro che la fedeltà a Dio in un angolino». Comunque sia, è nella fedeltà alla volontà di Dio che vuole rimanere fondata.

Certo, le risponde Bernières il 14 febbraio 1651, nelle «sofferenze, necessità e agli estremi, in cui siete», è «il progetto di Dio su di voi, che è quello di annientarvi tutta, perché viviate tutta per lui», «tuttavia, mia carissima sorella, bisogna servirsi dei mezzi che la Provvidenza vi offrirà per togliervi dal luogo in cui siete, visto l’estremo a cui vi riduce la guerra [...] Ma non abbandonerò la povera comunità di Rambervillers, anche se voi foste costretta a lasciare Rambervillers; il che significa che sarebbe meglio che vi ritiraste a Parigi per sopravvivere, e per far sopravvivere il vostro rifugio che soccorrerà le vostre sorelle di Lorena». Quanto a ciò che gli dice dei turbamenti che prova dolorosamente per l’orazione, «non tormentatevi [...] queste unioni movimenta­te, questi riposi mistici che progettate, non valgono la pura sofferenza che possedete, perché mi pare che non abbiate consolazione né divina né umana. Non posso gradire che voi usciate dalla vostra croce, perché desidero per voi la pura fedeltà alla grazia, e non desidero accondiscendere a quella della natura».

Ben presto dunque, nei primi giorni di marzo, la comunità è condotta a disper­dersi, secondo i termini dell’obbedienza che le rivolgono i superiori ecclesiastici:

«Poiché la Lorena è ridotta alla più terribile carestia, e i suoi abitanti sono costret­ti a lasciare la loro desolata patria per andare a cercarsi un rifugio, di conseguenza per­mettiamo alla madre priora delle Benedettine di Rambervillers di far ritorno in Francia con tante e tali religiose, secondo quanto riterrà opportuno per il sollievo della sua casa; di stabilirvisi e di fermarvisi, tutte insieme o divise, secondo quanto richiederanno le cir­costanze. Sapendo, d’altronde come in questo monastero la disciplina regolare sia sem­pre stata vigente, e pienamente certi, d’altra parte, della probità, virtù, devozione e pru­denza della madre priora, le conferiamo ogni autorità ed ogni potere di lavorare, con tutti i mezzi da lei ritenuti più opportuni, al ristabilimento della propria casa» [66].

Alcune delle religiose si ritirano in Germania, altre in Borgogna, quattro fra le più giovani sono designate ad accompagnare la loro priora in Francia e sei delle più anzia­ne rimangono a Rambervillers. La partenza ha luogo il 1 marzo 1651, l’arrivo a Parigi, il 24 marzo. Immediatamente le cinque suore si recano a messa a Saint-Nicholas-des-Champs e si mettono sotto la protezione di questo patrono della Lorena. Qualche gior­no più tardi, ritrovano le loro sorelle di Saint-Maur, rifugiate in un angolino del quar­tiere Saint-Germain.

La notte di Pasqua, mentre madre Mectilde supplica Dio di benedire la sua riso­luzione di rinchiudersi in un eremo come in una tomba, per vivere una vita nuova con il suo Signore risorto, sente interiormente: «Rinuncia, adora e sottomettiti ai miei dise­gni». Schiantata, rimane fino al mattino con il viso a terra: «Un peso enorme sembra­va impedirle di rialzarsi; non poté farlo prima di aver promesso a Dio di non disporre più di se stessa per propria scelta, e di abbandonarsi completamente da quel momento in poi alla guida della sua Provvidenza» [67].

Il 3 giugno 1651, madre Mectilde fa il punto della propria situazione parigina in una lettera a Bernières:

«Sono in un luogo dove i servi di Dio sono in gran numero e dove si trovano grandissimi soccorsi e aiuti; ma Nostro Signore non vuole che io ponga in questo la mia felicità. Egli mi ritira nel fondo e io trovo in lui solo infinitamente di più con la santa unione che tutto ciò che le creature possono darmi con la loro eloquenza. Oh! Che grande segreto essere sola con Dio solo e lasciargli compiere la sua opera [...].

Trovo moltissime anime che vanno a Dio, ma ne trovo poche nella profonda via di morte e di annientamento. Credo più che mai che Nostro Signore ci attira, ciascuno secondo il proprio grado. Questa via non è conosciuta; siamo troppo immersi nei sensi in questa vita miserabile. Dobbiamo però lasciar morire tutto affinché Dio solo sia [...].

Abbiamo creduto che la nostra casa di Rambervillers fosse bruciata e le nostre religiose morte; la guerra è spaventosa: ci si mangia gli uni gli altri; è una crudeltà inaudita. Pregate e fate pregare per la santificazione di tanti miserabili e soprattutto delle nostre Madri che sono tra il ferro e il fuoco».

Mentre queste prove esteriori ed interiori sballottano madre Mectilde, tutto avvie­ne come se Dio intervenisse affinché madre Mectilde lo lasci, in lei e mediante lei, «compiere la sua opera». Un’altra volta, come nel 1636, passa attraverso una specie di ripetizione della morte e del giudizio durante «lo spazio di una mezz’ora. Alla fine di questo tempo, aprì gli occhi ed esclamò sospirando: "Che privazione!"». Cos’era suc­cesso durante questo svenimento? Non lo rivelò mai. Sua nipote almeno, che vi ha indagato, ha raccolto questa testimonianza: «Nello stesso momento, aveva visto madre Mectilde al tribunale di Dio, e che era stata rimandata indietro per essere posta sotto il torchio delle croci e delle afflizioni» [68].

In ogni caso, il suo stato peggiorò e le sue figlie le fecero «amministrare il santo viatico. Il vescovo di Babylone [69], che abitava nei dintorni, fu inviato per renderle que­sto buon servizio (agosto 1651)». Constatata la misera situazione nella quale soffriva, il vescovo le inviò un materasso ed una coperta e rese nota la sua miseria nella par­rocchia di Saint-Sulpice. Le dame di carità vennero a visitarla. L’ultima Domenica di agosto, una carrozza si fermò in rue du Bac, di fronte alla casa del Bon Ami. Ne disce­sero due signore ed entrarono dalle piccole suore lorenesi; così venivano chiamate le nostre madri nel quartiere Saint-Germain. C’era Charlotte de Ligny, presidente di Herse e parente di Jean-Jacques Olier, parroco di Saint-Sulpice; era accompagnata da Marie de la Guesle, contessa di Châteauvieux, che «accompagnava la sua nobile amica dalle religiose per pura compiacenza» [70]. Quest’ultima «non era della stessa parrocchia, perché il suo palazzo di famiglia era situato a un quarto d’ora di distanza, nella rue Saint-André-des-Arts (all’angolo di rue de l’Eperon); sua figlia Françoise aveva spo­sato il 25 settembre 1649 Charles de La Vieuville. Si sa che la contessa di Châteauvieux doveva ritornare alcuni giorni dopo (il 14 settembre) per «parlare di discorsi spirituali di cui era estremamente curiosa» [71]. Sarà solo un inizio: entrerà nella comunità.

