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Deus absconditus, Anno 45,
n. 1, Gennaio-Febbraio 1953, pp. 9-16
Mons. Gilla Vincenzo Gremigni
La Benedettina dell’Eucaristia
Quando nasce Caterina de Bar, il mondo è in convulsione... Basti ricordar la guerra dei trent’anni, per avere un’idea di quanto gli uomini avevano scavato con le loro stesse mani, di dolore, di guerra, di sangue, di morte.
E, purtroppo, di profanazione. Le aberrazioni del protestantesimo pesavano allora sull’umanità più schiaccianti e soffocanti che mai. Si cominciavano a raccogliere i frutti avvelenati di quella insensata ribellione, che aveva così perfidamente strappato il seno della Chiesa Madre. Di quella disgraziata situazione, poche anime hanno più dolorosamente risentito di questa figliuola della Lorena, nei suoi lunghi ottantaquattro anni di vita. Nata per abbellire il Cielo, era anche nata per consolare la terra. Come?
Il Cielo si abbellisce con l’amore, la terra con l’umile accettazione del dolore. In unione con Gesù. Ma, sulla terra, dove è più presente il Signore? Nel suo divin Sacramento, quel Sacramento che Caterina individuò come il «Sommo Dono».
Il perno e, insieme, il fascino della sua vita terrena è tutto qui. Nella sua prima Comunione ella comprende soprattutto, vorrei dire unicamente, una cosa: Gesù è la Vittima, ed è rimasto in terra allo stato di Vittima.
Caterina è, nella sua trionfante giovinezza, un giardino fiorito. Tutti i più felici successi potrebbero esserle, nel mondo, a portata di mano... Ma...
In quel periodo tutte le profanazioni ingigantiscono. Si direbbe che gli uomini, non sapendo trovar l’amore e la pace, se la prendano stoltamente con Dio. Chiese bruciate, Monasteri saccheggiati, Ostie profanate! Caterina apre gli occhi inorridita: vorrebbe, come fece a quattro anni verso un bestemmiatore, ribellarsi e tempestare, coi pugni stretti, quei malvagi... No…Meglio imitare il caro Gesù e umilmente sacrificare tutto, anche il più giusto risentimento, rimaner con Lui e riparare, insieme con Lui, per tutti.
Ha diciassette anni, quando si presenta al Monastero delle Annunciate a Bruyères. Cercava la volontà di Dio, che per lei non poteva essere – lo sentiva fin quasi a soffrirne, – per una di quelle strane intuizioni dell’anima, che volontà di annientamento.
Nella cerimonia della Vestizione le fu messa sulle spalle la croce.
Era il suo vero programma. Quando, di lì a poco, la peste invase il Monastero, ella sola rimase, impavida e tenera, a curare i corpi disfatti... a crocifiggere la sua carne e il suo .spirito.
Il giorno della professione, una corona – quasi un’aureola – le sfolgora intorno al capo, alla vista di tutti... L’anello nuziale le si spezza in mano. Ma la Madre Superiora lo benedice e l’anello si rinsalda! Maraviglie.
Ella invece, più umiliata che mai, pensa e scrive : «La sposa di un Dio crocifisso non deve essere coperta che d’ignominie, saturata d’obbrobrii, circondata di croci». Il suo Dio crocifisso, la Vittima umiliata, stritolata, annientata è lì, viva, nel Tabernacolo santo. Il suo cuore brucia.
***
A vent’anni, Suor Caterina di San Giovanni è Superiora del Monastero. Tutte le prove si avventano sul candido nido e si raccolgono a martirio sul cuore di questa giovane Madre. La peste, la soldataglia svedese, il fanatismo religioso, la crudeltà, l’incendio.
Ella passa davvero per ignem et aquam. In fuga, minacciata dalle soldatesche – lei per la prima e le sue figliuole dopo –, traversano incolumi il torrente vorticoso e sfuggono al fuoco della scatenata passione di quei rudi soldati. Raccolte dalle consorelle di Badonvillers, si trovano tutte insieme sotto un nuovo e più grave attacco del nemico... Cercan di mettersi in salvo. Suor Caterina rimane sola ai piedi del Tabernacolo : «Ditemi, o mio Dio – ella supplica ginocchioni – che volete che io faccia!».
