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Deus absconditus, anno 89, n. 3-4, Luglio-Dicembre 1998, pp. 107-110

 

Don Guglielmo Ricca

La vita di madre Mectilde de Bar fra le righe di una preghiera

 

Sapienza eterna del Padre, adorabile Gesù

Così inizia l’ammenda, stupenda preghiera che le monache Benedettine dell’Adorazione Perpetua del Santissimo Sacramento recitano ogni giovedì, dinanzi a Gesù Eucaristia solennemente esposto.

La Madre inizia la preghiera di adorazione e riparazione rivolgendosi a quel Gesù che aveva sempre adorato nella sua vita, da fanciulla, da giovanissima suora fra le Annunciate di Bruyères, quindi, in un crescendo di imprevedibili e sempre nuove difficoltà e sofferenze, fra le Benedettine di Rambervillers fino a Parigi in rue du Bac.

Solo la Sapienza eterna e misteriosa di Dio poteva aver mutato le circostanze angosciose e terribili di quella funesta guerra dei trent’anni (1618-1648) che aveva dilaniato la Francia con terribili ripercussioni violente anche nella sfera religiosa, in un cammino di perfezione e di santità per un’anima a cui veniva affidato un sublime carisma.

Doveva essere Dio a trionfare sulla totale immolazione di sé e nella semplice adesione alla volontà di Dio.

Noi ti adoriamo realmente presente su questo altare.

La presenza eucaristica era stata purtroppo, oggetto di tanti oltraggi che avevano offeso questo divin Sacramento suscitando scandalo nelle anime buone e seminando a larghe mani il seme nefasto della noncuranza a incredulità. Ma, contemporaneamente, nelle anime fervorose nasce subito il bisogno di rinsaldare con l’amore e la riparazione, la fede autentica, genuina, senza veli e compromessi nella presenza eucaristica di Gesù.

«La fede è la vera luce dell’anima cristiana» (M. Mectilde).

Perciò ti adoriamo realmente presente su questo altare, lo stesso identico Gesù che è Dio, incarnato nel seno della Vergine Maria e per la nostra salvezza morto e risorto.

Umilmente prostrati, ti rendiamo l’omaggio del nostro fervido amore e della più viva nostra gratitudine.

L’amore e la gratitudine camminano insieme.

L’amore significa capire, è la luce per penetrare nel profondo del Mistero Eucaristico, per contemplare l’abisso dell’umiltà di un Dio che si nasconde in un piccolo pezzo di pane, che si lascia toccare, mangiare, per farsi semplice sostegno e alimento, che si lascia conservare e adorare in un tabernacolo, anche non sempre lindo e decoroso, e ascolta in un silenzio che consola, accetta, lenisce, illumina e dà pace.

L’amore, allora, diventa gratitudine, grido del cuore che non può tacere, canto della natura e profumo di un fiore che guarda il cielo e ama la libertà.

Sei veramente per noi il Dio della carità

Catherine Mectilde de Bar era nata a Saint-Dié, in Lorena, il 31 dicembre 1614.

Nel novembre 1631, a diciassette anni, era entrata nel convento delle Annunciate di Bruyères. Inizia un cammino di perfezione già misteriosamente costellato di consolazioni e dure prove.

La guerra dei trent’anni giunge in Lorena. La Madre e le consorelle fuggono. Per lunghi quattro anni sono esposte a pericoli di ogni tipo. Quando sembrava che avessero trovato pace nel monastero di Commercy, sono decimate dalla peste e dalla carestia.

Ma il DIO DELLA CARITÀ aveva un suo progetto che doveva nascere nel dolore e nella sofferenza per dimostrare che l’Amore trasforma il più arido deserto in un giardino fiorito.

Il 2 luglio 1639 a Rambervillers madre Catherine veste l’abito di novizia benedettina e l’11 luglio 1640 emette i voti.

Sentiva appagato il suo bisogno di umiliazione e mortificazione intima e aveva trovato la solitudine, il silenzio e il nascondimento.

La guerra si riaccende e con essa anche per le monache tornano le peripezie, i disordini, la vita raminga senza una meta.

Il 30 agosto del 1641 san Vincenzo de’ Paoli, inviato da Dio, le salva dalla miseria e dalla morte e le fa accogliere nell’Abbazia di Montmartre.

Suor Catherine cambia il nome in Mectilde del Santissimo Sacramento.

Inizia un periodo intenso di incontri con anime elette di spiccata ed elevata spiritualità, che lentamente ma decisamente l’aiutano a discernere la volontà di Dio e a capire il progetto che il Dio della carità aveva su di lei.

Attimi di luce e di buio. Visione chiara di un disegno divino accompagnata dalla invincibile convinzione della propria indegnità.

Alti Prelati, semplici anime, amici e amiche con grande ammirazione e anche determinazione spingono la Madre a fondare un nuovo istituto e senza averne consapevolezza – se non un istintivo intuito – offrono una preziosa collaborazione al Progetto che la divina Provvidenza andava tessendo.

Sei l’Emmanuele che oltre ad essere la vittima immolata per riparare le nostre colpe, rimane accanto a noi quale nostro divino Amico, alimento e sostegno nella vita e nella morte.