Quali furono le disposizioni di madre Mectilde al termine di questa prova di salu­te? Ce lo fa sapere una lettera scritta a Bernières il 25 novembre 1651:

«Secondo il parere dei medici dovevo vivere solo tre giorni. Il giorno di san Luigi[quindi il 25 agosto] mi si credeva morta; sono ricaduta per due volte nella stessa infiammazione polmonare; la quantità di salassi mi ha difesa, ma mi è rimasta una grande debolezza di stomaco al punto che si crede che funzioni poco o niente. I medi­ci dicono che sono completamente disidratata e che è assolutamente impossibile che io possa vivere a lungo; solo quindici giorni fa ero agli estremi e non sapevo se avessi dovuto sperare di rialzarmi ancora una volta. Dio è mirabile nelle sue vie. Mi conduce alla morte e mi rimette in vita; fa quello che gli piace. Non è giusto, forse? In tutta que­sta debolezza e incertezza di vita, la mia anima è sempre, secondo la sua capacità, fis­sata in Dio, e da qualunque parte mi si giri, tutto il mio fondo andrebbe, mi pare, con totale abbandono verso il suo beneplacito, al punto che non chiedevo neppure un istan­te di tempo per dispormi alla morte».

Così, tutta spoglia di sé, madre Mectilde era pronta per il compito che l’attende­va. Attraverso queste prove di salute dal luglio al novembre 1651, che l’hanno condot­ta sino al limite estremo, ha imparato tutto ciò che implicava la disponibilità totale a Dio, a cui allude nelle parole che seguono [72]. Era la condizione per la fondazione delle Benedettine del SS. Sacramento, secondo la voce che era risuonata nel fondo del suo cuore nel dicembre 1637: «Verrà un giorno in cui tu costruirai a Dio una casa molto più splendida di quella che piangi e nella quale Dio sarà servito ancor meglio». Ma, «perché Dio solo sia», il costruttore di questa nuova casa sarà Dio stesso, da cui madre Mectilde prende tutto.

Terza parte: Fondazione ed edificazione dell’Istituto delle Benedettine del SS. Sacramento (1652-1698)

La religione di Gesù Cristo riposa sull’amore e non sul timore servile [73]

Le intime disposizioni di madre Mectilde sono evidenti. E nella fondazione dell’Istituto delle Benedettine del SS. Sacramento che ben presto nascerà, madre Mectilde si lascia guidare dagli eventi, nei quali è ormai condotta a riconoscere, ed anche con una certa insistenza nel marzo 1653, che Dio stesso vuole prendersi cura non solo dell’opera per la quale l’ha ristabilita, ma anche delle altre intenzioni che madre Mectilde può avere in mente, per votarsi unicamente «all’opera» a cui egli la destina [74]. Si potrebbe quindi dire che tutto si gioca nell’anno 1652. Ed ecco come.

Qualcosa avrà indubbiamente già preparato la devozione riparatrice verso l’Eucaristia. Sin dagli anni 1629-1630, in reazione alle profanazioni che la guerra pro­vocava, ardeva dal desiderio di «vendicare gli interessi del suo Dio oltraggiato e di por­tare la pena di tanti misfatti». E Henry-Marie Boudon, che celebrerà la sua prima messa il 5 aprile 1655 nel monastero di rue Férou, riferisce nelle sue memorie che la madre Mectilde «costretta a fare parecchi viaggi durante le guerre, avendo visto alcune ostie di un ciborio radunate in un trogolo di maiali, cosa per cui fu penetrata di dolore, pro­mise a Dio che, se avesse potuto fondare una casa, l’avrebbe fatto adorare e onorare giorno e notte nel SS. Sacramento». Nel 1641, era stata interiormente spinta a sceglie­re, perché fosse aggiunto al suo nome religioso, il mistero del SS. Sacramento e nella cappella di Benoîte-Vaux aveva avuto qualche intuizione circa l’urgenza di promuove­re la gloria del SS. Sacramento. Nel 1643, padre Jean-Chrysostome le aveva confer­mato l’autenticità delle attrattive che provava verso la Santa Eucaristia. Inoltre, nel­l’inquietudine che l’aveva colpita nel 1650 quando aveva raggiunto di nuovo Rambervillers e che era sparita una volta ritornata a Parigi nel 1651, non vi era forse il segno - che non poteva che rafforzare la rinuncia che aveva dovuto fare nella Pasqua 1651 di andare a rinchiudersi in un eremo - che doveva accettare la parola «Rinuncia, adora e sottomettiti ai miei disegni?».

Ora, ecco che all’inizio del 1652, un «pio ecclesiastico» le aveva detto che duran­te la messa Dio gli aveva fatto conoscere che voleva servirsi di lei per «fare qualcosa di grande per onorare il Santissimo Sacramento», mostrandogli allora il mezzo princi­pale: l’assiduità della presenza davanti a Gesù nel tabernacolo e l’adorazione perpetua in tutte le ore del giorno e della notte» [75]. A qualche giorno di distanza, mentre era in visita ad una dama di Carità del quartiere, la marchesa Anne de Bauves, «vide un qua­dro [...] che rappresentava una cerimonia pagana. Sullo sfondo si stagliava un altare dove era innalzato un idolo: sacerdoti e sacerdotesse prostrati, con una fiaccola in mano, lo adoravano. Più lontano, scoppiettava il fuoco sacro che alcune vestali attente alimentavano con cura [...]. A distanza, dei carnefici punivano con terribili torture altre vestali per la loro negligenza». Si confida con la marchesa circa le riflessioni che que­sto quadro le ispira: questi pagani così penetrati dal rispetto intorno al loro idolo sareb­bero stati la condanna dei cristiani che ne hanno avuto così poco nelle chiese davanti al SS. Sacramento [76].

Anne de Bauves farà perciò parte di alcune «persone di pietà le quali, toccate da un grande desiderio di far adorare continuamente il Santissimo Sacramento dell’altare», si prodigano per radunare i fondi necessari per «dare inizio a questa pietà», e ben presto «acquistare una casa per fondare un monastero ai fini su esposti». Ricapitolando questi avvenimenti in una lettera a Bernières il 2 gennaio 1653, madre Mectilde precisa:

«Da più di nove mesi faccio ciò che posso per respingerlo [il progetto] e non gli avrei mai dato ascolto, se non fosse stato per l’autorità di un vescovo che, confessan­domi, mi ordinò di non resistervi [...] E le signore sono giunte sino al punto di stipula­re un patto firmato tra loro e i loro mariti, che hanno dato il consenso in modo così par­ticolare da vedervi una meravigliosa Provvidenza, perché questi signori non sono asso­lutamente inclini alla pietà».

Per questa fondazione, chiede il permesso delle sue sorelle: nove glielo conce­dono senza riserva con una lettera del 2 agosto 1652. E il contratto di fondazione è fir­mato il 14 agosto 1652. Il 28 agosto, scrive a madre Benoîte de la Passion, superiora del monastero di Rambervillers: «Pregate tanto, mia carissima Madre, perché attiriate questa adorazione perpetua da noi. Quanto vi acconsento con tutto il cuore, e qui sare­mo tutte vittime del Santissimo e adorabile Sacramento!» [77].

L’adorazione riparatrice

Senza essere al corrente dei progetti e dei passi di madre Mectilde, il sulpiziano Charles Picoté, che apparteneva al clero della parrocchia Saint-Sulpice, pensava, da parte sua, all’istituzione di una fondazione religiosa dedicata all’adorazione riparatri-ce, intenzione per cui aveva anche fatto un voto per rispondere alla richiesta di Anna d’Austria trasmessagli dalla contessa di Brienne, in cui la regina si impegnava a ese­guire il voto che lui avrebbe compiuto [78]. Certamente le profanazioni perpetrate dalla Fronda avevano stimolato questa idea, che si tradusse in quest’epoca con voti diversi e con parecchie realizzazioni.

