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Deus absconditus, anno 95, n. 2, Aprile-Giugno 2004, pp. 39-42
Sr. M. Cecilia La Mela osb ap*
Madre Mectilde de Bar: prima di tutto una donna!
Su Madre Mectilde de Bar si è sempre detto tanto, se n’è apprezzata la spiritualità, il carisma, le straordinarie doti intellettive e gli innumerevoli doni mistici: veramente la sua vita può considerarsi un capolavoro dell’amore creativo di Dio. Ma Mectilde de Bar, prima di tutto, è una donna. Il suo essere donna è parte integrante del suo essere santa: è santa proprio perché donna, pienamente umana, coerentemente fedele alla sua identità, decisamente orientata a lasciarsi lavorare dalla grazia per il potenziamento del proprio essere. La vocazione alla vita monastica trova, nel sereno equilibrio fisico e psicologico raggiunto dalla nostra Fondatrice, la porta di accesso ad una femminilità vissuta come ricchezza e offerta come dono per la gloria di Dio e la condivisione fraterna delle sofferenze del mondo. Proprio perché donna, ella ha saputo far sua la tenerezza infinita del Creatore dilatando il proprio cuore in una maternità spirituale che si fa quotidiana attenzione ai bisogni dell’altro, discreto ma fattivo intervento perché, come vuole San Benedetto, nella casa di Dio nessuno sia rattristato. La casa non è soltanto un edificio, ma è calore, è famiglia, è comunità, è essere e sentirsi uno coinvolto nell’altro. Solo così il monastero diventa segno visibile della carità evangelica, concretizzazione del sacramento di comunione a cui l’Eucaristia ci chiama, dimora aperta alle gioie e ai dolori di tutti.
Ma chi è la donna Mectilde de Bar? È una donna comune ma eccezionale allo stesso tempo, è una personalità decisa, non influenzata da rispetti umani o condizionamenti ideologici. È una donna che si possiede, nel senso che conosce la sua fragilità e la sua forza, non si lascia scoraggiare dalla prima e non si esalta per la seconda: è una donna equilibrata, mentalmente sana perché veritiera con se stessa e con gli altri. È lucida nella sua analisi nei confronti di chi le sta vicino, senza cadere, tuttavia, nella tentazione del giudizio, del disprezzo o dell’indifferenza. Da Gesù Cristo, che è il suo modello, ha imparato che l’esteriore è vanità, è inganno: solo nel cuore dimora l’autenticità dell’uomo e soltanto Dio sa guardarvi dentro con gli occhi benevoli del Padre che copre ogni nudità e redime ogni perdizione. È accorta nel dare insegnamenti e consigli, perché sa partire sempre dalla sua esperienza, ma senza farla pesare, e sa indicare vie sicure proprio perché da lei percorse.
Basta leggere il nutrito epistolario per rendersi conto della ricchezza di sentimenti di cui la Madre era capace. Non è un temperamento freddo, tutt’altro: è passionale senza mai eccedere, è «tutta di un pezzo» , esigente con se stessa e con gli altri, ma capace di trasmettere continuamente serenità, fiducia, coraggio con il suo esempio e con la sua parola penetrante, spesso tagliente, ma sempre amorevole, pronunciata tenendo lo sguardo fisso su Dio e sul bene delle persone a lei affidate. Sa anche scherzare al momento giusto, abile nel concludere un capitolo di fuoco con una battuta umoristica, ma soprattutto capace di non scandalizzarsi per la fragilità che ci accomuna, di aspettare i ritmi lenti della crescita di alcune sorelle, di arginare il fervore passeggero di altre.
Ella è ben consapevole che non si può costruire una duratura vita interiore senza aver prima liberato, affinato e sublimato il sostrato umano, senza aver corretto le tendenze del carattere, senza aver favorito la serena convivenza con i difetti e le limitazioni, pur combattuti, che umiliano tanto il nostro desiderio di perfezione. Il modello di donna che Madre Mectilde propone alle sue figlie è la donna riconciliata con Dio, con se stessa e con gli altri, la donna che accetta la propria fisicità in tutti i suoi aspetti e che sa rinunciare ad alcuni di essi perché motivata da un ideale più grande. È una donna sempre contenta di essere quella che è e non un’altra, che non inventa scuse per le sue debolezze e non fantastica su potenziali realizzazioni che poteva raggiungere se avesse avuto più capacità, più talenti.
