Home Temi Carisma mectildiano Autori
Deus absconditus, anno 94, n.
2, Aprile-Giugno 2003, pp. 26-33
Madre Anna-Maria Cànopi, osb *
Come vivere oggi il carisma
della Benedettina del SS. Sacramento
Rivolgo a voi tutte, sorelle carissime nel Signore, un grande saluto di pace e un vivo ringraziamento per la gioia di questo fraterno incontro.
Non vi dirò certamente cose nuove, ma spero che non sia tempo sciupato il ricordare insieme con voi cose antiche e perennemente valide, per aiutarci vicendevolmente a rendere un sempre più fedele servizio al Signore.
Il titolo della riflessione che mi è stata proposta suppone anzitutto una chiara conoscenza di quello che è il vostro specifico carisma. Non presumendo di conoscerlo a fondo, ho cercato di documentarmi un poco attraverso gli scritti della vostra venerata Madre fondatrice Catherine Mectilde de Bar. Per le carenze che mi rimangono, mi ritengo da voi già perdonata.
«Come vivere oggi il carisma della Benedettina del SS. Sacramento». La definizione monaca benedettina fa immediato riferimento alla Regola di san Benedetto: e qui siamo in stretta parentela! La specificazione dell’adorazione perpetua, o del SS. Sacramento, rimanda invece al mistero eucaristico e alle costituzioni della Madre De Bar, che ricevette da Dio l’ispirazione di caratterizzare ulteriormente il carisma monastico benedettino con il culto dell’Eucaristia e con la riparazione, secondo la sensibilità dell’epoca e dell’ambiente in cui viveva. Anzi, secondo l’intuizione della Madre, il vostro Istituto affonda le radici proprio nel cuore di san Benedetto. Egli, infatti, in certo modo lo concepisce nell’ora della sua morte, quando, dopo aver assunto il Corpo del Signore, spira in piedi, le braccia elevate in forma di croce, nell’atteggiamento del Cristo orante e offerente.
Si può quindi affermare che la Benedettina del SS. Sacramento è una donna essenzialmente eucaristica e riparatrice, vale a dire: un inno di grazie a Dio cantato con l’offerta di sé – come in olocausto – per la salvezza dei fratelli, a gloria di Dio. È evidente che questo è estremamente impegnativo, perché impone un continuo morire con Cristo per vivere in Lui e con Lui, consumata nell’amore per generare la Chiesa.
Si tratta, quindi, di vivere Cristo, il suo mistero d’amore usque in fìnem, che giunge fino al sacrificio della croce, in obbedienza al Padre. «Propter nimiam caritatem suam qua dilexit nos Deus...» [1]. L’eccessivo amore del Padre si è manifestato nel dono del Figlio, e lo smisurato amore del Figlio si è manifestato nell’offerta di se stesso fino all’ultima goccia di sangue e nell’effusione dello Spirito Santo. In Dio tutto è eccedente proprio perché Dio è infinito ed eterno Amore.
A tale eccesso come potrebbe corrispondere la creatura umana se non ne ricevesse proprio da Dio la capacità mediante il dono dello Spirito Santo? «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» [2]. Questo, come dice l’Apostolo, fonda la nostra speranza di poter accedere alla grazia e alla gloria di Dio. È dunque secondo la misura dello Spirito riversato nei nostri cuori e da noi accolto e custodito che possiamo dare la nostra vita a Colui che ha dato se stesso per noi, ossia fare della nostra vita un olocausto, un’offerta interamente bruciata dal fuoco del divino Amore.
Fin dagli inizi della storia della salvezza il disegno di Dio si è rivelato mediante la chiamata di alcuni prelevati dalla moltitudine degli uomini in rappresentanza e in favore di tutti. A tale scopo Dio li ha dotati di particolari carismi e, soprattutto, di una più grande capacità di amare. Ma soltanto il Figlio Unigenito, fatto uomo, vissuto e morto in perfetta obbedienza, ha potuto dare l’adeguata risposta all’amore del Padre in nome di tutti gli uomini. A noi che cosa rimane dunque da fare? Di metterci a disposizione del disegno di Dio per venire associati al Figlio in quel plus oblativo che supplisce all’umana insufficienza. È un dono speciale di grazia che comporta una più grande responsabilità, non l’egoistico godimento di un privilegio, ma il dovere di non vivere più per se stessi, bensì totalmente consacrati al servizio di Dio per gli altri.