Tra le realizzazioni, è certamente nota la devozione verso l’Eucaristia della comunità di Port-Royal, che nel 1646 si era votata all’adorazione perpetua  [79]. Ora, pre­cisamente, nel loro sforzo presso numerose monache rifugiate a Parigi e la cui situa­zione era precaria, «I signori di Port-Royal, che volevano insediarsi a porta Saint-Marceau», offrendole «seicento scudi di pensione per questo, oltre al vitto», ma a con­dizione - per lei - di riconoscere uno di loro come superiore [80]. Non accettando questo assoggettamento, madre Mectilde sapeva che la religione di Gesù Cristo riposa sull’a­more e non sul timore servile, e aveva preferito non avere debiti con i «Signori di Port-Royal» [81].

Altre realizzazioni non erano però segnate dalle stesse tendenze di Port-Royal. Così, la devozione al Santissimo Sacramento di Charles de Condren, superiore dell’Oratorio, che era all’origine della Compagnia del SS. Sacramento e che aveva chiesto a Jean-Jacques Olier di fare del seminario di Saint-Sulpice, fondato nel 1642, una società di adoratori del Santissimo Sacramento. Ugualmente, «per la direzione dei seminari e delle missioni», ad Avignone nel 1632 Christophe d’Authier aveva istituito una congregazione di sacerdoti adoratori. Nel 1639 il domenicano Antoine Le Quieu, allora maestro dei novizi nel convento di Avignone, aveva creato la congregazione delle «Religiose adoratrici perpetue del Santissimo Sacramento e di Nostra Signora sotto la protezione di san Matteo apostolo ed evangelista». E nel 1662, dopo un viag­gio a Parigi, dove ha incontrato parecchie Dame di Carità (tra le altre, la presidente de Herse) l’abate Antoine Moreau, anch’egli colpito dalle esagerazioni di empietà gene­rate dalla Fronda, fonda a Montoire-sur-le-Loir la congregazione delle «Figlie del SS.mo Sacramento dell’altare» [82].

Si sa anche che una mistica autentica, Jeanne Chézard de Matel, la fondatrice nel 1625 della congregazione del «Verbo incarnato e del SS.mo Sacramento» ebbe, e pre­cisamente il 2 luglio 1652, giorno della festa della visitazione, una sorta di dialogo drammatico con la Vergine, che «le apparve, mentre lasciava Parigi portando con sé il suo divin Figlio. Vedendo ciò, si getta con la faccia a terra [...] Ah, mia Regina! mia augusta, dove portate il Bambino del santo Amore, l’Amore stesso, il mio Gesù, il mio Dio? Se lasciate Parigi, noi siamo perduti! Vi fermerò insieme a lui, con le mie lacri­me. Egli non le disprezzava quando era mortale. La vedova di Naim e la sorella di Lazzaro, con le loro lacrime gli hanno fatto risuscitare i morti [...] Non smetterò di pre­garvi tutti e due, finché non mi restituirete la pace e io possa così vedere il nostro re e i suoi di ritorno a Parigi» [83].

E, nell’entourage di madre Matel, nell’ottobre 1652, Picoté «fu informato a fondo sullo scopo, le motivazioni e il progetto di fondazione proposta tra le Dame di cui abbiamo parlato e di madre Mectilde del Santissimo Sacramento. Trovò in esso un’attinenza tale con ciò che la luce di Dio gli aveva fatto comprendere mentre era in preghiera, che decise di fare applicare il voto che aveva fatto e del quale, in seguito, fece la proposta a madre Mectilde del Santissimo Sacramento per conoscere personal­mente ciò che riguardava quest’opera. La venerabile Madre dichiarò alle pie dame fon-datrici ciò che quel buon sacerdote le aveva detto, e che esse manifestassero se erano d’accordo che vi fosse destinata la loro fondazione».

Da quel momento, toccava a Picoté cogliere un’occasione favorevole per ottene­re un’udienza della regina. Udienza che poté aver luogo l’8 dicembre, poiché la regi­na aveva anticipato il pellegrinaggio che aveva progettato di fare a Val-de-Gràce in occasione del Natale. Dopo che la regina ebbe «soddisfatto la sua pia curiosità, egli [Picoté] le fece capire che applicando il voto al progetto di madre Mectilde avrebbe assolto al proprio obbligo davanti a Dio senza fare alcuna spesa e che egli aveva [la] parola delle dame fondatrici che vi avrebbero acconsentito volentieri» [84].

Sebbene la regina non avesse affatto rifiutato il progetto in questione, fu «profon­damente toccata nel constatare questa convergenza di circostanze straordinarie» [85] e, ratificando questo voto che considerava come suo proprio, promise di fare tutto quel­lo che sarebbe stato in suo potere per farlo riuscire. Affidò quindi a Picoté una lettera «perché la consegnasse all’abate di Saint-Germain, il signor de Metz» [86].

«Fratello mio, da qualche tempo ho fatto voto di impiegare tutti i mezzi ritenuti più opportuni per rendere onore al Santissimo Sacramento dell’altare, in riparazione dei sacrilegi commessi durante questa guerra sciagurata. E siccome si è ritenuto che ciò non si sarebbe potuto attuare meglio che fondando una casa di religiose, la cui cura principale consistesse nel lodare e adorare incessantemente e pregare giorno e notte per la pace del Regno e per la conservazione del Re, ho puntato lo sguardo sulla madre Mectilde del Santissimo Sacramento, Priora di Rambervillers, persona di grande meri­to e di insigne pietà, perché sia superiora di un convento di Religiose benedettine, che ho intenzione di insediare nel quartiere Saint-Germain per realizzare il mio voto.

Desidero che mi concediate i permessi necessari per questa fondazione e che con­tribuiate in ciò che dipenderà da voi per farla riuscire, per lo sgravio della mia coscien­za e per la pubblica edificazione. Vi è già un fondo sufficiente e assicurato per la fon­dazione, che aumenterà ancora appena avrete accordato il permesso che vi chiedo e che non mi rifiuterete, ne sono certa, perché ne va della gloria di Dio e io vi supplico. Rimango comunque la vostra buona sorella

Anna

Parigi, 12 dicembre 1652

Se Madre Mectilde aveva cercato molte volte di evitare la realizzazione di que­sto progetto, il concorso delle circostanze la spinge tuttavia ad aprirsi solo con Bernières, che le impone di non resistere più. Entra quindi in rapporto con Dom Placide Roussel, priore di Saint-Germain-des-Près, che non lesina sulle esigenze finanziarie (sulle terre dell’abbazia vi sono circa duemila religiose che vegetano). Si giunge quin­di a stipulare un nuovo contratto, ed è fra queste difficoltà che madre Mectilde implo­ra la guarigione della contessa di Châteauvieux e di sua figlia, colpite da malattia. Madre Mectilde sente come risposta alla sua preghiera: «Di che ti preoccupi? Lascia a me l’incarico. Tu faresti meglio ad applicarti alla mia opera» [87]. È la seconda Domenica di Quaresima, il 9 marzo 1653. E madre Mectilde, con stupore, vede l’opera, gli inizi, i progressi, il compimento. Il 19 marzo, riceve l’assicurazione della protezione di san Giuseppe, mentre dallo stesso Salvatore divino le giunge la promessa: «È opera mia; io la farò riuscire» - «Se è opera vostra, Signore, concedetemi la grazia che ci venga dato il Santissimo Sacramento; e voi, grande san Giuseppe, svolgete il vostro compito di mediatore procurandocelo». Subito, scrive al priore di Saint-Germain, che le rispon­de cinque giorni dopo, accordando non solo l’autorizzazione richiesta, ma quella dell’esposizione del giorno dopo, 25 marzo, festa dell’Annunciazione. Cominciava l’ado­razione perpetua.

