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Deus absconditus, anno 94, n. 3,  Luglio-Settembre 2003, pp. 36-39
 

Sr. M. Cecilia La Mela osb ap
L’Eucaristia: dono e profezia in Mectilde de Bar

Come Benedettine del SS. Sacramento non potevamo non accogliere con gioia l’enciclica del Papa datata il giorno del giovedì santo di questo 2003 così segnato da avvenimenti storici difficili e inquietanti, ma particolarmente ricco di eventi di grazia. L’anno aperto sotto lo sguardo di Maria che contempla il Figlio ha ora trovato il suo culmine pasquale nella centralità dell’Eucaristia, inizio e significato ultimo della Chiesa che ha lo sguardo «continuamente rivolto al suo Signore, presente nel Sacramento dell’Altare, nel quale essa scopre la piena manifestazione del suo amore» [1]. La risposta della Chiesa, e di ogni cristiano deve essere lo stupore e il ringraziamento per tanto mistero.

Non c’è contemplazione che non parta dal riconoscimento reale della presenza di Gesù nell’Eucaristia; solo così è possibile prendere il largo e gettare le reti del terzo millennio fortificati dalla promessa che il Signore è con noi sino alla fine dei secoli.

Nel corpo dell’enciclica, Giovanni Paolo II sottolinea la ricchezza dei vari carismi suscitati lungo i secoli dallo Spirito a favore dell’Eucaristia, soprattutto a partire dal Concilio di Trento. Il pensiero, per noi benedettine adoratrici, va subito a Madre Mectilde de Bar e alle origini del nostro Istituto. Una coincidenza profetica per tutte noi che celebriamo quest’anno il 350° di fondazione!

Se dovessimo fare una lettura sinottica tra l’enciclica del Papa e i testi della nostra Madre Fondatrice ne verrebbe fuori un libro di dimensioni considerevoli. Mi limito, pertanto, a sviluppare solo due punti, non meno significativi di quelli che tralascio, ma che mi sembra racchiudano una sintesi evangelica meravigliosa. La scelta, tuttavia, mi lascia inquieta, perché la tematica eucaristica della Madre è così vasta e bella che l’approfondimento di una parte porta con sé la nostalgia per il tutto.

La dimensione escatologica dell’Eucaristia si pone come segno di speranza in un mondo sempre più bisognoso di giustizia e di pace, gravato da una iniqua distribuzione delle ricchezze e da una mentalità egoista. Dall’Eucaristia nasce la Chiesa, ma la Chiesa è credibile se diventa attualizzazione del comando della carità che si fa servizio e comunione. Nell’Eucaristia ciascuno di noi, già incorporato a Cristo per mezzo del battesimo, vive e incarna il patto di alleanza che è memoria e memoriale. Collegandomi all’affermazione di Giovanni Paolo II: «Possiamo dire che non soltanto ciascuno di noi riceve Cristo, ma che anche Cristo riceve ciascuno di noi» [2], vorrei evidenziare la presenza di questo concetto in Mectilde de Bar che usa un’immagine insolita, ma immediata e incisiva. Madre Mectilde vive in pieno il contrasto ideologico sull’Eucaristia dibattuto nel suo tempo. Da un lato i movimenti protestanti che negano, soprattutto il calvinismo, la presenza reale di Gesù nell’Eucaristia e la diffusione del giansenismo che vede l’Eucaristia come un premio per i giusti, e dall’altro lato la risposta della Chiesa che vivifica ancor più questo sacramento. Ecco che Mectilde de Bar, figlia del ‘600, il secolo eucaristico per eccellenza, dà il suo prezioso contributo a favore delle verità cattoliche sancite dal Concilio di Trento.

Ricorrente è in lei il richiamo all’assimilazione reciproca tra Gesù Ostia e l’anima:

«A cosa mi serve mangiare Dio se Lui non mi mangia? Noi lo mangiamo con la santa comunione, ma questo non basta per dimorare in Lui, bisogna che Egli mi mangi e mi digerisca » [3].

Questa immagine del mangiare, attivo e passivo, esprime in pieno la consapevolezza che Madre Mectilde ha dell’Eucaristia come celebrazione e vita, come incontro dell’Essere di Dio con l’essenza dell’uomo. La creaturalità dell’uomo è assunta proprio nell’Eucaristia. Infatti la Madre prosegue:

«Nostro Signore è un boccone troppo grosso per me, io non posso digerirlo, ma invece Egli mi digerisce in un momento [...] E’ proprio il Tutto che assorbe il niente. Ecco ciò che io chiamo essere mangiata e digerita da Dio. Un ‘anima mangiata e digerita così, è passata in Dio, Egli la nasconde nel suo volto, è assorbita in Lui e, per così dire, fa parte di Lui stesso» [4].