Nel 1653, a trentanove anni, dopo ventidue anni di vita religiosa, trascorsi in una serie di enormi disagi e pericoli, nella piccola casa di rue du Bac, povera a misera come la grotta di Betlemme, in cui Gesù voleva rinascere ancora una volta come dono per la chiesa e per l’umanità, madre Mectilde inizia l’opera che Dio voleva.

E, come a Betlemme, i pastori accorrono illuminati da una grande luce, così gli amici e i benefattori di madre Mectilde si adoperano perché da quella grotta la luce si espandesse dovunque.

E la luce era il Santissimo Sacramento, Gesù Eucaristia che continuamente si immola per riparare i nostri peccati e, senza stancarsi mai, rimane accanto a noi come amico, sostegno, alimento, gioia, forza, luce, conforto nella vita e nella morte.

Madre Mectilde ne aveva fatto l’esperienza.

La sua fede era stata provata come oro nel crogiolo. Si decide e diviene fortemente motivata e determinata.

Il volere di Dio deve compiersi.

Non finiscono le sue prove interiori che l’accompagnano fino alla morte, ma esse non possono disturbare il progetto di Dio.

È il perdersi completamente in Dio.

Non guardarsi ma guardare Dio.

ADORARE E ADERIRE.

Ciò che conta è la volontà di Dio.

Ma che cosa offrire?

Ti offriamo, o Gesù, tutto l’amore del nostro povero cuore, invero spesso infedele, malgrado il desiderio e la volontà di bene che lo pervade.

L’amore vestito di povertà e verità è l’unico grande dono che l’uomo può offrire per dire grazie alla ricchezza infinita dell’Eucaristia.

È l’amore che nasce da un sentimento profondo di umiltà, un amore senza pretese, senza illusioni, come lo sguardo di un bambino stupito, felice, incantato dinanzi alla bellezza vera, alla bellezza pura. È l’amore che conosce cosa significa l’indegnità, l’infedeltà, la fragilità del cuore umano, che testimonia l’infinita misericordia di Dio, Padre che scruta l’orizzonte e attende, semplicemente attende, il ritorno del figlio per abbracciarlo e far festa.

Perciò perdona, o misericordioso Salvatore le nostre quotidiane debolezze ed incapacità, e glorifica la tua clemenza richiamando i fratelli che errano lungi da te per le vie del male e trascinano, purtroppo altre anime con sé.

Solo Dio sa perdonare.

Il perdono dell’uomo è solo una piccola sbiadita immagine della misericordia divina. Madre Mectilde chiede perdono per le quotidiane debolezze ed incapacità. Tutte le anime grandi hanno avuto in dono da Dio la percezione esatta della loro piccolezza e fragilità nello specchio della santità e perfezione di Dio.

E la storia della Chiesa insegna che questa consapevolezza è stata continuamente fonte di sofferenza e consolazione.

Sofferenza per trovare la forza di dire sì al progetto di Dio.

Consolazione per sentirsi abbandonati nel Suo amore.

E la gloria di Dio è nella sua clemenza quando, senza stancarsi mai, bussa alla porta e attende.

Affidiamo alla SS. Madre tua e nostra, il rinnovato impegno di adorazione e riparazione verso questo ineffabile Mistero della tua Presenza Eucaristica

In coerenza con il grande amore alla Vergine Maria e alle sue profonde convinzioni, madre Mectilde affida a Lei come Madre di Gesù e nostra il delicato impegno di adorazione e riparazione.

Ella diceva «Come Gesù ci offre al Padre suo, così Maria ci dona a Gesù... nessuno può andare a Gesù se la sua SS. Madre non ve lo conduce».

La protezione della Madonna, quindi, è la via più sicura per perseverare nell’impegno di adorazione all’ineffabile mistero dell’Eucaristia.

Perciò, nel coro di ogni Monastero delle Monache Benedettine dell’Adorazione Perpetua, il posto di onore è dedicato a lei. Madre, Sovrana, Celeste Abbadessa.

Il custode di quella casa che diviene Sua, e come a Nazareth, intima, nascosta, povera e preziosa per la ricchezza e la bellezza di Dio, non poteva che essere Giuseppe, uomo giusto e amato da Dio.

Certi che potremo un giorno con i tuoi Angeli e i tuoi Eletti, continuare a ripetere nel gaudio dell’eterna dimora: Lodato e adorato il SS. Sacramento dell’Altare!

«Morrò con questa certezza, ed è la mia gioia, che l’Istituto è nelle mani della Santa Madre di Dio. Ella ama quest’opera, è opera sua, lo saprete in cielo» (M. Mectilde).

Madre Mectilde si spegne e raggiunge il cielo il 6 aprile 1698.

Nell’eterna dimora continua l’inno dell’adorazione e riparazione, libera da ogni pena, dal peso di un’umanità splendida e virtuosa ma anche fonte di tante sofferenze e angosce.

Guarda con meraviglia la sua splendida Famiglia, vigile, generosa, prostrata dinanzi al «Sole» della sua vita, ed in quella luce, finalmente, si perde e si confonde, si annulla, sotto lo sguardo della Madre di Dio.