La realizzazione

Due elementi giungono a consolidare il progetto in corso di realizzazione: un nuovo contratto rafforza la fondazione, e il monastero di Rambervillers da il proprio consenso. «Essendo tutto a posto, il priore alla fine diede il suo benestare; e il vesco­vo di Metz rispose positivamente alla richiesta che gli era stata presentata». La con­tessa di Châteauvieux chiede immediatamente alla regina-madre di ottenere le lettere patenti le quali, rilasciate nel maggio 1653, furono registrate in luglio. Quindi, per «sta­bilire subito» la comunità, era necessario trovare un alloggio conveniente e - in attesa di avere una casa in proprietà - cercarne una in affitto. All’inizio di novembre, fu sti­pulato un contratto di affitto con la contessa di Rochefort che lasciava il suo edificio di rue Férou. Allora, il priore di Saint-Germain, «si impegnò per iscritto ad accordare il permesso di posare la croce e di porre le religiose in clausura, appena la casa fosse in buono stato» [88]. Il 10 marzo 1654, «dom Roussel visitò a fondo la casa, esaminò le obbedienze». E giovedì 12 marzo ebbe luogo la cerimonia di inaugurazione del mona­stero: benedizione dei locali, messa cantata solennemente, esposizione del SS. Sacramento; davanti all’ostensorio l’ammenda onorevole, il cui testo la regina riceve da madre Mectilde, è pronunciata da Anna d’Austria, con la corda al collo e il cero in mano; in quel momento «cadevano lacrime abbondanti da tutti gli occhi»: «Era la Francia intera che, con la voce della regina, faceva riparazione al Santissimo Sacramento degli oltraggi commessi in tutto il regno». Scena storica immortalata da un quadro attribuito a Philippe de Champaigne, che tutte conoscete e nel quale avete potu­to notare la lacrima di emozione che stilla sul bordo dell’occhio di madre Mectilde.

Quest’ultima, la sera stessa, con un atto firmato con il proprio sangue, «reitera», «rati­fica» e «conferma» la consacrazione totale della sua vita «al mio Salvatore Gesù Cristo e alla sua santissima Madre» [89].

Alcuni giorni più tardi, madre Mectilde formulava davanti alla sua comunità lo scopo dell’Istituto e la vocazione - di adoratrici, di riparatrici e di vittime - dei suoi membri, che rinnovano il senso della loro vocazione nella messa quotidiana e attra­verso tutte le pratiche di devozione personale e comunitarie che mirano ad esprimerla nel corso della giornata, della settimana, del mese e dell’anno, in una stretta osservan­za della Regola di san Benedetto; perché niente, dice madre Mectilde, «deve impedir­ci di unire alla professione di una regola santissima, la consacrazione totale del nostro Istituto a onore del Santissimo Sacramento».

L’edificazione dell’Istituto

Fu necessario organizzare rapidamente il noviziato, perché si presentavano richieste di ammissione. Il 22 agosto 1654, madre Mectilde fa eleggere Madre, Abbadessa e Superiora perpetua del monastero, la Vergine Maria, della quale viene fatta erigere una statua «nel coro, nella sede abbaziale, tra la madre Priora e la Vice priora» [90]: vengono istituite diverse pratiche di devozione verso la Vergine Maria.

Questi atti, certamente, stabiliscono solide basi per il nuovo istituto.

E giungiamo così all’edificazione dell’Istituto: in angustia temporum, nel peri­colo dei tempi; sua nipote riporta in effetti le seguenti parole di madre Mectilde:

«L’Istituto si è stabilito malgrado le potenze dell’inferno che l’hanno combattuto per oltre sette anni. Le angosce e i pericoli mortali che ho provato durante questo perio­do, non possono essere definiti meglio se non chiamandoli bevanda infernale; e io la bevevo tutti i giorni a piena coppa» [91].

Infatti, tra prove interiori ed esteriori, madre Mectilde impianta la sua opera. Dopo la costruzione del monastero di rue Cassette, il cui insediamento (21 marzo 1659) fu seguito dalla morte di Bernières (3 maggio 1659) vi furono, ma in risposta a nuove difficoltà, i passi intrapresi a partire dal giugno 1659 e che sfociarono in un breve laudativo di Alessandro VII del 20 settembre 1660 e nelle lettere patenti del 26 giugno 1662. Nel 1664 «con la sofferenza e il dolore» (perché «non vi è giorno che non abbia la sua nuova croce»  [92],madre Mectilde ebbe cura di ottenere il breve di appro­vazione dell’Adorazione perpetua (11 agosto 1664), poi la bolla di erezione dell’Istituto in Congregazione «perpetua e indissolubile» (29 maggio 1668); questa congregazione - madre Mectilde rifiutò di essere superiora generale - fu posta sotto l’autorità dell’arcivescovo di Parigi (8 ottobre 1669) e ottenne le lettere patenti (luglio 1670), ponendo l’Istituto come fondazione reale sotto la protezione del sovrano. Non rimaneva altro che stabilire e far approvare le Costituzioni (con rituale e cerimoniale): poiché le prime Costituzioni - elaborate a Saint-Germain-des-Près - non facevano spa­zio alla spiritualità di «vittima», madre Mectilde si mise all’opera nel 1673 e le pre­sentò al monastero di rue Cassette il 20 giugno 1675; furono stampate nel 1677 ed approvate da Clemente XI l’1 agosto 1705.

Durante tutto questo tempo si inseriscono tre aggregazioni di monasteri: Rambervillers (1665-1666), Nancy (1667-1669) e Caen (1685) e sei fondazioni di nuove case: Toul (1663-1665), Rouen (1676-1678), una seconda casa a Parigi (1684), Varsavia (1688) [93], infine Châtillon e Dreux (1688-1698). All’inizio, questo sviluppo fu sostenuto da una delle dame di carità del quartiere Saint-Sulpice, la contessa di Châteauvieux e da suo marito, il quale morì il 6 novembre 1662, poco dopo l’ingresso di sua moglie (20 marzo 1662) nella comunità di rue Cassette, ove morì l’8 marzo 1674; inoltre, l’appoggio degli interventi di Anna d’Austria non le venne mai meno.

Se a più riprese ha intenzione di lasciare il superiorato, si può anche notare che consolida le fondazioni dell’Istituto tra prove di salute. Forse una delle pagine più note­voli è quella che riguarda le condizioni in cui madre Mectilde redasse ciò che costituì il Vero Spirito delle religiose adorataci perpetue del santissimo Sacramento, o Disposizioni e pratiche per le figlie del Santissimo Sacramento. Si sa infatti che, mala­ta dall’inizio del 1661, scrive il 20 luglio 1661: «non sono utile che per i miei obblighi necessari [...] Se l’anima sapesse che spira in Dio, sarebbe davvero molto più che con­tenta: ma non sa né dov’è, né che fa, né ciò che diverrà. Il solo abbandono al disopra dell’abbandono è il sostegno segreto dell’anima» [94]. E l’I novembre 1661, si definisce «vittima totalmente perduta e abbandonata al beneplacito di Dio per portare l’effetto di questa qualità di vittima». Spacciata secondo i medici, dice il racconto conservato nei vostri archivi, «non si lasciò sfuggire l’occasione di fare un ritiro, di cui aveva grande desiderio, avendone chiesto il consenso alla comunità con la scusa di prepararsi alla morte, Benché in cuor suo non credesse troppo a quanto dicevano i medici, perché era sicurissima che non conoscessero per nulla la sua malattia; tuttavia, non chiedeva di meglio che andare ad unirsi al suo vero Medico che avrebbe saputo guarirla molto diversamente da quelli della terra, e la sua comunità alla fine acconsentì» [95].

