Deus absconditus, anno 89, n. 2,
Aprile-Giugno 1998, pp. 49-64
Don Emilio Salvatore *
L’attualità
del carisma di M. Mectilde de Bar
1° MOMENTO: IL MISTERO
Siamo alla fine dell’anno cristologico, ad una settimana dalla chiusura del 23° Congresso Eucaristico Nazionale; nel contesto di tali celebrazioni si colloca la nostra riflessione sull’Eucarestia a partire dalla spiritualità di Catherine Mectilde de Bar, nel terzo centenario della sua morte.
Centrale nella intuizione di madre Mectilde è l’idea che l’Eucarestia è mistero. Mistero di Gesù e mistero della Chiesa. Ha detto Marie-Véronique Andral, benedettina-adoratrice del SS.mo Sacramento, grande conoscitrice delle opere e del pensiero della Madre, nell’ambito delle sue Conferenze sui misteri e sulle feste, che l’insegnamento che si evincerebbe è il seguente:
«Tutta la vita dei cristiani (della Chiesa) è una continuazione sulla terra di quella di Gesù Cristo. I misteri di Cristo, in quanto avvenimenti storici sono passati; la santa Chiesa ce li ripresenta ogni anno per farceli celebrare, contemplare, adorare, e soprattutto rendercene partecipi» [1].
Secondo il linguaggio dell’epoca Mectilde preferisce parlare di «misteri», più che di mistero.
«Tutti i misteri contengono realtà così prodigiose e incomprensibili allo spirito umano, che tutto ciò che si può trovare nei libri e tutto quello che se ne può dire non è nulla in confronto a quel che è; taccia la ragione umana; solo la fede può farcelo comprendere» [2].
Il termine «mistero» è centrale per capire tutto ciò che Mectilde, ieri, e la Chiesa, oggi, annunzia e crede, sperimenta e sente nella celebrazione dell’Eucarestia.
Che cos’è il mistero?
A guardare alle Conferenze che Mectilde tiene alle suore, che toccano i diversi periodi dell’anno liturgico, il termine «mistero» è inteso in un’accezione assolutamente attuale, quella in voga dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II (pensiamo alla LG, ove si parla di «mistero di Cristo e della Chiesa») e che trova il suo fondamento nella Sacra Scrittura, ad esempio in san Paolo nella lettera ai Colossesi (1,26-27).
Ascoltiamo l’inno paolino e la sua conclusione:
«...ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce.
È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili :
Troni, Dominazioni,
Principati e Potestà.
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui.
Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose.
Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli».
Al termine di questo inno cristologico conclude (Col 1,24-27):
«Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di realizzare la sua parola, cioè il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi, speranza della gloria».
Come ben si evince da questo passo, le caratteristiche del mistero inteso nel senso biblico non rimandano ad aspetti esoterici, che la parola evoca, e che oggi, ma anche al tempo di Paolo erano molto di moda.
Mystérion indica un disegno, un progetto di Dio, contraddistinto da una dialettica: nascosto-svelato; per Paolo il «chiaroscuro» investe il passato e il presente: buio è il disegno di Dio per il passato, luminoso per il presente. Ma un’ombra di luce resta anche per oggi.
Il mistero dunque è un termine carico di significato che, anche nella Bibbia ha una sua traiettoria notevole:
- teologica, perché riguarda Dio;
- cristologica, perché ha in Cristo il suo nucleo centrale
- ed ecclesiologica, perché sfocia nella Chiesa.
Ma qual è il contenuto di questo disegno, di questo mistero nel testo paolino citato: «Cristo in voi!».
Dunque il mistero cristiano è misto di luce e di ombra, di passato e di presente che riguarda Cristo, ma riguarda anche noi cioè la sua Chiesa.
Il termine «mistero« ci nega e ci offre la possibilità di comprendere che si tratta di qualcosa di ulteriore, di inesauribile, qualcosa di fronte alla quale le spiegazioni razionalistiche, le facili riduzioni si rivelano smaccatamente impotenti, limitate, inefficaci. Il mistero è incomprensibile, non nel senso che è irragionevole, ma nel senso che è imprendibile totalmente. «C’è in esso una dimensione di inesauribilità» [3].
Il vocabolario biblico, soprattutto paolino usa i termini dell’eccedenza, della sovrabbondanza: «ricchezza» (Col 1,27; Ef 1,7; 2,7; 3,8), «pienezza» (Col 2,2); «tutti i tesori» (Col 2,3); lo definisce «sovraeminente» (Ef 1,19; 2,7; 3,19), «ininvestigabile» (Ef 3,8).
È come un immenso mare nel quale il cristiano si trova immerso e cerca fino alla sazietà di coglierne «la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità...perché siate ricolmi di tutto il plerôma di Dio» (Ef 3,18.19).
Così si esprime m. Mectilde:
«I misteri dunque hanno qualcosa di prodigioso e di incomprensibile alla ragione, se non se ne fa l’esperienza» [4].
Chiediamo al Signore in questa settimana di riflessione eucaristica di sentire il desiderio di immergerci nei misteri di Dio e soprattutto nel «mistero dei misteri»: l’Eucarestia.