Gesù stesso dice: «A voi è stato dato di conoscere i misteri del regno dei cieli....» [3].
E la parabola dei talenti è chiara a questo proposito[4]. La vita di speciale consacrazione può dunque essere considerata – come del resto tutta la Chiesa rispetto all’intera umanità – un supplemento di fede, di carità, di adorazione per tutti.
I documenti del Magistero ecclesiale non hanno mai tralasciato di affermare e riconfermare il valore e il significato della vita consacrata, in special modo della vita contemplativa, quale pro-esistenza. «Scegliendo uno spazio circoscritto come luogo di vita, le claustrali partecipano all’annientamento di Cristo, mediante una povertà radicale che si esprime nella rinunzia non solo alle cose, ma anche allo “spazio”. Questo modo particolare di donare il “corpo” le immette più sensibilmente nel mistero eucaristico. Esse si offrono con Gesù per la salvezza del mondo. La loro offerta, oltre all’aspetto di sacrificio e di espiazione, acquista anche quello di rendimento di grazie al Padre, nella partecipazione all’azione di grazie del Figlio diletto[5]».
Se questo già vale per tutte le contemplative, il carisma della Benedettina del SS. Sacramento è – si può dire – in modo speciale al servizio di tutti i fedeli, di tutti gli uomini, poiché l’Eucaristia è il culmine dell’amore che si fa servizio alla vita. Gesù si è fatto, si fa continuamente pane. Ha scelto un elemento così semplice e umile, essenziale, per comunicarsi ai poveri. Lui, il Verbo di Dio, nascendo sulla terra ha avuto bisogno di succhiare il latte dal seno di una madre umana (l’allattamento materno è una realtà già tanto commovente!) e poi si è fatto Lui stesso cibo per tutti gli uomini rigenerati alla vita divina! Questo mistero non è soltanto commovente, ma persino sconvolgente anche perché Gesù ha dato proprio alla Madre Chiesa il potere di moltiplicare questo pane per tutti i milioni e miliardi di uomini che vengono al mondo lungo i secoli e i millenni.
Nell’Enciclica Ecclesia de Eucaristia che il Santo Padre ci ha donato in questa Pasqua, leggiamo:«Se l’Eucharistia è mistero di fede, che supera tanto il nostro intelletto da obbligarci al più puro abbandono alla parola di Dio, nessuno come Maria può esserci di sostegno e di guida in simile attegiamento...Con la premura materna testimoniata alla nozze di Cana, Maria sembra dirci: “Non abbiate tentennamenti, fidatevi della parola del mio Figlio. egli, che fu capace di cambiare l’acqua in vino, è ugualmente capace di fare del pane e del vino il suo corpo e il suo sangue, consegnando in questo mistero ai credenti la memoria viva della sua Pasqua,per farsi in tal modo pane di Vita”» [6].
L’Eucaristia è, infatti, la concretizzazione delle ultime parole di Gesù: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo[7]». A Nazareth, la prima, purissima farina per il pane di vita l’ha offerta Maria; dopo di Lei la Chiesa, ovunque presente, offre il suo fior di farina per ogni mensa eucaristica a cui invita i suoi figli.
Ancora nell’Enciclica sull’Eucaristia si dice: «Maria è donna “eucharistica” con l’intera sua vita. La Chiesa, guardando a Maria come a suo modello, è chiamata ad imitarla anche nel suo rapporto con questo mistero santissimo» [8].
È un mistero di grazia che coinvolge ogni cristiano e tanto più chi è chiamato ad una totale consacrazione a Dio proprio per il culto eucaristico. La monaca, nel giorno della Professione, pone se stessa sull’altare insieme all’offerta del pane e del vino. Con Gesù dovrà perciò essere consumata nella carità e, giorno dopo giorno, essere data per nutrire i fratelli.
In pratica, questo significa anzitutto vivere la comunione fraterna, frutto dell’Eucaristia, per alimentarla in tutti i membri del corpo mistico di Cristo.
Questa oblatività non è naturale. Sappiamo, infatti, che istintivamente si tende più al possesso che all’espropriazione, più a mangiare che a lasciarsi mangiare! Inoltre, la mentalità comune degli uomini del nostro tempo, specialmente dove il progresso ha portato al consumismo, si pone all’opposto del Vangelo e dell’atteggiamento di Gesù Cristo.