Tale ritiro si prolungò dal 21 novembre 1661 sino a «la vigilia di Nostra Signora del febbraio 1662 [...] e il suo originario temperamento fu così ristabilito che, le reli­giose, nel vederla, furono del tutto sorprese di trovarla così ringiovanita e rifatta; ed anche dopo quel periodo, Dio continuò a dotarla di una fortissima salute, perché ciò era necessario alla sua gloria; non avrebbe infatti potuto agire diversamente alla fondazio­ne della congregazione, che la costrinse a intraprendere parecchi viaggi e a reggere grandi fatiche. In quel ritiro ella redasse lo scritto [che abbiamo appena evocato] che non uscì tutto d’un tratto dalla sua penna, come gli altri, ma a più riprese perché, per consolare le sue figlie molto addolorate da un’assenza così prolungata, ella inviava di tanto in tanto qualche biglietto che servisse loro di nutrimento e di consolazione spiri­tuale, rendendole insieme partecipi, con bontà da vera madre, delle disposizioni che portava nella sua amata solitudine, dato che vi è rimasta molto più a lungo che in altre occasioni» [96].

È questa quindi, come sapete, l’origine de // Vero Spirito, che è un insegnamen­to spirituale acquisito nella prova e dato per assicurare solidi fondamenti all’Istituto votato a dare alla Chiesa delle anime che entrino, in spirito vittimale, nel mistero dell’opera salvifica e che si dedichino all’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento per riparare le profanazioni. In questo momento, madre Mectilde si vede come Mosè sul monte Nebo, da dove Dio «le fece considerare la bellezza e l’estensione della Terra Promessa senza che vi entrasse. Ahimé! Ho ben motivo - annota - di credere che la mia sorte sarà pressoché simile e che nella mia solitudine non avrei avuto che qualche debole conoscenza delle bellezze del ciclo, dopo di che potrei ricevere l’ordine di mori­re senza entrare in questa beata dimora» [97] 97.

Se l’elaborazione de // Vero Spinto a prezzo delle prove del 1661-1662 è legata al periodo della fondazione (tra il breve di Alessandro VII e le lettere patenti del primo monastero), è ancora a prezzo di nuove sofferenze che viene ottenuto il breve dell’ 11 agosto 1664 con l’approvazione dell’adorazione perpetua. Tale approvazione diviene un incoraggiamento ed una forza per riparare le profanazioni (una di queste colpisce rue Cassette il 10-11 aprile 1665) e per far scattare (8 dicembre 1665) il desiderio di aggregazione del monastero di Rambervillers.

Dieci anni più tardi, madre Mectilde cade gravemente malata 1’ 1 dicembre 1675 e per tre giorni è «in pericolo di morte», «davanti alla giustizia di Dio»; è dunque la terza volta che si trova in una situazione simile [98]. E, riferirà la Madre, ciò «è durato ancora per due mesi [...] ma nel momento in cui ero pronta a passare, egli ha esaudito i miei voti; ha avuto più riguardo dei vostri desideri che dei miei, non mi ha rinviata per infilare perle, ma per soffrire e lavorare a nuove spese [99]: è l’ora della redazione delle Costituzioni, dove ciò che è in gioco è il fatto che sia correttamente espresso l’a­spetto vittimale della vocazione dell’Istituto. Negli anni 1680-1681, una malattia che la mise alla prova più di quella di cinque anni prima, le ottenne delle grazie di «abban­dono, conosciuto da Dio solo». Nel luglio 1683, in una completa libertà di spirito, si trova «posta nuovamente sotto il torchio della carica, benché vi avessi rinunciato in modo particolare. Nostro Signore mi ha costretta sotto la sua giustizia. Merito bene di portarne il peso. Mi sarebbe molto dolce, se facessi quanto devo» [100]

È quanto visse, poiché nel 1684-1685, una prova di altro genere colpisce madre Mectilde: il male venne da una religiosa di rue Cassette e madre Mectilde «si offre in sacrificio per la salvezza di questa sua figlia sventurata; si ammala gravemente, ma non arriva a toccare il cuore della ribelle» [101]. Offerta a Cristo in riparazione per il peccato del mondo, è entrata sino alla massima profondità della cooperazione all’opera della salvezza. Quindi, grazie di abbandono e sconforto si intersecano inestricabilmente. Ma nel 1694 le è dato di fare l’esperienza della misericordia divina, e il Sabato santo 10 aprile 1694, scrive: «La malattia che ho avuto mi è stata molto utile, mi ha mostrato la grande misericordia di Dio nella quale ho dimorato». Il 22 giugno 1694 continua: «Non so perché Nostro Signore mi abbia rinviata dalle porte della morte, se non per vivere ancora un po’ di tempo nel duro sacrificio».

Ormai, rileva sr. Véronique Andrai, abbandono e misericordia sono i termini principali, come in questa lettera del 4 febbraio 1695, indirizzata a Madre Saint-François-de-Paule:

«Bisogna abbandonarsi a Dio al di sopra dell’umano. A lui piace tenerci nella prova, in verità si tratta di una prova grande, ma la sua bontà è più grande della nostra desolazione. Dovete credere che la sua infinita misericordia si prenderà cura di voi, amandolo e servendolo con tutto il cuore. Non abbattetevi, la santa Madre di Dio è vostra Madre. Vi scongiuro di salutare spesso il suo santissimo Cuore tutto colmo di bontà per l’Istituto. Non affliggetevi, ma perdetevi in Dio con il vostro santo abbando­no, pregando e sperando» [102].

La Domenica di Quasimodo 6 aprile 1698, pronuncia le sue ultime parole. Al suo confessore che le chiede cosa faccia e a cosa pensi, risponde: «Adoro e mi sottomet­to»; e per le sue figlie in pianto attorno a lei: «Padre, dite loro che mi sono e mi saran­no sempre presenti. Che si gettino a corpo perduto nelle braccia della Santissima Vergine» [103].

Conclusione

Questo Itinerario Spirituale di madre Mectilde, fa emergere, ad ogni grande tappa della sua vita, un avvenimento che, sfuggendo al controllo della critica, sembra supe­rare l’analisi umana.

Nel 1636 non ha ancora ventun anni, e mentre si trova a Commercy, alle prese con le difficoltà dovute alla guerra e con la peste che decima la comunità, «rimane per 15 ore senza dare segno di vita». Mentre la si crede morta, «compare - dice - al giu­dizio di Dio», ma è rinviata sulla terra in vista di una missione misteriosa. Secondo la sua propria testimonianza, questo fatto si ripeterà tre volte nella sua vita». La prima, è il momento in cui sta per essere condotta a lasciare le Annunciate per entrare dalle Benedettine a Rambervillers.

Quindi, rimarrà certamente legata alla comunità di Rambervillers; ma, dal 1639 al 1652, non farà esperienza né di stabilità né di solitudine. Esternamente, Parigi, la Normandia e i suoi «mistici» della Compagnia del Santissimo Sacramento, Saint-Maur, di nuovo Caen, ritorno a Rambervillers, ma non per molto. La dispersione della comunità la riconduce a Parigi. Ora, in luglio-agosto 1651, come nel 1636, passa una sorta di ripetizione della morte e del giudizio «per lo spazio di una mezz’ora». E rac­cogliamo questa testimonianza: «Nello stesso istante, ella aveva visto la madre Mectilde del SS. Sacramento al tribunale di Dio e che era stata rimandata indietro per essere messa sotto il torchio delle croci e delle afflizioni» [104]. È il momento in cui sarà condotta a fondare l’Istituto delle Benedettine del Santissimo Sacramento.

Ma la «missione misteriosa» per la quale è stata rimandata indietro, quaggiù, non è forse lo stabilire, nell’Istituto, l’asse «vittimale» che da sempre ella ha in animo? Al momento della redazione delle Costituzioni, questo «asse» non era pienamente inte­grato nel progetto del priore di Saint-Germain-des-Près; ma, mentre è di nuovo in punto di morte, è «rinviata», non «per infilare perle, ma per soffrire e lavorare a nuove spese».