Lo facciamo, alla fine di questo primo momento, con la seguente preghiera:
Vieni, Spirito di Dio,
introducici al banchetto di nozze tra lo Sposo, l’Agnello, e la Sposa, noi la sua Chiesa, che le tue spose, le nostre sorelle a Te consacrate, manifestano in modo eminente. Suscita in noi, o potenza di amore, il desiderio che animò madre Mectilde di immergersi nelle profondità del mistero eucaristico, sorgente di ogni grazia e benedizione per il popolo santo di Dio.
Fa ‘ che questa settimana eucaristica ravvivi nelle suore adoratrici la fedeltà al carisma che nella tua Chiesa hai suscitato: dona nuove vocazioni cioè giovani capaci di sottrarsi alla banalità della vita, per gustare nella contemplazione il mistero dell’amore che ci aspetta sempre; dona alla nostra chiesa locale, vescovo e presbiteri, laici, consacrati, aderenti alle associazioni, famiglie, giovani ed adulti di porre al centro della loro vita il mistero della nostra salvezza, di cui l’Eucarestia è memoriale.
AMEN
2° MOMENTO: L’EUCARESTIA È MISTERO
I documenti a partire dal Concilio Ecumenico Vaticano II, quando parlano dell’Eucarestia, preferiscono alla forma «il Santissimo Sacramento» (legata a S. Alfonso e alle pratiche di pietà popolare) la forma più difficile ma completa di Mistero Eucaristico.
La Sacrosantum Concilium (47) vi allude:
«II nostro salvatore nell’ultima cena, la notte in cui veniva tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, col quale perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare così alla diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, «nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura« ».
La Mysterium Fidei, enciclica di Paolo VI (3 settembre 1965) lo reca nel titolo:
«Se la Sacra Liturgia occupa il primo posto nella vita della Chiesa, il Mistero eucaristico è il cuore e il centro della Sacra Liturgia, in quanto è la fonte di vita che ci purifica e ci corrobora in modo che non viviamo più per noi, ma per Dio e tra noi stessi ci uniamo col vincolo strettissimo della carità».
La Eucharisticum Mysterium, Istruzione sul culto del mistero eucaristico della Sacra Congregazione dei Riti (25 maggio 1967), via via sino a documenti recenti, allo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC).
Un capitoletto è dedicato proprio ai diversi termini che vengono usati per indicare l’Eucarestia:
«L’insondabile ricchezza di questo sacramento si esprime attraverso i diversi nomi che gli si danno. Ciascuno di essi ne evoca aspetti particolari. Lo si chiama: Eucaristia, perché è rendimento di grazie a Dio. I termini «eucharistein» (Lc 22,19; 1 Cor 11,24) e «eulogein» (Mt 26,26; Mc 14,22) ricordano le benedizioni ebraiche che – soprattutto durante il pasto – proclamano le opere di Dio: la creazione, la redenzione e la santificazione.
Cena del Signore, perché si tratta della Cena che il Signore ha consumato con i suoi discepoli la vigilia della sua Passione e dell’anticipazione della cena delle nozze dell’Agnello nella Gerusalemme celeste.
Frazione del Pane, perché questo rito, tipico della cena ebraica, è stato utilizzato da Gesù quando benediceva e distribuiva il pane come capo della mensa, soprattutto durante l’ultima Cena. Da questo gesto i discepoli lo riconosceranno dopo la sua Risurrezione, e con tale espressione i primi cristiani designeranno le loro assemblee eucaristiche. In tal modo intendono significare che tutti coloro che mangiano dell’unico pane spezzato, Cristo, entrano in comunione con lui e formano in lui un solo corpo.
Assemblea eucaristica [synaxis], in quanto l’Eucaristia viene celebrata nell’assemblea dei fedeli, espressione visibile della Chiesa.
Santo Sacrificio, perché attualizza l’unico sacrificio di Cristo Salvatore e comprende anche l’offerta della Chiesa; o ancora santo sacrificio della messa, «sacrificio di lode« (Eb 13,15), sacrificio spirituale, sacrificio puro e santo, poiché porta a compimento e supera tutti i sacrifici dell’Antica Alleanza.
Santa e divina Liturgia, perché tutta la Liturgia della Chiesa trova il suo centro e la sua più densa espressione nella celebrazione di questo sacramento; è nello stesso senso che lo si chiama pure celebrazione dei Santi Misteri. Si parla anche del Santissimo Sacramento, in quanto costituisce il Sacramento dei sacramenti. Con questo nome si indicano le specie eucaristiche conservate nel tabernacolo.
Comunione, perché, mediante questo sacramento, ci uniamo a Cristo, il quale ci rende partecipi del suo Corpo e del suo Sangue per formare un solo corpo; viene inoltre chiamato le cose sante («ta hagia; sancta») – è il significato originale dell’espressione «comunione dei santi« di cui parla il Simbolo degli Apostoli – pane degli angeli, pane del cielo, farmaco d’immortalità, viatico...
Santa Messa, perché la Liturgia, nella quale si è compiuto il mistero della salvezza, si conclude con l’invio dei fedeli («missio») affinché compiano la volontà di Dio nella loro vita quotidiana» [5].
