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Deus absconditus, anno 93, n. 4,  Ottobre-Dicembre 2002, pp. 38-40

 

Sr. M. Cecilia La Mela osb ap Monaca del Monastero «San Benedetto» di Catania.

L’amicizia spirituale nell’epistolario di Madre Mectilde

L’amicizia è un valore grande, ma è prima di tutto un dono del Signore; essa è una forza vitale che accompagna lungo il cammino della vita ed è occasione di crescita e di confronto.

Le pagine della Sacra Scrittura sono ricche di riflessioni sull’amicizia, in particolar modo il libro dei Proverbi, e di grandi figure di amici, basti per tutti il sincero affetto che legava Davide all’amico Gionata, ma è soprattutto Gesù l’Amico per eccellenza. Lui che sa amare teneramente i suoi discepoli e che piange davanti alla tomba di Lazzaro, Lui che ci ha detto di non chiamarci più servi ma amici e che non c’è amore più grande del dare la vita per i propri amici.

L’amicizia spirituale ha avvicinato in uno stesso ideale molti santi: Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, Francesco e Chiara e tanti ancora. Anche madre Mectilde de Bar ha fatto forti esperienze di amicizia e le ha sapute trasmettere con freschezza, tanto che dalla sua esperienza possiamo ricavare una ricchezza di insegnamenti, ma soprattutto la possibilità di indagare i segreti del suo cuore, le sue emozioni, le sue esigenze affettive, il delicato tocco di sentire e vivere l’amicizia come un’avventura meravigliosa che porta a Dio.

Il nutrito epistolario che ci è rimasto è quanto mai illuminante circa i rapporti di amicizia che la Fondatrice coltivava con numerose persone, con alcune della quali aveva un rapporto immediato ma molto profondo, in modo particolare con Bernières, con madre Benoîte e con le contesse di Châteauvieux e di Rochefort. Con il primo il rapporto è intimo, e dalle lettere si scorge un’armonia di vedute e un’intesa spirituale veramente eccezionali. Scrive la Madre:

«La mia anima ama e predilige la vostra più intimamente, più cordialmente e fortemente che mai...La mia anima sente una grande tenerezza per la vostra» (5 novembre 1648).

Si tratta di due anime mistiche e concrete allo stesso tempo, di due spiriti forti, volitivi, decisi e combattivi, nei propri ideali.

Anche la madre Benoîte è un’anima santa, anche se non della statura della de Bar, una persona cui la Madre affida le sue ansie ma anche le sue conquiste, i suoi progetti e la capacità di affidarsi totalmente alla volontà di Dio. Con le contesse, soprattutto con quella di Châteauvieux, c’è un rapporto di direzione spirituale, uno scambio da maestra a discepola, ma intenso e ricco di sentimenti.

Se si leggono con attenzione queste lettere vi si scorge una progressiva maturazione del sentimento dell’amicizia che madre Mectilde scopre sempre nuova sotto la luce della fede e del rapporto con Dio.

La Madre Fondatrice è una donna appassionata, ricca di una grande carica umana, raffinata nei gusti ed esigente nella vita spirituale; il suo nome è conosciuto anche negli ambienti più in vista della società parigina ed è punto di riferimento non soltanto per le religiose ma anche per molti laici. Il modo di vivere l’amicizia è determinato dal suo cammino di fede e, anche nei rapporti umani che più le sono consoni e graditi, cerca sempre la gloria di Dio, Amore al di sopra di tutti gli amori. Ella prova gusto a stare con quelle persone cui si sente legata da particolari affinità elettive, non disdegna la conversazione ed è consapevole di esercitare un forte ascendente sui suoi interlocutori. E’ una donna saggia, colta, ma prima di ogni cosa è una monaca, sobria, decisa, afferrata tutta da Cristo e ancorata in Lui, ed è l’amore di Cristo che ella trasmette e rafforza nei cuori di chi l’accosta.