Il mangiare e l’essere mangiati comporta una trasformazione, l’immettere un circuito, potremmo dire, di calorie, di nuova energia. Si vive una nuova vita. Scrive la Madre alla contessa di Châteauvieux:

«Vi supplico, carissima, di essere tutta di Gesù, come Gesù è tutto vostro nell’ostia. Separatevi da tutto quello che può anche minimamente distogliervi dal suo puro amore, e rimanete in questo spirito di ostia, poiché in verità voi siete ostia con Gesù Cristo. Voi fate parte di Lui [...]. Procuriamo di essere di Gesù in modo nuovo, con un amore nuovo e una nuova fedeltà, poiché gli apparteniamo in un modo che in certo senso è nuovo. Per questo dobbiamo essere tutte rinnovate in Lui e per Lui nel Santissimo Sacramento, cominciando a condurre una vita che abbia qualche rapporto con la sua vita divina, nascosta e annientata nel Santissimo Sacramento» [5].

Dopo la fase della digestione-contemplazione, necessariamente deve seguire quella dell’azione, un rinnovato vigore da mettere a servizio della carità. La novità è proprio la carità. Da qui scaturisce la missione della Chiesa e la vocazione di ogni battezzato: essere nel mondo segno di comunione con tutti. È qui che trova ragione il mistero profondo del corpo mistico di Cristo, mistero che siamo chiamati ad assimilare e ad annunciare. Il Papa infatti scrive: «L’Eucaristia, costruendo la Chiesa, proprio per questo crea comunità fra gli uomini» [6]. E ancora: «L’Eucaristia crea comunione ed educa alla comunione» [7].

La carità, per Madre Mectilde, è il segno concreto, il banco di prova di una vita interamente eucaristica e pertanto conformata a quella di Gesù:

«Bisogna dunque essere un’anima sola e un solo cuore. Ma quale sarà questo cuore? Sarà quello di Gesù che deve essere il nostro cuore. Se quest’unione è doverosa per tutti i cristiani, a più forte ragione lo è per noi che siamo e ci diciamo figlio del Santissimo Sacramento, che è un sacramento di unione e di carità. I nostri cuori sono fatti per amare; non potrebbero vivere senza amore. Bisogna dunque rinnegare noi stessi e rinunciare all’amore di sé per amare solo con la carità del Cristo e, così facendo, vi prometto che diventerete un altro Cristo» [8].

Non si può essere di Cristo se non si è anche dei fratelli. Compagnia viene da cum panis, ossia condivisione dello stesso pane. Se non c’è carità non c’è unione e se non si ama il prossimo come noi stessi non si può ricevere Cristo senza procurargli il dolore per le sue membra, ancora oggi lacerate come quel giorno sul Calvario, se non si è veri costruttori di pace.

La Madre con forza ci dice:

«Portiamo questo nome sacro [di figlio del SS. Sacramento] più nella vita che con le parole; abbiate molto cara la grazia di una tale vocazione; soprattutto amate teneramente l’unione e la concordia; siate tutte un cuor solo e un’anima sola in Cristo Gesù» [9].

La carità non si può costruire al di fuori della verità perché essere autentici vuol dire farsi trasparenza di Dio e guardare gli altri, anche i più fragili, per primi noi stessi, con lo sguardo misericordioso di Cristo.

La recente enciclica sull’Eucaristia, sembra sigillare il venticinquesimo anniversario del ministero petrino di Giovanni Paolo II e racchiudere, in un certo senso, la sua esperienza di cristiano e di ministro di Cristo. A tutti viene affidata la riscoperta di un tesoro mai apprezzato abbastanza, spesso trascurato, molte volte dimenticato. La sfida del nuovo millennio è Gesù Cristo: senza di Lui non è possibile varcare alcuna frontiera, né rinnovare il mondo. E noi Benedettine dell’Adorazione Perpetua del SS. Sacramento ci sentiamo nel cuore della Chiesa le custodi di un carisma che ci chiede, oggi più che mai, di essere lampade accese per portare ovunque, attraverso la preghiera, la gioia pasquale del Cristo che è nostro cibo e nostra bevanda.

 

 

 



[1] Ecclesia de Eucharistia, n. 1.

[2] Ecclesia de Eucharistia, n. 22.

[3] Citato da: Véronique Andral, Mectilde de Bar 1. Un carisma nella tradizione ecclesiale e monastica, ed. Città Nuova, Roma 1988, p. 177.

[4] Ibidem, 178.

[5] Catherine Mectilde de Bar, Il sapore di Dio, ed. Jaca Book, Milano, p. 109.

[6] Ecclesia de Eucharistia, n. 24

[7] Ibidem, n. 40.

[8] Catherine Mectilde de Bar, Attesa di Dio, cit., pp. 259-260.

[9] Catherine Mectilde de Bar, Non date tregua a Dio, ed. Jaca book, Milano 1979, p. 171.