Ma al di là dei termini una costante è chiara. Gesù è l’autore e il contenuto di questo mistero.
È mistero di Gesù. Come ci ha ricordato il congresso eucaristico non è solo un mistero nel senso di un sacramento come gli altri, è un mistero nel senso che è il mysterion, ossia la persona stessa da cui tutti i misteri salvifici promanano.
«Tutti i misteri di Cristo rimangono perennemente presenti nell’Eucarestia». Il mistero è presente nei misteri, e ogni mistero è incluso nel mistero in cui ci fa entrare l’eucarestia.
«Tutto è mistero in Cristo Gesù» [6] dirà m. Mectilde proprio per indicare che il cuore del mistero cristiano è una persona: Gesù.
A ciò fa eco il Catechismo della Chiesa Cattolica:
«Tutta la vita di Cristo è Mistero. Non compaiono nei Vangeli molte cose che interessano la curiosità umana a riguardo di Gesù. Dalle fasce della sua nascita, fino all’aceto della sua passione e al sudario della Risurrezione, tutto nella vita di Gesù è segno del suo Mistero. Attraverso i suoi gesti, i suoi miracoli, le sue parole, è stato rivelato che «in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9). In tal modo la sua umanità appare come «il sacramento», cioè il segno e lo strumento della sua divinità e della salvezza che egli reca: ciò che era visibile nella sua vita terrena condusse al Mistero invisibile della sua filiazione divina e della sua missione redentrice.
Tutta la vita di Cristo è Rivelazione del padre: le sue parole e le sue azioni, i suoi silenzi e le sue sofferenze, il suo modo di essere e di parlare. Gesù può dire: «Chi vede me, vede il Padre« (Gv 14,9), e il Padre: «Questi è il Figlio mio, l’eletto, ascoltatelo» (Lc 9,35). Poiché il nostro Signore si è fatto uomo per compiere la volontà del Padre, i più piccoli tratti dei suoi Misteri ci manifestano «l’amore di Dio per noi» (1 Gv 4,9).
Tutta la vita di Cristo è Mistero di Redenzione. La Redenzione è frutto innanzi tutto del sangue della croce, ma questo Mistero opera nell’intera vita di Cristo: già nella sua Incarnazione, per la quale, facendosi povero, ci ha arricchiti con la sua povertà; nella sua vita nascosta che, con la sua sottomissione, ripara la nostra insubordinazione; nella sua parola che purifica i suoi ascoltatori; nelle guarigioni e negli esorcismi che opera, mediante i quali «ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie» (Mt 8,17); nella sua Risurrezione, con la quale ci giustifica.
Tutta la vita di Cristo è Mistero di Ricapitolazione. Quanto Gesù ha fatto, detto e sofferto, aveva come scopo di ristabilire nella sua primitiva vocazione l’uomo decaduto.
Allorché si è incarnato e si è fatto uomo, ha ricapitolato in se stesso la lunga storia degli uomini e in breve ci ha procurato la salvezza, così che noi recuperassimo in Gesù Cristo ciò che avevamo perduto in Adamo, cioè d’essere ad immagine e somiglianza di Dio. Per questo appunto Cristo è passato attraverso tutte le età della vita, restituendo con ciò a tutti gli uomini la comunione con Dio» [7].
Dice madre Mectilde, commentando il Natale di Gesù:
«(Prepariamoci) per partecipare alla grazia del mistero che la Chiesa ci propone. Il mistero è passato lo ammetto, e non è avvenuto che una sola volta; ma non è passata la sua grazia, per le anime che si preparano a far nascere Gesù Cristo nei loro cuori. Egli è nato una volta per tutte a Betlemme, e nasce ogni giorno in noi con la comunione, che, come dicono i Padri è estensione dell’Incarnazione».
Con tale testo Mectilde ci fa intuire il nesso profondo che esiste tra i misteri della vita di Gesù e il mistero dell’Eucarestia, che li riassume e li riassorbe tutti; l’evento accaduto una volta per tutte nella storia e il ripresentarsi ad esso nella ripetizione rituale. Quello che viene detto con una categoria ebraica (zikkarôn), ossia memoriale.
La dimensione cristocentrica della spiritualità di Mectilde, del resto, si coglie in tutta la sua riflessione:
«Ho grande desiderio di parlarvi di Gesù, di farvi conoscere Gesù, di vedervi tutta ripiena d’amore e di stima per Lui. Siamo tutte sue, non viviamo che per lui, non respiriamo che lui, non pensiamo che a lui, non desideriamo che lui. [...] Un’anima che ha Gesù non ha più bisogno di altro» [8].
In particolar modo nell’Eucarestia:
«Ecco i grandi misteri di cui dobbiamo essere ancora tutte sature: l’istituzione del santissimo Sacramento, la morte e la risurrezione di nostro Signore» [9].