La Madre tante volte, nei suoi scritti, parla di distacco, di un amore spirituale e spiritualizzato, ma questo non esclude che ella sapesse amare con tutta la carica della sua femminilità, l’intensità dei suoi sentimenti, anzi, proprio per questo suo modo di amare, la sentiamo vicina al nostro bisogno di amicizia, al naturale sentimento del dialogo, della comprensione, della condivisione. Dio incarnandosi ci ha voluto dire che l’umano è un dono, che i sentimenti sono preziosi, che amare ed essere amati è fondamentale per ogni uomo. L’amicizia per essere vera deve essere umana e divina allo stesso tempo, perché Gesù è vero Dio e vero uomo e ama la terra come ama il cielo. L’amicizia spirituale non vuol dire estraneità dai sentimenti umani, dall’umano bisogno di affetto, ma è sublimazione di essi, è il giusto valore, il modo corretto di impostare qualsiasi rapporto amicale.

Questo equilibrio è stato pienamente raggiunto da madre Mectilde. Ella ha saputo fortificare talmente i suoi rapporti di amicizia fino a renderli saldi, autentici, senza tornaconto, disinteressati, gratuiti sino al dono pieno di sé. La schiettezza, si può dire, è stata la caratteristica principale del suo modo di essere amica, una chiarezza di principi veramente eccezionale. Lei ha capito che essere amici vuol dire anche pensarla in modo diverso ma sintonizzarsi sulla stessa onda di fede. L’amicizia è un tesoro che va custodito, va coltivato, esso esige la promozione umana, la gratificazione degli interessi, la solidarietà nelle pene, la condivisione della gioia. Non si vive accanto ad una persona solo perché ci è simpatica o perché la sua presenza soddisfa il nostro bisogno di riconoscimento: l’amico è capace di assistere in silenzio agli sbagli dell’alto, sa aspettare il momento opportuno per intervenire, sa crescere e rettificare la sua condotta se sollecitato dall’amico. Per l’amico si deve essere disposti a perdersi nel senso di darsi, senza pretendere che l’altro ricambi con la stessa misura.

Scrivendo alla Contessa di Châteauvieux così si esprime:

«Se Dio vuole che io sia la vostra madre, vuole anche che voi siate mia figlia in Gesù Cristo. In Lui io vi avrò generato; per sua virtù io vi formo, per Lui, senza mai pretendere per me alcuna soddisfazione» [1].

Amicizia è lasciare respirare l’altro, è lasciar essere l’altro, è amare l’altro non per se stesso ma in vista di Dio e del suo progetto di comunione. Amare l’amico è non pretendere da lui nessuna esclusività ma aprirlo alla vita e alla dimensione fraterna con ogni uomo. Un amico dice sempre la verità, anche quando questa può far male, perché sa che l’amicizia esige soltanto di essere rispettata nelle pieghe più profonde della sua natura umana e divina insieme.

Tutto questo lo ha vissuto e raggiunto madre Mectilde de Bar, lei che non è venuta mai meno al suo ideale di rettitudine interiore, di trasparenza, di carità. La sua guida saggia e l’autentico spirito di discernimento le hanno permesso di portare i suoi amici ad alte vette spirituali con un distacco che non è disinteresse o affievolimento dell’affetto, ma un amore talmente grande che è capace di ogni sacrificio, anche la rinuncia all’amore stesso, purché l’altro sia felice.

Ancora alla contessa di Châteauvieux:

«Dopo tutto, io vi devo perdere nel beneplacito di Dio: voi appartenete più a Gesù Cristo che a me, io non vi possiedo che per rendervi e sacrificarvi a Lui. Non intendo possedervi in altro modo, né rendermi proprietaria di ciò che è costato il sangue di Gesù Cristo, che la sua Provvidenza mi affida» [2].

Quando l’amicizia arriva a questo totale dono di sé e dell’altro a Dio, allora non occorrono più parole, il silenzio diventa più eloquente di qualsiasi discorso, soltanto il cuore continua a battere per la persona amica vivendo una specie di morte alle proprie esigenze purché l’amico, la persona amata, abbia la vita e sia libero di vivere.



[1] Citato in V. Andral, Catherine Mectilde de Bar. Un carisma nella tradizione ecclesiale e monastica p 226.

[2] Ibidem, p. 227.