Le suore non sono giunte in tempo ad aprirsi una via di scampo e son costrette a ritornare indietro, ai piedi di Gesù, terrorizzate. Che cosa avverrà di loro? La minaccia è giunta più volte sin là, alla porta.... Ma un arcano potere allontana i profanatori, e lo stesso infuriato generale Briegfeld, dinanzi al volto angelico della Superiora e delle sue Suore, si dà per vinto. Il fanatico, fiero, brutale luterano diventa mansueto come un agnello. L’Eucaristia scrive una stupenda vittoria: il generale diventerà fervente cattolico.
Ma l’odissea continua: pericoli, minacce, fughe, travestimenti, fanno passar questa impavida purissima donna per tutte le più angosciose peripezie, finché con le sue compagne di sventure e di avventure giunge a Commercy, dove finalmente potrà stabilirsi la pia comunità... senza che, per questo, cessino le pene e le prove. La peste e la carestia bussano al convento, ma solo per dar modo a Caterina e alle sue figliuole di diventar le sorprendenti infermiere e le soccorritrici gentili dei malati e dei poveri.
***
Che cosa voleva da lei il Signore?
Caterina, ora come sempre, voleva salvare il suo giglio, per Colui che si pasce tra’ gigli, salvare la sua vocazione, che rimaneva sempre decisamente vocazione eucaristica. Il Signore conduce intanto le povere Annunciatine come ospiti nel Monastero benedettino di Rambervillers. E Caterina viene così a contatto con la regola di San Benedetto. Si direbbe che le vie difficili per cui le circostanze e gli avvenimenti l’hanno fatta passare – e che cosa sono circostanze e avvenimenti se non un modo col quale il Signore parla a chi vuol intenderlo? – siano stati disposti precisamente per condurla lì.
Poche anime hanno assaporato la «Santa Regola» com’era in grado di farlo lei, Caterina, e di assimilarla. Si sentì tutta presa in un’onda soavissima nella quale si fondevano e carità e umiltà e preghiera. E a lei parve che l’opus Dei, nel suo verace significato benedettino, trovasse, in terra, il suo segreto e, insieme, il suo meriggio, nella divina Eucaristia. Meriggio di riparazione amorosa, e perciò di generosa offerta sino all’annientamento, per diventar vittima con Gesù, vivo e vero nel tabernacolo santo.
Novizia benedettina da prima, professa dopo, la rinata Suor Mectilde del SS. Sacramento, sa ormai cosa voglia il Signore, cosa aspetti da lei.
«Chi mi darà ch’io sia talmente morta e crocifissa al mondo che ogni cosa ‘creata sia per me una vera croce?... Io sento che devo e voglio vivere in tale privazione di tutto ciò che può dar vita ai miei sensi e al mio spirito, che tutta la mia vita sia una vera morte»
Suor Mectilde ha lasciato in queste parole il suo luminoso biglietto da visita.
***
Ella sembrava ormai giunta, e in pace: hic requies mea! E invece la guerra divampa, e l’esodo si rinnova... In piccoli gruppi con Madre Mectilde le religiose di Rambervillers se ne vanno – come povere pellegrine – a Saint Mihiel. Il suo Crocifisso libera lei e le sue compagne da quattro lupi, pronti a sbranarle. A Saint Mihiel sì ripetono rischi e pericoli.
Un santo, Vincenzo de’ Paoli, le salva dalla miseria e dalla morte e le fa accogliere nell’abbazia di Montmartre. Ella è rapita d’ammirazione per il Signore e per le Benedettine. E non sa che il vero oggetto delle meraviglie è lei, cara piccola Suor Mectilde.
Varie abbadesse se la disputano, vogliono l’onore di ospitarla. La provvidenza le indica «l’Ospizio» di San Mauro dei Fossi, presso Parigi. Ella accetta, grata sempre di tutto al suo Signore e suo Dio.