L’attenzione a Gesù si rivolge in modo particolare alla sua presenza nel sacramento dell’Eucarestia. Cosa fa Gesù nel sacramento dell’altare? Si domanda con una sensibilità trinitaria:
«Gesù è quell’aquila eucaristica che, per l’unione ipostatica, si eleva sino al trono di Dio, contempla, adora e comprende le perfezioni divine proprie dell’essenza di Dio. Nel Santissimo Sacramento dell’altare, egli compie funzioni misteriose, rendendo all’augusta Trinità un omaggio e una gloria infiniti... [...] Noi siamo i suoi piccoli uccellini: non facciamo che volteggiare sulla terra, senza poter prendere il volo verso quella suprema maestà per contemplarne le altezze. Dobbiamo insinuarci sotto le ali di quest’aquila eucaristica, per essere elevate dal suo volo e dall’ardore dei suoi slanci fino all’unione divina, in modo da poter adorare quel Sole dell’Essenza divina, che non può essere compreso né fissato da altri che da lui» [10].
Gesù dunque è il vero adoratore del Padre.
Perché Gesù sa adorare perfettamente?
Perché egli si è sacrificato come «vittima» ed è presente nel sacramento dell’altare come vittima. Tale parola, «vittima», è molto lontana dalla nostra sensibilità, che vede nel termine un senso di passività, connesso ad azioni violente subite.
Il termine «vittima», di provenienza pagana – il latino usa hostia con lo stesso significato – non si trova nella Sacrosantum Concilium, mentre era presente nel decreto di Trento sulla Messa, sessione XXII (1562):
«(Una hostia et eadem) Una sola e medesima è la vittima (ossia) quello stesso che ora si offre attraverso il ministero dei sacerdoti e che allora offrì se stesso sulla croce, soltanto diverso è il modo di offrire».
Gesù si offrì una volta per tutte sulla croce, come vittima, ossia al posto dei peccatori, al Padre per salvare l’umanità, per riconciliarla a Colui che l’aveva creata, ma che dall’uomo era stato dimenticato ed offeso.
Nel sangue di Gesù che quale vittima sacrificale, sostituisce l’agnello pasquale ebraico, si compie la nuova alleanza, quella definitiva, che è eterna ed irrevocabile.
L’offerta sulla croce, si ripresenta in modo misterico, ossia nel segno del pane spezzato e del corpo donato ogni volta sull’altare, attraverso le parole del sacerdote che fanno anamnesi dell’istituzione compiuta da Gesù nella notte del suo tradimento e della sua consegna agli uomini.
La presenza reale (non in senso esclusivo, come se le altre non fossero tali; ma per antonomasia) nell’ostia, che prende nome proprio dalla dimensione del crocifisso-risorto, è quella di «vittima», dunque, secondo madre Mectilde. Del resto le preghiere eucaristiche attuali usano tale termine.
La prima (o canone romano): «ti offriamo la vittima pura, santa e immacolata, pane santo della vita eterna e calice dell’eterna salvezza»; la terza: «Guarda, ti preghiamo, all’offerta della tua chiesa e (alla lettera) riconoscendovi la Vittima immolata per la nostra redenzione...». E ancora: «Questa vittima della nostra riconciliazione giovi alla nostra salvezza!».
Anche la quarta, frutto del Concilio: «Guarda O Dio la vittima che tu stesso hai preparato per la tua Chiesa».
Gesù è il perfetto adoratore, perché è la vittima immacolata, il perfetto riparatore.
Nel capitolo XVIII del Vero Spirito, madre Mectilde si dilunga in una appassionata descrizione della condizione di Gesù nell’ostia:
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di servo;
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di immolazione e di vittima per i peccatori;
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di un silenzio perfetto;
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di esilio;
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di sconosciuto;
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di contraddetto e perseguitato;
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di impotenza, di debolezza;
Gesù si trova nell’ostia in stato di morte;
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di penitente (per noi si è fatto peccato, aveva detto Paolo);
Gesù si trova nell’ostia in potere dei suoi nemici (teniamo presenti i sacrilegi che venivano compiuti durante la guerra dei trent’anni) ;
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di abbandonato ;
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di oltraggiato e maltrattato ;
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di povero;
Gesù si trova nell’ostia in condizione di sepolto;
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di annientato ;
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di colui che rende a Dio la perfetta adorazione :
Gesù si trova nell’ostia in una condizione di prigioniero d’amore ;
Gesù si trova nell’ostia nella condizione di obbedienza;
Gesù si trova nell’ostia in condizione di schiavitù ;
Questa contemplazione tutta tramata di richiami biblici, che accentua l’elemento della sofferenza e del sacrificio, rispetto ad esempio alla condizione pasquale, come farà la spiritualità soprattutto del Vaticano II, vuole spingere alla consapevolezza della motivazione, del «perché» della scelta di abbassamento di Gesù, della sua offerta.
La risposta per tale domanda è evidente: è l’amore ciò che spinge Gesù ad annientarsi.
Gesù infatti nel sacramento dell’Eucarestia rivolge un duplice sguardo: al Padre, per riparare e all’umanità che ha redento, perché tutti, anche coloro che lo oltraggiano, si convertano.
O Gesù,
tu sei mistero.
Non nel senso che sei irragionevole,
ma nel senso che non sei spiegabile
nei termini della logica umana.
Tu sei l’inoggettivabile,
nessuno ti può comprendere.
Tu sei il trascendente,
nessuno ti può catturare
nelle maglie dell’intramondano.
Tu sei nella storia
ma la storia non ti può archiviare.
