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Deus absconditus,  anno 94, n. 2, Aprile-Giugno 2003, pp. 39-41

 

Sr. M. Cecilia La Mela osb ap Monaca del Monastero «S. Benedetto» di Catania.

Madre Mectilde de Bar filosofa e psicologa

 

La ricchezza umana e spirituale di Madre Mectilde de Bar è supportata da una valida formazione culturale insieme ad un’innata predisposizione alla riflessione e all’introspezione psicologica. Dai numerosi scritti della Fondatrice emergono chiari rimandi a conoscenze in ambito religioso e culturale non in possesso alle comuni donne del ‘600 in quanto l’istruzione era un privilegio per gli uomini e i ricchi.

Sappiamo poco dell’infanzia e della famiglia di Madre Mectilde: secondo i primi biografi Mectilde, dotata di grande intelligenza e creatività, ha studiato con profitto abbandonando successivamente gli studi perché, secondo lei, la allontanavano da Dio. Questo ci fa supporre che ella provenisse da una famiglia agiata e che, se non è sicuro che abbia frequentato delle scuole, è probabile che abbia avuto dei precettori. Illuminante, in tale direzione, è lo studio di Genovefa Guerville a proposito della dimestichezza di Madre Mectilde con la Sacra Scrittura in tempi, quelli della Controriforma e del Concilio di Trento, in cui la formazione biblica era riservata solo a pochi. La Madre stessa, prima di farsi religiosa, prestava servizio di catechista alle giovani della parrocchia.

Potremmo definirla una pioniera! E non solo nel campo della produzione letteraria, ma anche nell’oratoria e nell’esegetica: non ci sono dubbi che, oltre ad essere feconda nello scritto, era capace di impostare i suoi discorsi e le sue conferenze in modo qualificato e accattivante. Tante sono le testimonianze al riguardo.

La Fondatrice, da perfetta benedettina, era impregnata della cultura monastica che privilegia, insieme alla liturgia e alla Lectio Divina, l’applicazione umanistica allo studio e alla salvaguardia del patrimonio culturale. Ne La Giornata Religiosa (p. 85), ella menziona espressamente Pitagora, Platone ed Aristotele mettendo a confronto la sapienza umana con quella divina.

A proposito della familiarità della Madre con la filosofia, particolarmente significativa è una certa speculazione, potremmo dire filosofica, sulla teoria dei due nulla: il primo è inteso in senso ontologico come non essere, negazione, come morte a causa del peccato; l’altro è il nulla inteso in senso positivo ed è la profonda conoscenza di se stessi e l’annientamento. Sono tematiche che risentono dell’influsso di San Giovanni della Croce nell’impostazione spirituale di Mectilde de Bar, ma è anche vero che la Madre ha una originalità tutta sua che si evince dallo stile appassionato e ricco di una grande capacità di sintesi intellettuale.

«Il primo nulla riguarda l’essere morale, ma il nulla del peccato riguarda l’essere di grazia e lo distrugge. Il primo ci tiene nella visione del non-essere: esso è semplice ed è un verità che in un certo senso non ci confonde; ma il niente del peccato ci umilia e ci può confondere eternamente.

Quando la creatura esce dal suo nulla per commettere il peccato, cade in un doppio nulla, che la rende infinitamente più incapace del bene che non il semplice nulla, il quale non resiste a Dio; ed è grande umiliazione per l’anima vedersi capace per sua malizia di un disordine così grande» [1].

Al di là dello stile colloquiale e non privo di una certa enfasi tipica dell’età barocca, non ci sembra azzardato sostenere, valutando anche l’uso appropriato dei termini, l’idea che nel bagaglio culturale della Madre ci fosse anche un buona dose di preparazione filosofica e sicuramente la conoscenza del pensiero greco, anche se mediato dagli umanisti. Quello che colpisce, in tutti gli scritti mectildiani, è il sapiente dosaggio dei contenuti e la capacità di allargare il discorso spirituale anche in una apertura culturale abbastanza vivace e pertinente.