E’ una fiamma. Chi l’avvicina s’accende. Lei sola non se ne accorge. Ma il Monastero è diventato una fornace di carità, e da ogni parte ecclesiastici e laici accorrono ad imparare l’amore di Dio, a edificarsi, a rinnovarsi.
Aveva trovato la sua guida eletta, il padre Giancrisostomo : e il Signore glielo toglie di lì a poco. Era un santo.
Anche questo servirà per lei a svuotare il cuore di se e delle creature. «Sentiva che Gesù povero, sofferente ed abbietto era l’amore del suo cuore...»
Perché ormai Gesù sacramentato era diventato il suo pane quotidiano e «soprasostanziale».
«Da che comunico quotidianamente sento il mio cuore assorbito sempre più dal mio Dio... Preferirei perdere il mondo intero, se lo possedessi, che una sola Comunione».
Da quel momento noi abbiamo per sempre «Madre Mectilde del Santissimo Sacramento».
***
Le dispute continuavano. Ecco, è eletta superiora a Caen. E’ il 1646. Arrivò povera, umile, dimessa, annientata. Le suore rimasero male: ma, dopo due anni, le aveva vinte e santificate tutte. Ma a Rambervillers la reclamavano; era il loro diritto. Finirà però, per obbedienza, col ritornare a San Mauro dei Fossi.
Scoppia la «Fronda»... e quando la Madre giunge alle porte di Parigi, stanca e lacera come una mendica, sa che il Monastero è distrutto... Si rifugia in un bugigattolo a San Germano, con le povere religiose, prive letteralmente di tutto. Un caldano per tutte, a turno, per tentare a momenti di vincere il freddo, per non morire intirizzite. Riposavano sedendo sul pavimento, col capo appoggiato al muro. Un po’ d’acqua e, raramente, poco pane.
Madre Mectilde, pur forte di spirito come nessuno, non resistette e ammalò, sino a chiedere gli ultimi sacramenti. Ed era raggiante di gioia.
Il Vescovo che le amministrò i conforti religiosi, intuì questo dramma di amor di Dio. Fece soccorrere la Comunità.
Madre Mectilde aspettava la volontà di Dio: null’altro. E la volontà di Dio attraverso la contessa di Châteauvieux, che aveva trovato in lei «la madre ideale», la convinse a fondare a Parigi «il suo Istituto».
In casa della marchesa di Boves, amica della contessa di Châteauvieux, Mectilde s’era incontrata per caso in uno strano quadro... Un idolo, e, dinanzi, sacerdoti e sacerdotesse, con le faci accese; lì presso, l’altare del fuoco sacro, alimentato da alcune giovanette a guisa di vestali... e, in disparte, sgherri che tormentavano alcune di quelle vergini, perché negligenti nel loro sacro dovere.
Fu un’estasi o una rivelazione? Ella sente che a somiglianza, ma in modo diverso, doveva far onorare il Santissimo Sacramento, istituendo una congregazione di religiose, totalmente consacrate al culto e alla gloria di Gesù Eucaristia, decise a perdersi tutte nell’amore dell’Ostia santa, col cantar le sue lodi, stando continuamente alla sua divina presenza, senza mai, né di giorno né di notte, interrompere l’adorazione.
Fu tutto. Ma di lì a poco l’Istituto nasceva, per visibile intervento di Provvidenza, mentre Madre Mectilde non voleva che perdersi nel suo nulla. Quanto a lei «certa insieme ed incerta, contenta ed umiliata, lasciava che l’opera di Dio si compisse, attenta solo a mantenersi su tal proposito così profondamente morta quanto si poteva esprimere».
***
Ma chi dirà le luci e le ombre che circondarono questo avvenimento? Mentre il Cielo si avvicinava alla terra, la terra sembrava volesse andare lontana dal Cielo.
La Regina Anna aveva aperto la via, il Priore di San Germano – in buonissima fede –faceva di tutto per chiuderla. Madre Mectilde fu degna della fiducia di Dio. Fu umile e ferma.