Per opporre un antidoto al veleno dell’individualismo esasperato che circola nelle vene della nostra società è necessario vivere più intensamente la comunione; per sanare il gran male della divisione che esiste nelle famiglie, nelle comunità, tra le nazioni..., è necessario opporre risolutamente la condivisione. Insomma, è necessario – come dice l’Apostolo – vivere Cristo, l’Uomo-Dio dato per tutti per fare di tutti uno. Egli ha smascherato tutti gli idoli che dividono e disintegrano l’umanità e ci ha insegnato a vivere il tu dell’amore che fa comunione con l’altro per diventare noi.
Oggi più che mai occorre che vi siano persone essenzialmente eucaristiche che facciano comunità palesemente eucaristiche. Gli uomini del nostro tempo sembrano sazi, ma in realtà sono affamati; affamati di vera vita, affamati di vero amore, di vera ricchezza, di vera felicità. Non bisogna esitare ad offrire loro il vero pane di vita, il vero calice della gioia mostrando anche la gratuità del dono. Sì, la gratuità! Il mistero dell’Eucaristia non è forse difficile da credere e da accettare proprio a motivo della sua inconcepibile gratuità? Chi mai potrebbe guadagnarsi questo pane? E se viviamo nella dimensione di questo mistero di gratuità, non è forse inevitabile che anche la nostra esistenza appaia incomprensibile alla maggior parte dei nostri fratelli? Eppure bisogna avere il coraggio di testimoniare così il Signore Gesù Cristo, l’unico Salvatore.
È una sfida che può costare davvero la vita: ma proprio in tal caso la vittoria della fede è sicura. A questo proposito, come non ricordare con un fremito di commozione l’immensa schiera dei martiri e, proprio qui a Varsavia, l’olocausto dell’intera comunità delle vostre consorelle? Vittime davvero della più grande carità, poiché quando rimasero uccise sotto i bombardamenti stavano condividendo il loro spazio vitale con un migliaio di feriti assistiti clandestinamente da alcuni medici e sacerdoti. Vera eucaristia in atto! Se non fossero state anime eucaristiche, quando la loro Priora le aveva radunate annunziando il pericolo di morte imminente, avrebbero cercato – come soltanto alcune fecero – di mettersi in salvo, poiché era loro ancora possibile.
Certamente la consuetudine a nulla preferire all’amore di Cristo – e conseguentemente all’amore dei fratelli – aveva preparato quelle monache, vostre consorelle, a dare anche fisicamente la loro propria vita per rimanere fedeli alla loro vocazione, come la intendeva Madre Mectilde De Bar.
«Un’anima che vive nella carità è piena di Dio, piena di zelo per la sua gloria e non può più fare o patire cosa alcuna se non per Lui solo...» [9], nell’umiltà e nella spogliazione, con un costante perdersi per ritrovarsi in Lui. È ancora Madre Mectilde ad esortarci in modo molto convincente: «Dobbiamo imparare questo segreto: avendo ricevuto Gesù nella santa comunione, dobbiamo nutrire l’anima nostra della sua grazia e delle sue virtù, che possediamo in Lui. Ecco: si presenta l’occasione di praticare l’umiltà, la pazienza, la dolcezza. Attingiamone la grazia e la forza in Gesù Cristo, consideriamo come Egli ha praticato quelle virtù e conformiamoci a questo modello» [10].
Di fatto, se viviamo intensamente la comunione eucaristica, noi diventiamo altari, tabernacoli ed ostensori. Sull’altare la nostra esistenza viene sacrificata e offerta istante per istante, insieme a Gesù; nel tabernacolo viene custodita con il sacramento della sua Presenza; nell’ostensorio viene proposta come segno della divina realtà che trascende la materia e il tempo.
L’Eucaristia per sua natura è dono per tutti; non può essere ricevuta e goduta in modo possessivo; come già detto, chi mangia di questo pane diventa pane per essere mangiato da molti.