In queste tre circostanze, la parola è la stessa: dice di essere «rinviata», ossia inviata in senso contrario. Qui dunque, nell’istante in cui pensa, con la morte, di pre­sentarsi al giudizio di Dio, deve ritornare nel luogo da cui viene: prima «sulla terra in vista di una missione misteriosa» (che pare non esserle ulteriormente specificata, ma che si compirà in un istituto diverso da quello in cui si trova); poi «per essere messa sotto le croci e le afflizioni» (inerenti alla «missione misteriosa» della fondazione dell’istituto); infine «per soffrire e lavorare a nuove spese» (nel riesame del progetto delle costituzioni).

Ogni volta quindi, mentre le prove sono legate alla fondazione e al consolida mento dell’Istituto, viene chiamata anche ad un rinnovamento interiore. Questa nuova spoliazione di tutta se stessa, ella la esprime in termini di rinuncia, di abiezione, di rigetto di ogni ricerca di sé per essere completamente malleabile tra le mani di Dio, fino all’abbandono totale alla sua volontà, «perché Dio solo sia». Per realizzare l’ope­ra di Dio e cooperare all’opera della salvezza, deve, come vittima, offrirsi in ripara­zione per i peccati, ossia al posto dei peccatori (da qui il senso della propria miseria), e per ottenere il ritorno dei peccatori al Dio di misericordia; alla fine, infatti, le è dato di sperimentare «la grande misericordia di Dio nella quale - dice - io dimoro». Così, abbandono e sacrificio, miseria e misericordia sono, alla fine della sua vita, irriduci­bilmente connessi: «Nostro Signore mi ha rinviata dalle porte della morte soltanto per vivere ancora un po’ di tempo in un duro sacrificio».

Vi confesso che questo Itinerario spirituale di madre Mectilde mi fa pensare a questo passaggio della Viva Fiamma di san Giovanni della Croce:

«Ci sono poche anime che giungono a questo punto, ma qualcuna vi è giunta, e soprattutto le anime di coloro la cui virtù e il cui spirito dovevano espandersi nella suc­cessione dei loro figli, avendo Dio dato la ricchezza e la grandezza per ciò che concerne le primizie dello spirito, ai capi [di nuove famiglie religiose], secondo la mag­giore o minore successione che la loro dottrina e il loro spirito devono avere» [105].

La canonizzazione di madre Mectilde non potrà essere un rinnovamento ed un’e­stensione del rendimento di grazie reso a Dio per tutto ciò che egli ha compiuto in lei e attraverso di lei?

 



* Conferenza tenuta alla Maison Nicolas Barre di Parigi.

[1] D’ora in poi, abbreviata con la sigla VA.

[2] Véronique ANDRAL osb ap, Catherine de Bar, Mère Mectilde du Saint Sacrement, 1614-1698, Itinéraire spirituel, ediz. privata, Rouen 1990 (la ed.), 1997 (2a ed.). Ne esiste un’edizione italiana: Marie-Véronique ANDRAL osb ap, Catherine Mectilde de Bar, ed. Città Nuova, Roma 1990. I riferimenti nelle note che seguo­. no si riferiscono però all’edizione francese (N.d.T.).

[3] Louis MASSIGNON, Le voeu et le destin, Opera minora, III, p. 691.

[4] Questi biglietti di circostanza indirizzati a Marie de La Guesle Châteauvieux sono iniziati all’epoca dei con­ tatti di madre Mectilde con le dame di Carità che favoriranno la sua fondazione a Parigi. La dilatazione spiri­tuale della destinataria l’aveva invitata a radunare «a suo uso personale» lettere e conferenze di madre Mectilde (raccolte secondo l’argomento e non in ordine cronologico), riguardanti le diverse feste liturgiche, da cui il nome di Breviario dato poi a questo manoscritto, che sembra essersi arricchito nel monastero di rue Cassette. Madre Mectilde ne ha rivisto personalmente le copie ed ha permesso a coloro che tra le sue figlie lo desideravano, di riprodurle a loro uso. È così che esistono parecchie copie del Bréviaire de feu Madame la comtesse de Châteauvieux. A cura del monastero di Rouen, i testi del Breviario compongono il volume: Une amitié spirìtuelle au grand siècle. Lettres de Mère Mectilde de Bar à Marie de Châteauvieux, ed. Téqui, Parigi 1989. È prevista l’uscita nei prossimi mesi dell’edizione italiana, curata dal monastero di Ghiffa (N.d.T.).

[5] Prefazione a Une amitié spirìtuelle, cit., p. 29.

[6] Ibid.,p.25.

[7] D’ora in poi, abbreviato con R.

[8] «le maître à penser de la Compagnie du Saint-Sacrement de Caen»: Alain TALLON, La Compagnie du Saint-Sacrement, Cerf, Parigi 1990, p. 46.

[9] D’ora in poi, abbreviato M.

[10] D’ora in poi, abbreviato PA.

[11] D’ora in poi, abbreviato V

[12] Louis COGNET, Conferenza tenuta all’Institut Catholique di Parigi Sabato 8 febbraio 1958 e riprodotta in Catherine de Bar, Documents historiques, Rouen 1973, p. 27. Per la corrispondenza con Bernières vedere anche i lavori e le conferenze di padre Bernard Pitaud, superiore del seminario dell’Institut catholique di Parigi.

[13] Rene TAVENAUX, Jansénisme et Ré/orme catholique, Nancy 1992, p. 11.

[14] Ibid., p. 107

[15] Cf. Hélène DERREAL, Un missionnaire de la Contre-Réforme, Saint Pierre Fourier et ‘Institution de la congrégation de Notre-Dame, Plon, Parigi 1965; e La bienheureuse Alix le Clerc et ses écrits, Nancy 1947; vedere anche i cinque volumi della Corrispondenza di san Pierre Fourier editi da Presses universitaires di Nancy.

[16] R. TAVENAUX, o.e., p. 12.

[17] Citato da Hervin, pp. 7-8.

[18] «Cappelletta [...] situata su una collina a un quarto di lega dalla città di Saint-Dié» (Archivi del Monastero di Rouen, P. 101).

[19] In una lettera datata 1744, la signora Anne de Spitzemberg «afferma di abitare la casa del signor de Bar e di scrivere dalla camera stessa in cui è nata madre Mectilde. Su una cartina dell’antica Saint-Dié, stilata con minuziosa cura, si ritrova, dietro al palazzo de Spitzemberg, i giardini che la nostra venerata Madre attraver­sava per recarsi alla chiesa dei Cappuccini, il sentiero che vi conduceva ed infine il corso d’acqua in cui anda­va a pescare con le sue amiche» (Hervin, p. 99, n. 1).

[20] Ibid., pp. 10-20.

[21] R a p. Jean-Chrysostome de Saint-Lô, Proposizione I.

[22] «Principe molto cattolico, che sentiva chiaramente che la Lorena, quasi fatalmente, sarebbe dovuta cadere in possesso della Francia [...], aveva intrattenuto rapporti con il duca di Feria - generale spagnolo - ed anche con Wallenstein [generale dell’imperatore di Germania, Ferdinando II, e che aveva combattuto contro gli Svedesi]». Victor L. Tapié, corso del 1963-1964 sulla guerra dei Trent’anni, corso C.D.U., p. 227.

[23] Trattato firmato tra la Francia e la Svezia (cancelliere di Svezia Oxenstierna) a Compiègne il 28 aprile 1635.

