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Deus absconditus, anno 97, n. 2, Aprile-Giugno 2006, pp. 26-29
Sr. M. Cecilia La Mela osb ap*
Agape e oblazione: il puro amore in Mectilde de Bar
L’ultima Enciclica di Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia (Giovedì Santo 2003), è tuttora estremamente cara a tutte noi per la forte sintonia con la nostra spiritualità benedettino-eucaristica, tanto che l’abbiamo accolta come apice di una eredità santa e indiscutibile che l’amato Pontefice ci ha lasciata. Ed ecco che sentiamo pure particolarmente nostra la prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est (Natale 2005), sia per il legame tra amore ed Eucaristia che lo stesso Santo Padre mette in evidenza - è dal dono dell’Ultima cena, è dal cuore trafitto di Gesù Cristo che scaturisce l’amore di Dio - sia per il tema stesso dell’amore agapico, ampiamente presente negli scritti della nostra Madre Fondatrice.
Gli influssi del pensiero giovanneo nella formazione spirituale e negli scritti di madre Mectilde de Bar, sono non solo evidenti, così com’è per la teologia paolina, ma addirittura ripresi e integrati alla lettera. Nella corrispondenza con Marie de Châteauvieux, in una delle tante lettere della Madre, vi è riportata in modo esplicito l’espressione tratta dalla prima lettera di S. Giovanni nel suo elogio all’amore e che l’attuale Papa ha messo come incipit e contenuto della sua prima enciclica: «Dio è amore e chi sta nell’amore dimora in Dio» [1]. Ci troviamo all’interno del discorso di Mectilde de Bar sul puro amore, quell’amore che S. Agostino definiva amore ordinato. Il concetto è lo stesso.
Lo scopo per cui siamo creati è l’amore, afferma la Madre, e ad esso dobbiamo tendere in modo instancabile. Questa tendenza all’amore permette all’anima di essere perfettamente unita e trasformata in Gesù. L’amore puro è quello che chiamiamo virtù di religione; è l’amore unicamente orientato a Dio, è l’agape che nasce dalla sublimazione dell’eros. Perché ciò avvenga, continua madre Mectilde, occorre non essere ripiegati su se stessi: la carità è effusiva e diffusiva, mai circoscritta. S. Agostino, il cui pensiero era ben conosciuto dalla nostra Fondatrice, spiegava questa tendenza all’amore con l’esempio dei pesi dei corpi [2]. Ogni corpo spinto dal peso cerca il proprio luogo (l’acqua in basso, il fuoco in alto), così l’anima non ha quiete finché non trova il suo luogo, cioè l’amore.
Una lettura dei testi mectildiani riguardanti il puro amore ci permette di tracciare una possibile linea di un pensiero, abbastanza sistematico e organico, che l’autrice sviluppa su una scia teologica, ma soprattutto in base alla sua esperienza mistica. Ella stessa, nella lettera alla Contessa, confessa che «bisogna aver sperimentato gli effetti del puro amore per parlarne efficacemente».
Il termine amore, sia per S. Giovanni come per S. Agostino, traduce il significato proprio della carità: è quello che fa anche la Madre. Per l’Evangelista l’amore è realmente orientato a Dio se ha dei risvolti concreti di attenzione ai fratelli, se è capace di accogliere l’altro obbedendo al comandamento lasciatoci da Gesù. L’amore al prossimo rende visibile quello a Dio. S. Agostino afferma che «dove c’è carità, c’è pace, e dove c’è umiltà, c’è carità» [3]. La virtù, per il vescovo africano, non è altro che l’amore ordinato: se si ama con ordine si vive in modo ordinato. E la biografia del Santo è illuminante in questo senso.
Dunque, quale definizione dell’amore puro è presente in Mectilde de Bar? Ve ne sono tante ma convergenti nell’unica proposta di una vita veramente consacrata al Signore. L’amore puro è l’opposto dell’amore egoistico perché non accetta nessun compromesso con l’umano, inteso nel senso materiale, fatto di orgoglio, di esagerate preoccupazioni, di un amore “disordinato” di se stessi e delle creature. Chi ama Dio e i fratelli con retta intenzione non pensa ad alcuna ricompensa, al diventare più perfetti, ai meriti di ciò che si compie, se si guadagna più grazia o più pace nello spirito. Il puro amore agisce solo verso un interesse, quello di piacere in tutto a Dio e conformarsi al suo beneplacito. «Fa tutto per Dio. Rende tutto a Dio senza appropriarsi mai di cosa alcuna. La sua tendenza è di far regnare Dio, di glorificarlo in tutto, senza inquietarsi di sé» [4]. È quanto possiamo rileggere anche nella lettera enciclica di Benedetto XVI al n° 6:
«Amore è “estasi”, ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel puro dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio».