Tu l’attraversi: ecco perché sei mistero.
Mistero tu sei nell’Eucarestia,
capace di affascinarci, di attrarci a Te.
Donaci a imitazione di coloro che hanno voluto
profondamente contemplarti,
come Mectilde de Bar,
di essere presi dalla ragione di tanto mistero:
che è l’Amore, solo l’amore.
Amen.
3° MOMENTO: MISTERO DELLA CHIESA
L’Eucarestia non è solo mistero del Cristo, ma del Christus totus, ossia del capo e delle membra. Il rapporto fra il mistero di Gesù e il mistero della Chiesa nell’Eucarestia si esplicita.
L’Eucarestia è la fonte del mistero della Chiesa: da essa si diparte come il flusso di sangue che fuoriesce dal costato del Cristo secondo l’icona giovannea (Gv 19); l’Eucarestia è la chiesa in boccio, la Chiesa è l’Eucarestia sbocciata, ha detto P. Coda.
L’Eucarestia è l’essenza stessa della Chiesa: che si offre in Cristo al Padre. Così diciamo nella preghiera eucaristica terza: «Egli (lo Spirito Santo) faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito in comunione con la Beata Vergine Maria...».
Che cos’è la Chiesa se non la comunione in Cristo dei credenti, primizia dell’umanità rinnovata dal suo amore?
«La comunione della vita divina e l’unità del popolo di Dio, su cui si fonda la Chiesa sono adeguatamente espresse e mirabilmente prodotte dall’Eucaristia. In essa abbiamo il culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo sia del culto che gli uomini rendono a Cristo e per lui al Padre nello Spirito Santo» [11].
L’Eucarestia è il punto di arrivo del cammino della Chiesa.
La Chiesa va verso ciò che intravede quando celebra, ossia verso la comunione in Cristo a lode e gloria del Padre, secondo quanto afferma la Prima Lettera ai Corinzi (3,21-23):«Quindi, nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio».
Dalla consegna di Cristo ai suoi alla ri-consegna della Chiesa, dell’umanità, del cosmo a Dio: un movimento che abbraccia il mondo cosmico nel pane e nel vino testimoniato.
La Chiesa nell’Eucarestia appare dunque nella duplice veste di offerente e offerta al Padre. Essa unita misteriosamente come la Sposa allo Sposo:
«Ogni battezzato divenuto col battesimo, chiesa e corpo del Signore, è dentro questa offerta col suo corpo donato come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (cf. Rm 12,1)» [12]
È significativo che madre Mectilde parli dell’Eucarestia con gli stessi accenti alle sue sorelle, ma anche ai laici. L’Eucarestia è per tutto il popolo di Dio!
Dice Agostino:
«Se voi siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi stessi. VOI RICEVETE IL VOSTRO MISTERO!» [13]
«Tutta la ricchezza di Cristo “è destinata ad ogni uomo e costituisce il bene di ciascuno”. Cristo non ha vissuto la sua vita per sé, ma per noi, dalla sua Incarnazione «per noi uomini e per la nostra salvezza “fino alla sua morte «per i nostri peccati” (1 Cor 15,3) e alla sua Risurrezione “per la nostra giustificazione” (Rm 4,25). Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo viva in noi. “Con l’incarnazione il figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo”. Siamo chiamati a formare una cosa sola con lui; egli ci fa comunicare come membra del suo Corpo a ciò che ha vissuto nella sua carne per noi e come nostro modello: Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, infine, completare gli stati e i Misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa...Il Figlio di Dio desidera una certa partecipazione e come un’estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa dei suoi Misteri mediante le grazie che vuole comunicarci e gli effetti che intende operare in noi attraverso i suoi Misteri. E con questo mezzo egli vuole completarli in noi» [14].
4° MOMENTO: MISTERO CHE DEVE ESSERE ACCOLTO DALLA CHIESA
II mistero della Chiesa è il nostro mistero che ci interpella, ci provoca. Una lunga parte delle indicazioni spirituali di Mectilde sono dirette agli atteggiamenti che preparano l’incontro col mistero:
- la creaturalità
- la sottomissione
- l’annientamento
Termini apparentemente lontani dalla nostra concezione autonoministica del soggetto, che nasce con lo spirito rinascimentale e si sviluppa con quello cartesiano. Connessi, invece, al senso di Dio.
Per poter accogliere il mistero occorre riconoscere quello che siamo dinanzi a lui, ossia creature.
E qui troviamo, forse, la ragione della lontananza dell’uomo di oggi, anche di tanti giovani di fronte a Dio, a Cristo, all’Eucarestia, ma anche al mistero della vita.
Abbiamo perso il senso del mistero, ossia chiusi nei nostri ragionamenti che pretendono di spiegare con sicurezza scientifica ogni cosa, di fatto le domande restano mute, senza risposta di fronte ai grandi fatti della vita e della morte, del senso della vita. La perdita di questo gusto della domanda porta all’indifferenza, alla perdita della capacità di ricostruire i legami con le cose e le persone, alla perdita della capacità di costruire una duratura dimensione affettiva, alla perdita della capacità di impegno stabile. L’uomo di oggi sembra condannato a fermarsi alle soglie del mistero, a cadere nel torpore e nell’indifferenza, a vivere una tensione che nasce dalla volontà di essere, che a volte porta o alla fuga (al suicidio), o alla noia (morte esistenziale) o all’esasperazione vitalistica (scavalcare il mistero con atteggiamenti violenti e superomistici).