Se si leggono con attenzione gli scritti di Madre Mectilde de Bar, soprattutto quelli epistolari, è possibile rintracciare la spiccata capacità di autoanalisi della Madre nei confronti di se stessa e di obiettiva conoscenza del mondo interiore ed emozionale delle anime da lei sapientemente dirette. La psicologia è antica quanto il mondo. Tutte le anime sante, senza essere medici o studiosi, hanno esplorato il mondo interiore e conosciuto l’animo umano come solo Gesù Cristo ha saputo fare prima di loro. Come esempio per tutti, per noi, vale la saggezza del Santo Padre Benedetto, legislatore equilibrato e accorto, proteso in una attenzione antropologica di squisita spiritualità evangelica e di grande intuito umano.

E’ soprattutto a proposito dell’analisi sul peccato che la Fondatrice mette in moto la sua sensibilità femminile per scandagliare l’interiorità alla ricerca di quella umiltà di se stessi che è verità. Ecco perché un invito che ricorre spesso negli scritti della Madre è quello di non ripiegarsi sulle proprie colpe, piangerle sì, ma per andare avanti e non restare fermi a inutili e spesso nocive commiserazioni, bensì umiliarsi davanti alla Maestà divina e lasciarsi perdonare trovando in Dio, e non in se stessi, la forza per risollevarsi e progredire.

La psicologia moderna punta molto su questi stessi concetti, vedendo la nevrosi come frutto di ripiegamento eccessivo su se stessi nell’ansiosa, e spesso frustrante, ricerca di essere diversi da quello che si è. Prendendo a prestito la terminologia della psicologia si potrebbe dire che viene messo in atto un processo di rimozione delle pulsioni inconsce per arrivare ad una più veritiera e stabile conoscenza di sé. Accettando serenamente la propria incapacità si attua quella sublimazione che trasforma il negativo in forza operativa e rappacificante.

Ci riallacciamo qui alla teoria dei due nulla dove il momento negativo, per dirla con Hegel, viene superato nel positivo. In quest’ottica l’annientamento, tanto caro a Mectilde de Bar, non è sterilizzazione della personalità, dell’io, ma è la capacità di operare un ritorno, inteso come purificazione della memoria nel senso voluto da Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del 2000, che ci spinge ad andare avanti. Andare avanti comporta che non pensiamo troppo alle nostre stanchezze e ai nostri timori, ma ci sforziamo di riguardare, come in un filmato, la nostra vita passata cercando di trovare le cause dei disagi attuali che abbiamo con noi stessi e nelle relazioni con gli altri. E’ stare davanti a Dio, ricchi della nostra nudità, e chiedere che sia Lui a riempire ogni vuoto e dubbio, che ci purifichi e ci aiuti a mettere a servizio della vita anche le nostre negatività redente. Basta soltanto dirgli: «Adoro e mi sottometto».

Un’altra affermazione psicologica va rintracciata nel risvolto sul benessere fisico della calma interiore tanto auspicata dalla Fondatrice. La Madre è spesso descritta, da quelli che l’hanno conosciuta, con grandi capacità di sdrammatizzazione grazie anche a battute simpatiche e piene di umorismo. Il celebre psichiatra americano, William Fry, afferma che nelle persone che tendono a sdrammatizzare le situazioni con una battuta di spirito è evidente un ritorno veloce alla serenità.

Anche l’antropologo Bokun Bronko afferma che uno spirito che tende alla giovialità riduce l’insorgere di stati depressivi ed anche certe malattie fisiche.

Il consiglio di Mectilde de Bar è quello di non prendersi troppo sul serio, sviluppando un atteggiamento di generosità ed altruismo, antidoti potenti contro lo stress, la tristezza e le preoccupazioni, che spesso sono all’origine di patologie anche gravi. Questo lo afferma una donna particolarmente rigida ed esigente con se stessa, uno spirito critico e volitivo, ma soprattutto una religiosa profondamente onesta, capace di indagare la miseria umana con occhi benevoli, protesa a rappacificare l’originaria bontà dell’animo umano con le devastazioni operate dal peccato. La Madre è filosofa e psicologa senza avere frequentato università o aver operato sperimentazioni, senza aver scritto trattati scientifici, ma soltanto con il buon senso e una visione acuta della realtà, senza timori o esitazioni, come solo la fede può suggerire.

 



[1] Catherine Mectilde de Bar, Il sapore di Dio, ed. Jaca Book, Milano 1977, p.147.