E san Giuseppe le venne in soccorso il 19 di marzo : «Io sono stato scelto da Dio per essere il dispensatore delle grazie «singolari, che Egli intende versare sull’Istituto».
Cinque giorni dopo ogni difficoltà era appianata, e il 25 marzo del 1653, nel giorno dell’Annunziata – oh, nuovo celeste annunzio! – si celebrò la Messa dinanzi al Santissimo esposto... La Santa Chiesa accoglieva tra i fiori dei suoi giardini «l’Istituto delle Benedettine del Santissimo Sacramento».
Nel frattempo, la SS. Vergine si degnava apparire a Madre Mectilde. Era vestita dell’abito dell’Ordine con le insegne di Abbadessa, e presentava al suo Gesù, presente sull’altare, il novello Istituto, nelle persone delle povere religiose, supplicandolo di benedirle perché il loro numero si moltiplicasse.
Il 12 marzo 1654 il Monastero parigino, per volontà della Regina Anna d’Austria, dopo l’approvazione di dom Roussel, abate di S. Germano, iniziò la sua vita.... La clausura è fissata, la croce l’ha, per così dire, sigillata. Terminata la Messa, la Regina si avanza in mezzo al coro, regge in mano una torcia accesa, le pende dal collo una corda, simbolo di penitenza. Anna d’Austria in ginocchio, ad alta voce, recita l’ammenda onorevole a Gesù Sacramentato.
Invisibili sono scesi di certo dal Cielo angeli ed angeli: stanno intorno a Gesù, stanno intorno a Madre Mectilde. E guardano.
Il volto di lei è acceso, gli occhi le sfavillano... Ella non sa più se è in terra o in Paradiso.
* * *
Lo spirito di Madre Mectilde? C’è un libro d’oro, conosciuto e apprezzato da tutti, dal titolo: «L’imitazione di Cristo». Madre Mectilde ha scritto anche lei, per le sue figliuole, un libro simile; è stampato col titolo: «Il vero spirito delle Figlie del SS. Sacramento», ma si potrebbe ugualmente bene intitolarlo : «L’imitazione di Gesù Sacramentato».
Ecco un capitoletto di quel libro, scritto più con la santità dell’esempio che con le parole:
«Che fa Gesù nell’Eucaristia? Vive una vita di perpetua adorazione, incessantemente contempla la infinita perfezione di Dio, incessantemente esalta la sua Maestà, coi prodigiosi abbassamenti della sua Persona; espia i nostri peccati, offrendogli ogni giorno il suo Corpo, il suo Sangue, la sua anima e la sua Divinità. Sta nella Santissima Eucaristia adorando, amando ed esaltando Dio, suo Padre, ma diciamo anche che ci sta sofferente, disprezzato, dimenticato dalla maggior parte degli uomini; che vi è profanato e troppo spesso in balia di nemici che lo trattano in questo Mistero in un modo che non si oserebbe esprimere. Tuttavia non un lamento, non una parola. Perché? Perché vi sta in qualità di vittima. Gesù Cristo vi è morto misticamente. E’ morente tutti i giorni, per la continuazione del suo divin Sacrificio».
Ecco, l’albero della Croce, per mezzo dell’Eucaristia, sta dando una nuova mirabile fronda, coi fiori splendidi e meravigliosi frutti. Fiori, frutti di passione e morte. Adoratrice, riparatrice, vittima; la Benedettina del SS. Sacramento si presenta, così, con la corda al collo, legata alla colonna – come alla croce – annientata d’amore dinanzi allo Sposo celeste.
L’Opus Dei, si è sublimato dinanzi a Gesù Sacramentato. Amore e dolore si sono divinamente intrecciati in una piccola anima di vergine, perché Dio solo può fare che per puro amore un’anima si voti al dolore, alla croce, alla morte.
«Lodato e adorato sia in eterno il Santissimo Sacramento!»