L’uomo maturo, invece, sa riconoscere le domande, sa porle, sa cercare, sa riconoscere i propri limiti, si accetta con la sua dimensione limitata, si scopre creatura, pensate a Madre Teresa, la «piccola matita» che diventa premio Nobel.
A tale verità su se stessa e sul mistero dell’uomo giunge anche madre Mectilde:
«L’unico mezzo per fare un grande progresso nella vita spirituale, è conoscere davanti a Dio il nostro nulla, la nostra indigenza, la nostra incapacità. In questa visuale e in questa convinzione che abbiamo tante volte sperimentata, bisogna abbandonarsi a Dio, affidandosi alla sua misericordia, per essere condotti come a Lui piacerà» [15].
Sentirsi creature è la condizione per andare a Dio, per riconoscere il mistero dell’Eucarestia: «Le ricchezze della vita di grazia sono la povertà suprema» [16].
In altre parole, per entrare nel mistero occorre predisporsi alla fede. Non a caso dopo le parole della consacrazione è stata inserita l’acclamazione: «Mistero della fede!».
Essa vuole dire, con san Tommaso d’Aquino (cf. Adoro te devote), che quanto si verifica sull’altare è in senso oggettivo il mistero della nostra fede; ma anche che la fede rende possibile l’accoglienza del mistero («non i sensi ma la fede prova questa verità»).
In breve l’Eucarestia è il compendio e la somma della nostra fede:
«II nostro modo di pensare è conforme all’Eucaristia, e l’Eucaristia, a sua volta, si accorda con il nostro modo si pensare» [17].
Così dichiara Ireneo di Lione, Adversus Haereses, 4,18,5. Su tale conformità si sofferma m. Mectilde:
«Non si può entrare meglio nei misteri che con la conformità» [18].
In che cosa consiste? Da una parte è essenziale la fede:
«Per penetrare nella grazia del mistero, bisogna appropriarsene con la fede.... Per penetrare nel mistero, occorre, sorelle mie, che ognuno lo faccia proprio... Dite a voi stesse: Dio ha fatto per me...quello che ha fatto per tutte» [19].
E ancora:
«È la fede che ci fa entrare nei misteri» e specifica: «essa implica: umiltà, purezza e amore» [20].
Dall’altra essa si esprime in tutta una serie di atteggiamenti, che sono essenziali per l’accoglienza del mistero, che Mectilde vede sintetizzati nella Regola di san Benedetto, ma che sono validi per tutti i cristiani.
Rivolgendosi alla contessa di Chateauvieux, amica e figlia spirituale, le dice:
«Le vostre miserie e avversioni non mi scoraggiano. Dio non farà a metà la sua opera. Ma incominciamo ad annientarci sul serio, camminando nei segreti sentieri della fede, in cui lo spirito umano perde la vita. Piacesse a Dio che fossi degna di assistervi! Questo spirito di fede e di morte è il vero spirito di san Benedetto, e se nostro Signore mi da la grazia di esprimere quello che la sua luce me ne svela, vedrete come non è senza mistero che egli scelse delle religiose di san Benedetto per essere le sue vittime nel santissimo Sacramento, poiché la grazia (.oggi si direbbe «il carisma«, N.d.A.) di quest’ordine ha uno stretto rapporto con l’Eucaristia. Ma la grande sventura è che esso non è conosciuto e le anime stesse che lo hanno professato non lo comprendono» [21].
Dalla fede e dall’umiltà scaturisce un altro atteggiamento che è la via della negazione del sé. Se io sono troppo pieno di me stesso non posso fare spazio a Dio. Occorre dunque procedere in quello che Mectilde chiamerà la via dell’annientamento:
«Sarete tanto più quanto
meno vorrete essere.
NON SIATE NIENTE DEL TUTTO
e sarete tutto in pienezza» [22].
Questa massima è carica di tutto un itinerario di cui l’uomo di oggi sente il fascino : è la via della purificazione.
Come cercano oggi tanti anche nel Buddismo questa spoliazione dell’io: è la strada della santità!
Potrebbe farci paura il non essere niente, in realtà è l’unica condizione per essere qualcosa, ossia per ritrovare la nostra reale condizione, che è quella di piccole creature, che trovano però nel contatto col TUTTO, con Dio, con l’Eucarestia, la sorgente della loro vita.
E Mectilde che nella sua vita attraverso prove e persecuzioni, aveva fatta l’esperienza della povertà, della persecuzione e dell’annientamento, afferma:
«Quando tutto sarà annientato, ossia perfettamente sottomesso, Dio in persona viene a farci la corte»; è il luogo della morte mistica, dove si raggiunge il centro della vita».
L’Eucarestia non può essere compresa dalle anime arroganti, piene di sé, superbe: è il pane dei piccoli, dei semplici, dei figli, ossia di coloro che si riconoscono creature di Dio.