Se mettiamo in sinossi la prima lettera di S. Giovanni con il quarto Vangelo, ci accorgiamo subito che i temi principali, oltre a quello dell’amore, sono quelli della luce e della vita. Chi accoglie Cristo sceglie di stare dalla parte della luce e la fede in Lui e l’obbedienza ai suoi comandamenti sono causa di vita eterna. Questo pensiero è sotteso negli scritti di Madre Mectilde che lega, piuttosto, il tema dell’amore con quello della croce perché l’amore puro non è mai senza sofferenza: entrambi si sostengono a vicenda. È la croce che purifica, che toglie le scorie e rende l’amore libero, luminoso, capace di dare un senso alla vita.
«Siamo creati per amare. Amiamo dunque Nostro Signore Gesù Cristo senza tregua. Amiamo sempre, non viviamo e respiriamo se non nella purezza dell’amore divino. Tutto quello che fate, fatelo con amore. La vostra tendenza sia l’amore, affinché, per amore, possiate essere perfettamente unita e trasformata in Gesù.
È il puro amore che deve fare questa trasformazione. Bisogna, dunque, che incominciate a vivere di puro amore, ossia, puramente per Dio, senza più ripiegamenti sui vostri interessi personali. Perdetevi, dimenticate voi stessa per riempirvi di Dio solo» [5].
S. Giovanni ci ricorda che l’amore di Dio per noi si è manifestato nel fatto di aver mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita. Ecco perché la Madre, associando in modo inscindibile l’amore alla croce, usa a volte l’espressione paradossale di “inferno del puro amore”, di quell’amore che è crudele e dolcissimo allo stesso tempo, che crocifigge l’eros per trasformarlo in agape. Ella ci esorta, dunque, ad amare Dio come Lui stesso lo desidera da noi e ce lo comanda. Bisogna vedere Dio in ogni cosa! Anche il Papa, nella sua enciclica Deus caritas est, si commuove nella contemplazione dell’amore di Dio portato alle sue estreme conseguenze in Cristo Gesù:
«Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo - amore questo nella sua forma più radicale» (n° 12).
S. Agostino afferma che noi abitiamo dove abbiamo il cuore, e il cuore inquieto trova riposo solo nell’amore di Dio. Per madre Mectilde l’oblazione di tutta se stessa si esprime in questa adesione piena del cuore che diventa adorazione del mistero eucaristico, segno “corporeo” dell’Amore di Dio, materializzazione, incarnazione dell’agape che lega in un circuito di comunione la Trinità e, dalla Trinità, si riversa sulla creatura fatta a sua immagine e somiglianza. L’amore che diventa oblazione apre alla vera carità verso il prossimo. Scrive ancora Benedetto XVI:
«Si rivela così possibile l’amore del prossimo enunciato da Gesù. Esso consiste appunto nel fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco e neanche conosco. Questo può realizzarsi solo a partire dall’intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento. Allora imparo a guardare quest’altra persona non più soltanto con i miei occhi e i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo» [6].
San Giovanni afferma:
«Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui, perché tutto quello che è del mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo» (1 Gv 2,15).
E ancora la Madre:
«Nulla sulla terra imbrigli la vostra anima e il vostro affetto, per paura di essere privata delle tante misericordie che Dio vuol farvi sperimentare. Siate sempre libera per poter ascoltare Dio nel vostro fondo interiore e per seguirlo. Il nostro tesoro è l’eternità: è qui che le vostre croci saranno consumate e rivestite di gloria» [7].
In questo senso la carità pura ed oblativa ci sollecita a ricercare sempre più le motivazioni intrinseche delle nostre scelte d’amore e a porle significativamente in atto per dar luce e respiro a questa nostra umanità assetata di bellezza e di immortalità.
[1] 1 Gv 4, 16 in: C. M. DE BAR, Il sapore di Dio. Scritti spirituali, ed. Jaca Book, Milano 1977, p. 175.
[2] Cfr: AGOSTINO DI IPPONA, Discorsi, 65/A,l.
[3] AGOSTINO Di IPPONA, Commento alla prima lettera di S. Giovanni, Prologo.
[4] C.M. DE BAR, Il sapore di Dio, cit., p. 176.
[5] Ibidem, p. 179.
[6] BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Deus caritas est, 25.12.2005, n. 18.
[7] C. M. DE BAR, Il sapore di Dio, cit., p. 176.