E l’adorazione? Lo stare lì a guardare Gesù eucaristico, a lasciarsi compenetrare da Lui esponendosi alla luce e al calore dei suoi raggi divini, ci fa assumere interiormente i tratti del suo volto. Di più: l’adorazione è, in certo modo, un continuo nutrirsi con lo sguardo. Non si dice, forse, di qualcosa o di qualcuno molto amato e desiderato che lo si mangia con gli occhi?
Una certa preoccupazione di ecumenismo può far pensare che sia meglio evitare qualche forma di culto eucaristico per non urtare la sensibilità (o insensibilità!) dei non cattolici. Ma se la Chiesa cattolica pensasse di rinunziare al culto eucaristico, si ridurrebbe ad un tempio vuoto, ad una struttura senz’anima, ad una ben povera realtà. Non è mai sorpassato il tempo dell’adorazione al SS. Sacramento esposto, né quello delle solenni processioni, né quello – diciamo pure – delle effusioni affettive. Adorare significa accostare la bocca, baciare. In una società satura di sensualità, non è forse urgente anche la manifestazione di un amore casto per la più immacolata realtà, che è Gesù-Ostia? È bello adorare, baciare Gesù quasi per voler riparare tutte le profanazioni del corpo umano usato come strumento di egoistico piacere. Inoltre, quante mostre si fanno degli idoli fabbricati dalle mani dell’uomo!... Perché non mostrare a tutti Colui che è l’unico vero Signore del mondo e che si fa presente e si dona nell’umilissimo segno del pane?
Una comunità di adoratrici del SS. Sacramento è una testimonianza luminosa di quel gratuito, eccessivo amore che ci ha redenti e che ci vuole trasformare e trasfigurare fino alla pienezza della beata comunione con la SS. Trinità.
Ecco come ancora si esprime l’Esortazione apostolica Vita Consecrata: «L’adorazione assidua e prolungata di Cristo presente nell’Eucaristia consente in qualche modo di rivivere l’esperienza di Pietro nella Trasfigurazione: “È bello per noi stare qui” E nella celebrazione del mistero del Corpo e del Sangue del Signore si consolida ed incrementa l’unità e la carità di coloro che hanno consacrato a Dio l’esistenza» [11].
Questo avviene però nella misura in cui all’adorazione come atto di culto corrisponde la totale sottomissione della propria vita – e quella di ogni membro della comunità – alla volontà di Dio. Si tratta di amare Dio davvero come deve essere amato – senza mediocrità! – accettando con umiltà e fiducia i suoi disegni su di noi, sia manifesti sia segreti; quindi ricevere – come diceva Madre De Bar – tutto dalla sua santa mano, gradire le nostre perdite, le umiliazioni e le croci che si presentano nel nostro cammino fino ad arrivare alla totale perdita di noi stesse, per essere una sola cosa con Lui[12].
È evidente che se si vuole perseguire questo ideale di santità occorre impegnarsi costantemente – come propone san Benedetto nella Regola – nella conversione di vita[13], riconoscendo di dover sempre combattere contro il nostro vecchio uomo che ostinatamente cerca vie di scampo per non doversi arrendere alla grazia e morire.
La mentalità del mondo è molto suadente soprattutto riguardo al modo di far valere i diritti della nostra persona o, più precisamente, le esigenze della nostra “personalità”. Ne deriva una distorta concezione della libertà e della povertà. Nella società del nostro tempo – ma forse di ogni tempo! – pare che la malattia più diffusa e contagiosa sia la febbre da virus di protagonismo. Questo virus, almeno in forma latente, lo portiamo un po’ tutti addosso, ed è sempre pronto ad attivarsi ad ogni occasione favorevole. Forse non ce ne accorgiamo nemmeno, ma se ci mettiamo allo scoperto davanti all’Eucaristia può evidenziarsi la differenza tra la scelta di Gesù e le nostre scelte presuntuose. Nell’Eucaristia Gesù si nasconde persino nell’insignificanza del segno. Egli non poteva scegliere un modo più umile e più esposto alla mancanza di rispetto, all’indifferenza, alla profanazione, all’annientamento. Noi istintivamente rifuggiamo da tutto questo e cerchiamo l’autoaffermazione in tutto quello che facciamo. Ed è proprio questo che impedisce di dare il primato a Cristo e ai fratelli.