La vita di un’umile Benedettina scandisce nel profondo, ad ogni palpito di cuore, il saluto e l’impegno: e il cuore ne trema e gli angeli adorano, gelosi... Vicino alla follia della Croce, c’è la follia dell’Ostia consacrata. Due visioni? Una e sola visione: il Cristo della Croce è il Cristo dell’altare. Avere avvicinato in modo così intimo i due misteri, fin quasi a respirarli, è gloria e dono di Madre Mectilde del Santissimo Sacramento.
Si direbbe che la Regola Benedettina aspettava il suo ultimo capitolo. Madre Mectilde l’ha scritto col dolore del cuore. E le sue figliuole lo ripetono. E Dio è glorificato e la Chiesa santa ne gode.
***
L’umanità è stata ed è prevaricatrice.
Il sacrificio della Croce e il dono dell’Eucaristia per sé dovevano e dovrebbero far santi gli uomini. Non è così, purtroppo. La libertà, che è dono soave e tremendo, può fare che l’uomo dia o neghi la sua volontà al Signore, sì che ne venga la lode o ne venga il disprezzo.
Il peccato, se si considera nella sua véra essenza, è sempre un sacrilegio, cioè una profanazione dell’amore e del dolore di Dio.
La riparazione è dovere sociale. Ma la società non lo compie, e, aggrava, si può dire, di giorno in giorno, dinanzi a Dio con le sue continue prevaricazioni, la sua situazione fallimentare.
Madre Mectilde ha sentito, come per impulso dall’alto, questa verità, in maniera sensibilmente dolorosa. Ha rivissuto l’ora di Francesco alla Porziuncola: Amor non amatur, l’Amore non è amato. Ma l’ha rivissuta con Gesù Sacramentato, cuore a cuore con Lui.
E Lui l’ha segnata per l’offerta, per la donazione, per la riparazione. Mettersi al posto dei prevaricatori: dare per loro, in loro vece, per salvarli ancora, per ricondurli; morire ma salvare! Con Lui, per Lui, in Lui.
La Messa? Per l’appunto. La Messa, per divina istituzione, ha unito Croce e Altare, Sacrificio e Sacramento, Calice e Ostia. Nel secolo XVII Madre Mectilde ha veduto prima di tutti, meglio di tutti. Nel secolo XIX sarà, in tal senso, l’incendio. Ma la scintilla – e quale potente scintilla – l’ha rubata lei al Cuore di Gesù.
Santa Margherita Maria Alacoque entrava a Paray-le-Monial il 25 agosto 1671 e la grande rivelazione è del 27 dicembre 1673: l’Eucaristia mostrava al mondo il Sacro Cuore di Gesù. Le maraviglie s’intrecciano con le maraviglie.
Madre Mectilde ha raccolto intorno all’altare, alla presenza della divina Ostia, uno stuolo di riparatrici di eccezione. E le ha sparse per il mondo. E così impedisce al mondo di morire, e apre la via alle amorosamente ostinate misericordie del Cuore di Cristo.
***
Io amo pensare che la Madonna non sia lontana da tutti i Tabernacoli dell’universo. Come faccia, non saprei. Ma che, per virtù di Dio, lo possa fare, lo credo. E allora come la Madre Mectilde non ne avrà raccolta – col suo spirito soprannaturale sempre vigile – la deliziosa presenza?
I monasteri, la Madre, ha voluto fossero sotto la sua cura; e, per questo, ella si sentiva sollevata dal peso, ma non dispensata.
Volle filialmente trasferito a Maria il titolo e l’autorità di Badessa: per lei fu anche troppo quello di Priora – sorella maggiore, pur essendo Madre – eleggibile di tre in tre anni. Intendeva onorare Maria – Presidente nata di tutte le comunità, le associazioni, le organizzazioni cristiane, per quella sua preminenza di natura e di grazia su tutte le creature – intendeva valersi del suo impareggiabile patrocinio, della sua incommensurabile potenza, soprattutto desiderava che tutto fosse, a così dire, intriso del suo ineffabile amore materno.