Del resto tale itinerario di annientamento è lo stesso di quello di Gesù, secondo il modello dell’inno ai Filippesi (2,6ss) che canta l’abbassamento di Gesù, che nell’Eucarestia trova il suo prolungamento.
Tale visione madre Mectilde la ricava anche dall’insegnamento del card. De Bérulle, che tanto influenzava i filosofi e mistici del tempo.
5° MOMENTO: MISTERO CHE CHIEDE DI ESSERE CELEBRATO
Sacrosantum Concilium 6:
«Così, mediante il battesimo, gli uomini vengono inseriti nel mistero pasquale di Cristo: con lui morti, sepolti e risuscitati: ricevono lo spirito dei figli adottivi nel quale esclamano «Abbà, Padre« (Rm 8,13), e così diventano i veri adoratori che il Padre ricerca. Allo stesso modo, ogni volta che mangiano la cena del Signore, proclamano la morte del Signore fino a quando verrà. Perciò, proprio il giorno di Pentecoste nel quale la chiesa si manifestò al mondo, «quelli che accolsero la parola« di Pietro «furono battezzati«. Ed erano «assidui nell’insegnamento degli apostoli, alle riunioni comuni della frazione del pane e alla preghiera...lodando insieme Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo« (At 2,41-47). Da allora la chiesa mai tralasciò di riunirsi in assemblea per celebrare il mistero pasquale: con la lettura di quanto «nelle scritture la riguardava« (Lc 24,27), con la celebrazione dell’Eucaristia, nella quale «vengono ripresentati la vittoria e il trionfo della sua morte«, e con l’azione di grazie «a Dio per il suo dono ineffabile« (2 Cor 9,15) nel Cristo Gesù, «in lode della sua gloria« (Ef 1,12) per virtù dello Spirito Santo».
Mectilde vive nella situazione post-tridentina, nel contesto del secolo eucaristico (XVII) che vede tutto un fiorire soprattutto in Francia di grandi manifestazioni verso l’Eucarestia: confraternite, benedizioni, adorazione.
Madre Mectilde ripropone una riconsegna dell’Eucarestia a tutto il popolo cristiano soprattutto ai laici. Illuminanti in tal senso tutte le raccomandazioni che essa fa ai laici impegnati che incontra. Ad esempio, la comunione frequente:
«Sarebbe mio desiderio di vedervi comunicare spesso...Non potete darvi mai troppo ne troppo assecondare i disegni che Lui ha di possedervi;...Avete bisogno di immergere la vostra debolezza nella sua forza divina e desiderare di essere colmata da LUI...II suo desiderio sarebbe quello di essere ricevuto attualmente per operare di continuo con il suo amore e la sua misericordia, onde vivere egli in noi e noi in Lui» [23].
Afferma la Sacrosantum Concilium, n. 48:
«Perciò la chiesa volge attente premure affinché i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano istruiti nella parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo l’ostia immacolata, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino a offrire se stessi, e di giorno in giorno, per mezzo di Cristo mediatore siano perfezionati nell’unità con Dio e tra di loro, in modo che Dio sia finalmente tutto in tutti».
Il fine dell’Eucarestia è la nostra trasformazione in Lui. Certo per opera dello Spirito più facilmente pane e vino si trasformano in corpo e sangue di Gesù, mentre le persone, noi, opponiamo resistenza ad essere trasformati in Lui.
«Perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito» (prece euc III).
La comunione ed anche l’adorazione non sono gesti devozionali per Mectilde ma azioni volte a trasformarci in Cristo, a farci come Lui. Gli atteggiamenti riscontrati negli stati di Gesù nell’ostia, devono essere anche quelli di coloro che mangiano tale ostia e prolungano tale partecipazione al mistero nell’adorazione, sino a farsi «ostia» loro stessi:
«...tutte le volte che facciamo la comunione, Gesù viene a rinnovarli in noi e farci partecipi della sua gloriosa risurrezione. Infatti i misteri di nostro Signore ci sono dati appunto per partecipare alla grazia che ne deriva e a farci condurre una vita conforme a quella di Nostro Signore».
La continuazione della unione eucaristica nella vita, l’adorazione e la continuazione della permanenza nello stato di adorazione sono il passaggio al mistero vissuto.
6° MOMENTO: MISTERO CHE CHIEDE DI ESSERE VISSUTO
L’Eucarestia continua nella vita, plasma la vita di una persona, la prolunga e la trasforma.
«Per adorare di continuo non è necessario dire: mio Dio ti adoro. Basta che abbiate attualmente una certa tendenza a Dio presente in voi, un rispetto profondo in omaggio alla sua grandezza; credendolo in voi, come c’è in verità, poiché la SS.ma Trinità vi fa la sua dimora» [24].
La vita stessa si fa eucaristia, rendimento di grazie continuo.
«Dimorate in Dio; non dovete far altro che rimanere in voi stesse, perché Dio è nell’intimo della vostra anima» [25].
L’adorazione come voto fondamentale della rilettura della spiritualità benedettina, non esclude il lavoro o le altre attività in quanto è «adorazione attuale». Ma ogni cosa va fatta con spirito interiore:
«Tutte le nostre azioni devono diventare una continua adorazione».