[24] Così Hervin, p. 21, riferendosi a M, cap. II, p. 13.

[25] R, prop 2.

[26] Charles MOLETTE, Notre Pére, ed. Téqui, Parigi 1994, p. 14.

[27] M, p. 25, cit. in Hervin, p. 47.

[28] Lo stesso testimone riporta un altro «evento imprevisto»: «l’anello che ella aveva ricevuto si ruppe imme­diatamente da sé [...] Desolata, andò verso la sua superiora; le mostrò, senza poter dire una parola, l’anello rotto, facendole intendere con i suoi gesti che lei non c’entrava nulla. Per rassicurarla, madre Angélique le disse che forse, per un disegno divino, sarebbe passata a un altro ordine e che quello era il significato di que­sta rottura [ ... ] L’anello tuttavia, appena fu nelle mani della superiora, si rinsaldò» (cit. ibid., p. 50)

[29] Ibid.,p. 54

[30] Ibid., p. 54-55.

[31] R, Rép a Prop. 2.

[32] Così si esprime Pierre BERRANT, cappellano della Visitazione di Melun dal 1690 al 1715, nel suo Petit abrégé de la Vie de la vénérable mère Catherine Mectilde du Saint- Sacrement, institutrice et première supérieure de l’Adoration perpétuelle du Très-Saint-Sacrement, pp. 17-18, cit. da Hervin, p. 64 e da VA, p. 16.

[33] Hervin, pp. 77-79.

[34] Hervin, p. 79. Nel suo corso sulla guerra dei Trent’anni del 1963-64 (C.D.U.), Victor L. Tapié evoca il sac­cheggio di Tirlemont, del 9 giugno 1635, secondo l’informatore belga Vincart: «violenze esercitate su donne e religiose, un bimbo che succhiava il latte dalla mammella strappato alle braccia della madre, gettato in aria e fatto ricadere su punte di spada per diletto; l’ospedale incendiato, con i malati all’interno; chiese profanate, statue fatte a pezzi; un’immagine della Vergine colpita con sette colpi di carabina, irridendo i Sette Dolori. "I soldati - afferma Vincart - perpetrarono tanti orribili sacrilegi al punto che la posterità non potrà mai credere che simili atti siano mai, in alcun secolo, stati perpetrati tra i cristiani". Qui - continua Tapié - Vincart si dimo­ stra molto ingenuo, perché simili orrori erano stati commessi a Paderborn e nelle città dell’Alsazia, durante la prima parte della guerra. Ma è interessante vedere come questi orrori, all’epoca della guerra dei Trent’anni,
sembravano legati automaticamente all’esercizio della guerra. [... E tuttavia] padre Griffet, storico da Luigi
XIII al XVIII secolo (1758), racconta che alcuni uffficiali francesi avevano cavalierescamente protetto delle religiose. E, in un vecchio studio di uno storico belga, Bets, del 1859, La campagne des Francois et des Holandais dans les provinces belges eri 1635, alcune testimonianze avallano l’opinione di Griffet, e partico­larmente la testimonianza della Superiora delle Annunciate. Vi erano ancora persone, quindi, che conservava­ no sangue freddo ed umanità (pp. 273-274).

[35] M, pp. 48-49, cit da Hervin, p. 81.

[36] VA, p. 16. Si può rilevare che alla fine di luglio - inizio di agosto 1651, all’uscita dalla messa, madre Mectilde sembrava «una morta»; e «una persona virtuosa assicurò che in quel momento aveva visto la madre Mectilde davanti a Dio, e che era stata rimandata indietro per essere messa sotto il torchio delle sofferenze e delle croci» (VA, pp. 78-79). Allo stesso modo nel 1676, tra il 4 e l’8 dicembre, «nella notte tra Mercoledì e Giovedì, la madre Mectilde del SS. Sacramento fu ridotta in una tale condizione estrema che ci si attendeva in ogni istante di vederla spirare»; «ritornata in sé», disse: Dio «mi rimanda tra voi solo per soffrire e per lavo­rare di nuovo» (Hervin, pp. 586-587 e VA, p. 163).

[37] Hervin, p. 89.

[38] R, Prop et Rép. 5

[39] Ibid., 6.

[40] M, 31-37, cit. da Hervin, pp. 95-96.

[41] Hervin, p. 106.

[42] Ibid., pp. 114-116. Cf. Relations, Prop. et Rép. 12

[43] R, Prop 14.

[44] Hervin, p. 125.

[45] VA, p. 26.

[46] Hervin, p. 129.

[47] VA, p. 26.

[48] La vie et les oeuvres de Catherine Adorno, trad. da Desmarets, Parigi 1662, cit. in VA, p. 28.

[49] Ibid.

[50] Se facciamo un confronto, ad esempio, con quanto fu dato di vivere a Edith Stein, percepiamo contempora­neamente differenza e somiglianzà. L’«annientamento in Dio» è la realtà comune; è molto chiaro. Ma, nella luce soffusa di Caterina di Genova, viene illuminata la prospettiva dell’essere umano di fronte a Dio. Nel caso di Edith Stein, si tratta della prospettiva dell’essere umano che scopre la propria cooperazione al mistero della salvezza: «Vieni, andiamo per il nostro popolo», dice alla sorella Rosa domenica 2 agosto pomeriggio, quando la Gestapo viene a prenderle per condurle nella camera a gas di Auschwitz-Birkenau; ora, di questo passo Edith Stein aveva appena fatto il seguente commento: «Uomini così danno anche a Nostro Signore la possibilità di disporre di loro come membra del suo Corpo Mistico. Ormai essi non vivono più una loro vita propria, ma quella di Cristo, non soffrono più il loro proprio dolore, ma quello di Cristo. Per questo motivo si rallegrano della vita di grazia che il Signore accende in altre anime» (Scientia crucis). Anche qui viene suggerito il paragone del pane, perché, nella prospettiva di Edith Stein, le è dato, dicendo «per il nostro popolo», di prolungare la parola e l’offerta di Cristo: «Ecco il mio corpo dato per voi; prendete e mangiate. Ecco il mio sangue sparso; prendete e bevete».

[51] Ihid.,p. 138.

[52] Ibid.,p. 143; e VA, p. 29.

[53] Fratel Matthieu Renard era il religioso lazzarista che le accompagnava

[54] Due si fermarono a Jouarre; delle cinque che arrivarono a Montmartre, due partirono per Caen, due per Saint-Cyr ed una rimase a Montmartre (Hervin, p. 150, secondo V).

[55] Gaston DE RENTY, Correspondance, ed. Gaston Triboulet, D.d.B., Parigi 1978, p. 765.

[56] Jean de Bernières -Louvigny anima a Caen la Compagnia del SS. Sacramento, insediata dal 1642; ne ha «fatto un "eremo" mistico, la cui influenza è grande in Francia e in Canada» (Alain TALLON, La Compagnie du Saint Sacrement, Cerf, Parigi 1990, p. 34).

[57] Alain TALLON, La Compagnie... cit., p. 46.

[58] Ibid., p. 87: «questa confraternita pubblicò i propri esercizi, certamente redatti da padre Jean-Chrysostome» (Ibid., n.34). I suoi membri «si consacravano al servizio dei poveri e dei malati» (Gaston de Renty, Correspondance, p. 891).

[59] J. DE BERNIERES-LOUVIGNY, Le Chrestien intérieur ou la conformité ìntérieure que doivent avoir les chrestiens avec Jésus-Christ, Parigi, Claude Cramoisy 1663, pp. 11-12 (cit. in Tallon, p. 97).