Dinanzi a Lei chi non si sente figliuola, chi non si sente addirittura bambina ? Ingenuità dei Santi, sapienza quasi divina.
Ecco l’atto col quale ella riconosceva la Vergine Santa Abbadessa e Superiora in perpetuo del suo monastero :
«Nel nome della Santissima Trinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, noi, Suor Caterina Mectilde del Santissimo Sacramento, umile Priora di questo Monastero, confessiamo e dichiariamo in nome della Comunità presente e avvenire che la purissima e immacolata Vergine Madre di Dio è eletta, scelta, nominata e riconosciuta come degnissima ed eminentissima Madre Badessa e Superiora Perpetua dell’Istituto, fondato per la gloria del Santissimo Sacramento dell’Altare, senza che questa elezione fatta oggi, 22 agosto 1654, si possa mai revocare od alterare per qualsiasi causa o ragione».
Per giungere a questo ci vogliono, alla luce dello Spirito, tre cose: un grande candore, uno sconfinato amore ed una dolcissima semplicità.
***
Per me la vita di Madre Mectilde, nel suo profondo significato, si può chiudere qui.
Le persecuzioni e le prove che l’accompagneranno sino al 1698, anno del suo piissimo transito, sono l’accettazione da parte di Dio di un’offerta sempre festosamente rinnovata, mai, neppure un istante, ritrattata. La chiamerei la firma del Cielo all’opera di Madre Mectilde. Ed ella esclamava con gioia: «Oh, Signore, vedremo chi di noi si stancherà più presto; Voi a mandarmi croci o io a sopportarle». Sfida di amore?
E così dal primo bel Monastero della Rue Cassette, ne vennero altri, fino a sette: due a Parigi, uno a Toul, uno a Rouen, uno a Varsavia, uno a Châtillon e l’ultimo a Dreux.
I sette Monasteri sono legati a una cara visione di Caterina Mectilde fanciulla... Le era sembrato allora che le fossero stati donati sette ostensori... in ciascuno dei quali era l’Ostia consacrata. Ed ella, allo splendore di questi «soli», andava gridando estasiata: «Venite, venite a vedere il Santissimo Sacramento che io posseggo...»
Sette ostensori, sette soli, sette monasteri: questo il Signore voleva da lei... E poi ?
Le apparve la Madonna e le disse: «Se vuoi, puoi venire...».
E Madre Mectilde si contentò di rispondere, con aria quasi infantilmente birichina: «Verrò, quando Dio vorrà».
Ripenserà dopo a questa sua ardita risposta e malinconicamente osserverà; «Forse ho perduto una buona occasione...».
Ma ormai, per lei, il sole volgeva al tramonto. Lo sapeva, ed aspettava il cenno. Era fissa nell’altro Sole, che vedeva continuamente brillare nell’Ostensorio d’oro: Gesù, il Sole che non tramonta mai.
Anche la sua morte doveva amorosamente rientrare nella eroica avventura della sua vita: «Risarcire, riparare la gloria dell’amorosissimo Gesù, oltraggiato nell’ineffabile mistero d’amore».
Il suo primo ed ultimo respiro di Benedettina del Santissimo Sacramento... Il suo generoso acceso programma. Il programma di tutte le sue figlie, da tre secoli. E da tre secoli – a guisa di limpidissimo fiume regale – quell’amore riparatore è passato tra gli argini di una umanità peccatrice, sotto gli occhi benedicenti di Maria, di Lei che potremmo chiamare, in qualche maniera, Madre dell’Eucaristia.
E’ significativo che Madre Mectilde spirasse, placida e serena, quel 6 aprile 1698, dopo aver lasciato al confessore per le sue figlie, quasi testamento mariano queste ardite parole: «Dite loro che si gettino a corpo perduto tra le braccia della Santissima Vergine».
E’ chiaro : «la grande Madre Mectilde» ha sempre trovato Gesù – anche Gesù Eucaristia – nelle braccia della Madonna.
Per questo ci s’era sempre gettata lei a corpo perduto.
Novara, 3 gennaio 1953