È una donna che non si dimentica mai di essere tale. Solo così non ci si ammala di frustrazioni, ripiegamenti su se stesse, insoddisfazioni, invidie, inquietudini…
Non si può essere monache senza essere prima donne ricche di una femminilità che, anche se limitata nella natura, è aperta all’infinito amore di Dio. E tutto questo Mectilde de Bar lo ha imparato dalla Vergine Maria: guardando a Lei, vera Madre, Sposa e Amica, ha capito che una donna è strutturalmente portata al dono di sé, al prendersi cura degli altri dimenticando le proprie stanchezze, il proprio tempo, ad essere creativa nel trovare accorgimenti, rimedi, sollecitazioni per il benessere globale della persona.
Alle destinatarie delle sue lettere non chiede mai sforzi eroici, salti ascetici al di sopra delle proprie forze: invita sempre a conoscere profondamente il fondo di se stessi, a misurare le proprie possibilità prima di intraprendere qualunque cosa, ad essere generose fino all’eroicità, ma senza strafare, senza presumere chissà quali azioni straordinarie; basta vivere bene l’ordinario per piacere a Dio. Anche per il corpo, sebbene la sua visione sia legata al rigorismo ascetico del tempo, ella ha attenzioni che vedono in esso uno strumento di peccato, ma destinato a rendere lode e gloria incessanti al Signore. E così per le inferme ha suggerimenti da vera madre: sa compatirle e incoraggiarle e sa insegnare loro ad essere dolci con se stesse, ad accettare la sofferenza e le normali limitazioni che porta con sé, come dono e come via privilegiata per imitare Gesù sulla croce. Anche per le giovani ha la giusta parola in proposito. Le invita ad essere ben ponderate nelle proprie scelte, ma decise e senza indugi nella risposta, a non promettere, spinte dall’entusiasmo del momento, cose che poi non potranno mantenere, a non fare il passo più lungo della propria gamba perchè prese da troppa considerazione di se stesse.
E per le anime più peccatrici, più ostinate? È inflessibile, non ha paura di dire la verità anche se spietata, ma sa accordare così bene rimproveri e consolazioni che anche il castigo diventa amabile perché si percepisce in esso il desiderio di correggere e riportare all’ovile i lontani, perché altrimenti i vicini non potrebbero far festa.
Dalle letture de La giornata religiosa traiamo un aspetto della femminilità di Madre Mectilde oltre a quello prettamente spirituale. Incontriamo la Fondatrice nella ferialità della vita monastica, nell’accortezza con cui dirige, ma soprattutto educa alla conduzione della vita concreta, fatta di tante piccole ma necessarie mansioni.
Nel testo troviamo un po’ di tutto: economia domestica, galateo, buon senso e finezza di gusti ove il tutto è finalizzato alla lode di Dio e al rispetto delle sorelle. Nei suggerimenti che dà, la Madre si rivela una perfetta «fimmina di casa», come si dice dalle nostre parti. È una donna che ama l’ordine, la pulizia, l’efficienza, non per delle fisime o per orgoglio, ma perché un’anima pienamente illuminata dallo Spirito cerca l’equilibrio in ogni cosa, si accorge di ogni cosa e fa di tutto perché la cura delle cose sia manifestazione dell’ordine, della pace, della gioia di cuori che amano perché per primi si sentono amati. Ecco che anche raccogliere le briciole dal tavolo, fare di tutto per il decoro della chiesa, prodigarsi perché l’ambiente sia sempre presentabile, diventano un modo per vivere quella gravitas monastica che, anche negli atteggiamenti esteriori, indica la continua presenza dell’anima a Dio attraverso una preghiera che è anche rispetto sacro per le cose che si hanno in comune, ad uso con gli altri. Non è ammessa la sciatteria, la superficialità, la rozzezza nel maneggiare gli oggetti, il mobilio, le vesti, ecc., proprio perché l’altro viene prima di me e all’altro deve essere dato il meglio del mio impegno e della mia attenzione.
La fedeltà alle piccole cose è l’esercizio ascetico più importante ed è maggiormente meritorio se fatto nel silenzio, nel nascondimento, senza la pretesa che al proprio lavoro venga dato ampio riconoscimento o soddisfazione, senza sottolinearne la quantità e la qualità, ma aspettando come ricompensa ad esso solo la gioia delle sorelle e quell’intimo riposo che viene dal costatare che il monastero è casa mia, non perché ne posso fare tutto quello che voglio, ma perché è casa nostra.
E così, anche se di Madre Mectilde abbiamo raffigurazioni che la ritraggono sempre in adorazione o con libri o lettere da scrivere tra le mani, a me piace anche immaginarla intenta a fare le pulizie, a rammendare la biancheria, ad appuntare una porta perché non sbatta, a dare consigli alle cuciniere e poi correre felice dal suo Dio e adorarlo con l’impeto della sua esuberante femminilità, infallibile nel suggerirle modi e parole per consolare, lodare e adorare lo Sposo, consapevole di averlo già incontrato e servito nel proprio lavoro e in tutte le sorelle