In quanto comunità consacrata all’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento, si è chiamate a fare tutto per l’onore e, in qualche misura, per la riparazione delle offese recate a Gesù Eucaristia. Guai se – seguendo un po’ l’andazzo comune – anche noi diventassimo trascurate o irriverenti nel rapporto con il Signore, con le persone e con le cose! Il Santo Padre Benedetto raccomanda di trattare tutto come i vasi sacri dell’altare; tanto più il Corpo stesso di Cristo! Anche la Santa Chiesa ne subirebbe un grave danno poiché sappiamo che essa ha nelle contemplative – donne della stirpe di Maria, primo e santissimo tabernacolo del Verbo Incarnato – l’icona più trasparente della sua bellezza, del suo volto escatologico, della sua grazia sponsale e materna.
Adorazione non è però soltanto lo stare davanti al Santissimo nel Tabernacolo o esposto ed effondersi in fervore di pietà, ma anche comportarsi con tutta umiltà, carità, spirito di mitezza e di servizio, oblatività, benevolenza e rispetto verso tutti e verso tutto, riconoscendo ovunque Lui presente. «È bello – diceva Madre Mectilde – vedere tutto in Dio e Dio in tutto» [14].
L’autenticità di una vita eucaristica si dimostra da una solida fede tradotta in carità, ossia dall’essere veramente per Dio e per i fratelli, dal vivere, in pratica, il Vangelo di cui san Benedetto fa la sintesi nel capitolo 72 della Regola.
Accogliere Gesù quale ospite permanente, essere la sua tenda, il suo tabernacolo, il suo ostensorio, sia come persone sia come comunità, richiede un’instancabile dedizione a tutto ciò che costruisce la comunione, che fa unità e conduce alla pace. In quale modo e con quali mezzi raggiungere tale scopo, deve essere continuamente cercato da ogni comunità, tenendo in considerazione la realtà storica e ambientale in cui essa è situata. Ciò che rimane costante e comune ad ogni situazione è, comunque, il valore della gratuità, poiché quale è l’Eucaristia, tale deve essere lo stile di vita dei consacrati, in modo speciale delle Benedettine del SS. Sacramento. Questa scelta oggi costituisce una sfida all’idolatria dell’utilitarismo e dell’efficientismo che contamina tutti i rapporti e le attività degli uomini del nostro tempo, non risparmiando talvolta nemmeno i ferventi cristiani.
Nulla è più gratuito dell’Eucaristia. Di conseguenza tale deve diventare chi vive di essa, sapendo che, per quanto la nostra risposta all’amore di Cristo possa essere generosa, rimane sempre niente più del gesto di un bimbo di pochi mesi che protende le braccia e abbozza il primo sorriso a chi gli ha dato la vita e si prende amorevole cura di lui.
Passare il tempo in adorazione davanti al Santissimo Sacramento è, secondo la mentalità del mondo, sprecare un capitale, non farlo fruttificare economicamente, impegnarlo in pura perdita. Ma allo sguardo di chi crede e sa di avere il proprio guadagno nel Regno eterno, il tempo dato all’adorazione è quello meglio utilizzato, poiché lo si fa passare nell’eternità, anticipando la vita del cielo che, come dice Antonio Rosmini, sarà: «Adorare, tacere, godere».
Nell’attesa di quel giorno eterno, la scelta di consacrarsi interamente all’adorazione «diviene così una risposta all’amore assoluto di Dio per la sua creatura e il compimento del suo eterno desiderio di accoglierla nel mistero di intimità con il Verbo, che si è fatto dono sponsale nell’Eucaristia e rimane nel tabernacolo il centro della piena comunione d’amore con Lui, raccogliendo l’intera vita della claustrale per offrirla continuamente al Padre» [15].
Davvero non arriveremo mai, qui sulla terra, a comprendere quale tesoro Dio ci abbia messo nelle mani. Lo conferma un altro bel testo di Madre Mectilde: «Nell’Eucaristia questo divino Amante dei nostri cuori si è rinchiuso unicamente per amore della sua creatura e lì resterà fino alla fine dei secoli. Non è cosa da farci inabissare? Un Dio viene, Lui stesso, nel più intimo del nostro cuore! E perché? Per renderci, per sua grazia, ciò che Egli è per natura. Può esservi qualcosa di più grande, di più amoroso, di più santo e di più divino? Un Dio si dà a noi tutto intero e così sovente nella santa comunione: tutto ciò che è e tutto ciò che ha, come se non fosse pienamente contento e felice in se stesso senza possedere i nostri cuori! Doniamoglieli, e nella nostra fedeltà a morire a noi stesse facciamone il padrone assoluto» [16].