[60] Scrive il 15 (o 18?) luglio 1643 a Bernières: «Ho detto chiaramente che non potevo vivere nel frastuono di Parigi e che desideravo far ritorno a Rambervillers o in Normandia per essere in maggior solitudine. I nostri affari di Rambervillers sono ben messi; abbiamo trovato una buona persona che intende fare qualche dona­zione dei suoi beni. Ciò potrà sollevare molto le nostre sorelle nel caso in cui il signore di Parigi non gradisca il nostro eventuale insediamento a Saint-Maur». Sulla corrispondenza di Bernières, vedere anche la conferen­za tenuta dallo «specialista», padre Pitaud.

[61] Poco dopo la morte di padre Jean-Chrysostome, madre Mectilde scrive a Bernières: «La santa abiezione l’ha accompagnato in vita e in morte, ed anche dopo la morte, è rimasto abietto nella mente di qualcuno dell’Ordine». Ella teme anche che si brucino i suoi scritti, «perché sono nelle mani dei suoi persecutori. Speriamo almeno di sottrarli, vi supplico» (lettera del 10 aprile 1646).

[62] Hervin, p. 216.

[63] Ibid.,pp. 216-217.

[64] Ibid., p. 223.

[65] È la sua grande e «quasi ultima tentazione di fuga a Sainte Baiarne»: «si era già fatta tutto un piano del suo riti­ro [...] di uscire dalla casa grazie ad un’obbedienza che avrebbe ottenuta all’insaputa delle sue sorelle, e di pas­sare poi a Lione da cui avrebbe inviato loro per posta una lettera che è stata rinvenuta tra le sue carte, con la sua calligrafia, ma contraffatta, dove vi erano soltanto queste poche parole: "Una religiosa chiamata Mectilde del SS Sacramento è passata di qui. Dio ne ha disposto. Pregate Dio per il riposo della sua anima"» (VA, pp. 75-76).

[66] Hervin, pp. 245-246.

[67] V, citato in Hervin, p. 2f

[68] Hervin, pp. 268-269. Cf anche VA, 78-79, e la nota 36.

[69] Dom Bernard di Sainte-Thérèse [Jean Duval], o.c.d., vescovo in partibus: «nel XVII secolo, i carmelitani hanno avuto grandissima parte nell’attività missionaria della Chiesa. Di ritorno a Parigi, acquista, con l’aiuto della Compagnia del Santissimo Sacramento, un grande appezzamento di terra in rue de Sèvres, ove verrà innalzato più tardi il seminario delle Missioni estere [di Parigi] » (Documents historiques, p. 78,n.)

[70] Hervin, p. 270. Charlotte de Ligny, presidente di Herse, fu tra le prime Dame di Carità (luglio 1634)

[71] Documents historiques, p. 81.

[72] II 5 marzo 1652: «Mi tiene in uno stato che mi pare più verso la morte che la vita [...] Sono in una libertà di spirito inesprimibile, perché sto a tutto ciò in cui Dio mi occupa, senza ripensamenti né preoccupazione, essendomi indifferente ogni impiego. Purché io muoia in stato di morte, niente mi fa soffrire» (a Roquelay). «Nostro Signore stesso mi spogliava di me stessa» (23 novembre 1652 a Bernières). Cf. nota 36.

[73] Hervin, p. 419 (riassunto de // Vero Spirito).

[74] A questo proposito, vedere più avanti, dopo la lettera di Anna d’Austria all’Abate di Sanit-Germain; cf anche VA, p. 89.

[75] Hervin, p. 289.

[76] Ibid., p. 288.

[77] Cit. in Lettres inédites, p. 144.

[78] Durante le agitazioni della Fronda, Anna d’Austria, «indignata da un dolore mortale per la rivolta della parte più considerevole del regno contro il re, suo figlio, [...] prese la risoluzione di applicarsi efficacemente a pla­care la collera di Dio con molte preghiere e vóti; ne fece ella stessa, e ne fece fare da parecchie persone di pietà di cui si fidava» (testimonianza, pare del 1702, conservata nel monastero di Rouen, proveniente da Elisabeth-Catherine de Vienville 1660-1747, nipote e iglioccia di madre Mectilde; era l’ultima delle tre sorel­le, ed ha frequentato più abitualmente rue Cassette). Cf. anche Hervin, p. 299.

[79] Louis COGNET, Mère Mectilde du Saint-Sacrement. Ecrits spirituel à la comtesse de Chàteauvieux, Introduzione, pp. IX-X.

[80] Catherine DE BAR, Documents historiques, Rouen 1973, p. 82.

[81] Nel momento in cui prende corpo il suo progetto, il 5 marzo 1652, madre Mectilde scrive a Roquelay: «Sono lieta che egli [Bernières] lavori alla rovina del giansenismo. Nostro Signore mi ha fatto la grazia di lavorarvi anch’io secondo la mia poca capacità e mi ha dato la consolazione di togliervi qualche spirito molto confuso; la divina Provvidenza ha voluto servirsi di me, indegnissima, per porre quelle anime nella libertà di spirito e Nostro Signore fa loro grandi grazie da quando hanno lasciato le loro opinioni. Ecco ciò a cui la Previdenza mi ha impiegata dopo la mia grande malattia del mese di agosto». Vedere anche, più avanti, la nota 104.

[82] Les sœurs du Très-Saint-Sacrement et de la Charité de Bourges, 1954, p. 41. Cf. anche Mons. André Girard, Les Sœurs du Saint-Sacrement et de la Charité de Bourges, 1934, e il volume del can. M.R. Jeuné, postulatore della causa di Antoine Moreau, Bourges, 1948.

[83] R.M. Saint-Pierre de Jésus, Vie de la reverende Mère Jeanne Chézard de Matel, Friburgo (Svizzera), 1910, p. 461.

[84] Archivi del monastero di Rouen, P. 101, pp. 427428. Le dame (e in particolare la contessa di Chàteuvieux) sono le fondatrici; madre Mectilde è l’istitutrice.

[85] Hervin, p. 310.

[86] Henry de Bourbon, (1601-1682), vescovo di Metz, principe del Santo Impero, marchese di Verneuil, figlio legittittimo di Enrico IV e di Catherine Henriette de Balzac d’Entraigues, abate di Saint-Germain-des-Près (1623-1669), È lui che acconsentì all’introduzione della riforma di Saint-Maur nel suo monastero.

[87] Archivi del monastero di Rouen, P. 101, p. 452.

[88] Hervin, pp. 331-336.

[89] Hervin, pp. 337-341.

[90] Hervin, p. 365.

[91] Cit. da Hervin, pp. 387-388.

[92] Hervin, pp. 448-449: lettere dell’ottobre 1664.

[93] II primo gennaio 1688, nel castello reale dove erano state alloggiate al loro arrivo, le religiose iniziarono l’adorazione perpetua del SS. Sacramento, dopo aver rinnovato «i voti in presenza del vescovo, del re e della regina» (annali del monastero di Varsavia, cit. da Hervin, p. 274. E, per apprezzare il gesto, cf. anche Tanborra A., Unione della pieve e crociata contro il Turco alla fine del seicento: le missioni del gesuita C.M. Vota in Moscovia e Polonia, Archivio Storico Italiano, 1975, nn. 483-486, pp. 101-131).

[94] VA. pp. 114-115.

[95] Manoscritto N 249, cit. Ihid., pp. 120-121.

[96] Ibid.,p. 121.

[97] Ibid., p. 125

[98] Vedere nota 36.

[99] Ibid.,pp. 161-163.

[100] lbid.,p. 164

[101] lbid.,pp. 174-175

[102] Ibid.,pp. 188-195.

[103] Ibid.,p. 213.

[104] Hervin, pp. 268-269. Cf anche VA, pp. 78-79, e la nota 36.

[105] II, 2.