Addirittura arriva a dire:
«Non è necessario venire in chiesa per venirlo ad adorare: lo possiamo fare dappertutto e in ogni occasione, con un atto di fede, che ce lo fa vedere nelle sorelle» [26].
L’amore dunque verso i fratelli è l’espressione ultima dell’adorazione, il prolungamento dello sguardo di amore di Gesù dall’ostensorio verso ogni uomo.
La vera mistica riconduce alla carità, che è l’Eucarestia testimoniata dinanzi al mondo. All’amore di Gesù nell’Eucarestia, deve corrispondere la risposta eucaristica del vero adoratore che ama i fratelli con lo stesso amore.
Dai santi, anche quelli non canonizzati di ieri, passiamo a quelli di oggi:
«Dio non è separato dalla Chiesa, perché è ovunque e in tutto, e noi siamo suoi figli. Riunirci nel suo nome ci da la forza. La Chiesa ci offre i sacerdoti, la messa e i sacramenti di cui noi abbiamo bisogno nella vita quotidiana per svolgere il nostro lavoro. Abbiamo bisogno dell’Eucarestia (Gesù nell’ostia e nella santa comunione) perché se non ci viene dato Gesù non possiamo donare nulla a Lui».
Conclusione
Parole profonde e profetiche! Purtroppo assistiamo anche ai nostri giorni a tante devozioni che, per le varie apparizioni vere o presunte della Madonna, per i santi, a volte ancora non canonizzati, sembrano attirare le folle e quasi prendere il sopravvento sull’amore a Gesù-Eucarestia, miracolo dimenticato, forse perché quotidiano e semplice, ma anche forse perché impegnativo, nei tabernacoli.
Da questa settimana eucaristica deve nascere un nuovo impulso nella nostra diocesi alla celebrazione e all’adorazione eucaristica.
Tutti noi dobbiamo sentirci impegnati a suscitare la centralità del mistero eucaristico nella vita della nostra diocesi, delle nostre parrocchie, dei nostri gruppi, della nostra vita personale e comunitaria.
L’impegno per voi care sorelle è a fare di questo luogo una domus eucharistica, ossia un luogo dell’incontro col Signore Gesù, accolto e adorato, ma anche un luogo di rendimento di grazie, di conformità all’Eucarestia, nella vostra vita, cosicché nuove forze possano sentire il fascino di donarsi al Signore, come ostie a Lui gradite.
Sono sicuro che se Gesù-Eucarestia, diventerà non solo l’oggetto della vostra adorazione ma anche il mistero della vostra vita, non mancherà il richiamo dell’Eucarestia.
Come Mectilde sentì la voce dello Spirito guardando l’immagine delle vestali che alimentavano il sacro fuoco, così guardando la vostra icona vivente, altre giovani sentiranno la voce dello Spirito, che le invita a diventare offerta per amore di Gesù, lo sposo fedele della sua Chiesa.
Così Dio voglia!
* Sacerdote della diocesi di Alife-Caiazzo. Impegnato in numerose attività pastorali, è, tra l’altro formatore presso il Seminano Interregionale Campano di Napoli, oltre che Assistente diocesano dei giovani di Azione Cattolica. È inoltre in procinto di conseguire il dottorato in Teologia Biblica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. Lo ringraziamo vivamente per aver consentito la pubblicazione del testo, benché non rivisto, della sua conferenza.
[1] M. Véronique Andral, La liturgia. Il mistero di Cristo vissuto nella Chiesa e attraverso la Chiesa, in M. De Bar, Non date tregua a Dio. Lettere alle monache 1641-1697, Jaca Book, Milano 1978, pp. 242-244.
[2] Citato in Ibid., p. 243.
[3] R. Penna, Mistero, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, ed. Paoline, Cinisello 1990, pp. 984-993.
[4] Citato in «Non date tregua...», p.243.
[5] CCC 1328-1332.
[6] Citato da V. Andral, in Non date tregua..., cit., p. 243.
[7] CCC 514-518.
[8] Catherine de Bar, Une amitié spirituelle au grand siècle, ed. Téqui, Paris 1989, p. 126.
[9] Citato da V. Andral, in Non date tregua..., cit. p. 244.
[10] Ibid., p. 245
[11] CCC 1325.
[12] S. Zardoni, Gesù Cristo unico Salvatore del mondo, ieri. oggi e sempre, in AA.VV, Commissione Dottrinale. L’Eucaristia sacramento di ogni salvezza, ed. Piemme, Casale Monferrato 1997 p 88
[13] Agostino, Sermo 272; NBA, Discorsi, IV,2; p. 1044ss.
[14] CCC 519-521.
[15] Catherine Mectilde de Bar, Il sapore di Dio, ed. Jaca Book, Milano 1977, p, 161.
[16] Ivi
[17] CCC 1327.
[18] Non date tregua..., cit., p. 243.
[19] Ivi.
[20] Ivi.
[21] Il sapore di Dio, cit., p. 110.
[22] Ibidem, p. 163.
[23] Il sapore di Dio, cit, p. 105s
[24] Non date tregua..., cit., p. 247.
[25] Ibid., p. 248.
[26] Ibid., p. 247.