La smania di autonomia che rende oggi così problematica l’obbedienza e così sorpassata la virtù dell’umiltà, porta molti all’esperienza di una misera schiavitù, mentre nulla è più liberante dell’amore che ci spinge a voler appartenere totalmente all’Altro, a desiderare di essere il suo trono, riconoscendo la sua signoria sulla nostra vita. Il fatto è che questo Altro nel concreto della vita quotidiana ci è presente negli altri. È ancora Madre Mectilde a dire che «un’anima umile è il trono di Dio» [17]. Ma è pur vero che per essere un degno trono, occorre avere uno spirito stabile, perché, «come una persona non potrebbe star seduta sopra una sedia che si muove, così Dio non può compiacersi in un’anima instabile che oggi vuole il bene e domani no, che ora è quieta e ora nel turbamento; occorre dunque essere stabili per essere trono di Dio. È proprio di chi è umile essere sereno, tranquillo, affabile, dolce, sempre uguale a se stesso; una persona umile guadagna i cuori di tutti»[18].
Il trono più nobile e più stabile di Gesù Eucaristia è senza dubbio la sua santissima e umilissima Madre, la quale ci è Maestra impareggiabile nel culto eucaristico. «Quando, nella Visitazione, porta in grembo il Verbo fatto carne, elle si fa, in qualche modo, “tabernacolo” – il primo tabernacolo della storia – dove il figlio di Dio, ancora invisibile agli occhi degli uomini, si concede all’adorazione di Elisabetta quasi “irradiando” la sua luce attraverso gli occhi e la voce di Maria» [19]. Il suo Magnificat sgorga da un cuore traboccante d’amore, di gratitudine e di gioia, pieno di Spirito Santo. E’ quanto afferma ancora il Santo Padre:«Se il Magnificat esprime la spiritualità di Maria, nulla più di questa spiritualità ci aiuta a vivere il Mistero eucaristico. L’Eucaristia ci è data perché la nostra vita, come quella di Maria, sia tutta un magnificat!» [20].
Come Lei, anche noi, conquistate e affascinate dall’umiltà di Dio che si è manifestata in Gesù Pane di vita, sentiamo urgente la chiamata a rendere presente e visibile nel mondo d’oggi, sconvolto dal male, la bellezza del suo volto d’amore, il suo dolce mistero di comunione e di pace.
* Abbadessa dell’Abbazia bendettina «Mater Ecclesiae» di Isola S. Giulio (NO). relazione tenuta al Seminario Metropolitano di Varsavia il 29.4.2003 in occasione dell’Assemblea Confederale delle Benedettine dell’adorazione perpetua del SS. Sacramento svoltasi dal 28 aprile al 4 maggio 2003. ringraziamo vivamente la Madre per averne consentito la pubblicazione.
[1] Ef 2,4; cf. Gv 3,16.
[2] Rm 5,5.
[3] Mt 3,11.
[4] Cf. Mt 25,14-30
[5] Vita Consecrata, n. 59; cf. Verbi Sponsa n. 3.
[6] Ecclesia de Eucaristia n. 54.
[7] Mt 28,20.
[8] Ecclesia de Eucaristia n. 53.
[9] Il sapore di Dio, Scritti spirituali, 1652-1675, Milano 1977, p. 176.
[10] L’anno liturgico, Glossa, Milano 1997, pp. 214-215.
[11] Vita consecrata, n. 95.
[12] Cf. Il sapore di Dio, Scritti spirituali, 1652-1675, Milano 1977, p. 180 ss.
[13] Cf. RB 58,17; 49,1.
[14] Attesa di Dio, Riflessioni sulla Regola di San Benedetto, Jaca Book, Milano 1981, p. 108.
[15] Verbi Sponsa, n. 3.
[16] L’anno liturgico, Glossa, Milano 1997, pp. 276-277.
[17] Attesa di Dio, Riflessioni sulla Regola di San Benedetto, Jaca Book, Milano 1981, p. 99.
[18] Ibidem. Ivi.
[19] Ecclesia de Eucaristia n. 55.
[20] Ibidem n. 58.