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Deus absconditus,  anno 86, n. 2, Aprile-Giugno 1995, pp. 30-33

 

Prof. Luigi Negri

Leggendo Madre Mectilde de Bar Facendo eco alla voce di M. Mectilde

 

Il 9 gennaio 1995 tornava alla Casa del Padre il Prof. Luigi Negri che, per diversi anni, ha pubblicato su questa nostra rivista, bellissimi commenti alle lettere di Madre Caterina Lavizzari. Era suo desiderio giungere alla pubblicazione dell’Epistolario della nostra Serva di Dio di cui aveva saputo approfondire la spiritualità, facendone emergere la insondabile ricchezza che uno sguardo meno penetrante non avrebbe saputo scorgere. Ora che vive nella luce della « Beata pacis visto », ci sembra molto bello far conoscere agli amici di « Deus Absconditus » i meravigliosi segreti del suo cuore. Per tanti anni si dedicò all’insegnamento: compito che adempì con scrupolosità, perché: trasmettere, educare, era la sua passione, impegnato, altresì, ad aiutare il fratello Sacerdote che – con cuore paterno – ancora oggi è il cuore e la guida del « Villaggio del Ragazzo » a San Salvatore di Cogorno (GE), a cui fanno capo migliaia di giovani di ogni età ed estrazione. Il Professor Negri era venuto a contatto della nostra comunità per la presenza tra noi di una sua cugina monaca, e anno dopo anno si era letteralmente innamorato della spiritualità del nostro Istituto e della Fondatrice Madre Mectilde de Bar. Passando dall’ammirazione all’assimilazione, questa spiritualità era ormai divenuta il tessuto della sua vita, vita della sua stessa vita. In questa rubrica iniziarne la pubblicazione delle paginette manoscritte che ogni sera scriveva e poi inviava alla Madre della comunità per avere da lei una guida spirituale, in tali pagine vi è tutta la sua anima. Anima semplice e limpida di fanciullo che si faceva sempre più piccolo e « spoglio » per vivere il « puro amore ». Vogliamo così offrire un esempio e un aiuto alle nostre carissime Oblate secolari e a quanti vivono del palpito eucaristico del monastero. Esempio di un Laico che ha saputo fare del suo cuore la «cella» del monastero e del monastero l’attrattiva continua perché simbolo del Tabernacolo ove Cristo-Eucaristia vive per sempre.

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«Noi non ci stupiremo quando ci troveremo scartate, disapprovate, umiliate, calunniate e completamente annientate secondo l’ottica mondana; questo deve essere il nostro paradiso terrestre, la nostra gioia e consolazione» (p. 212) *.

Due ottiche si fronteggiano: quella del «mondo» e quella di Dio.

Certo la nostra natura ferita ci porta a desiderare la soddisfazione, scoprendola in ciò che ci accarezza.

Ma la presenza del dolore, il rinnegamento, la mortificazione interiore (nel senso etimologico del termine: mortificazione da morte, morte al nostro egoismo), per quanto possano avere l’apparenza di « morte », sono il tramite attraverso il quale ci apriamo alla vita vera.

La Madre Fondatrice lo dice con vigore e incisività.

Noi (parlo della mia esperienza di laico) ne rimaniamo «feriti».

Ma è una ferita salutare, come quella che fa il chirurgo quando incide sul nostro corpo per curare l’infezione che minaccia di propagare.

O Gesù Eucaristia

Anche Tu ti presenti a noi come inerzia, come non-Dio, come non-Uomo, Come non-essere vivente, ma come piccola cosa insignificante: l’ostia. In questo tuo sembrar-nulla, noi vogliamo leggere (cogliere) il senso della nostra vita.

Quanto più poveri ci ritroviamo, tanto più dobbiamo imparare che Tu – in questa nostra povertà – imprimi il sigillo della tua Grazia.

Quanto più mi cancello (ma è tanto difficile!), tanto più Tu mi assumi in Te.

Mi rinnego per scoprire Te in me. Mi lascio crocifiggere, per risorgere con Te. Essere «vittima» non è attestazione di « vittimismo » romantico.

Tutt’altro! È segno di risurrezione, sigillo di vita nuova.

Ecco perché la Madre chiama la vittima col nome, purissimo e amorevolissimo, di sposa.

Sposa tua, o Gesù, non solo la claustrale – non solo la donna che ti ama e si dona a Te – ma, più intimamente ancora, ogni creatura (donna o uomo che sia) che con infinita oblazione e tenerezza reclina il proprio capo sul tuo petto, o Gesù,

E un petto piagato – il tuo – che ci « macchierà » di sangue.

Ma è questo tuo Sangue che ci ha redenti, e che continuerà a purificarci, a trasfigurarci, a santificarci, a farci « uni » con Te, o Cristo Gesù!

«Non è piccola grazia che voi conosciate la vostra via; infatti conoscendola non potrete più mancare, a meno di cadere in una infedeltà inescusabile. Dovete darvi a Dio così come egli vi chiama» (p. 213).

O Gesù Eucaristia, sii Tu il mio Maestro. Insegnami a vivere «una vita di morte, una vita che non sembri più la mia vita, ma una vita tutta nascosta in Te» (M. Mectilde).

Fammi conoscere a quale livello di nascondimento e di rinnegamento Tu vuoi condurmi.

Certo, io non te ne chiedo – o Signore – una conoscenza anticipata. Ma guidami a camminare sulle orme dei tuoi passi, così come a Te piace. Quanto più io mi affido a Te, in umiltà profonda, e in obbedienza sincera, senza curiosità alcuna, tanto più potrò essere certo di camminare sotto il tuo sguardo, orientato da te, attratto da te, assorbito in te, o Signore Gesù. [...(p.214)]

O Dio, tu dunque sei il Signore. Tu solo sei il «Padrone». La parola può suonare dura, ma corrisponde alla realtà, e in certe situazioni qualcuno può sperimentare questo rigore. Ma è un predominio d’Amore, d’infinito Amore, di divino Amore.

E noi dobbiamo essere riconoscenti per questa nostra schiavitù d’amore nei tuoi confronti.

Se riflettiamo bene, è così bella questa prigionia d’Amore.          

Essere nelle tue mani. Essere modellati da Te, subendo violenza – talora – dalla rudezza delle tue dita, che vogliono imprimere a fondo in noi il segno del tuo dominio.

Essere « tuoi ». Tuoi fino nell’intimità segreta della nostra anima.

Sì, tuoi prigionieri per sempre!

Ma c’è anche una forma di prigionia meno esaltante. Essere lasciati in un canto. Non sentire la tua presenza. Accorgerci che Tu dici parole d’amore alle altre anime e che a noi, Tu non rivolgi, per un certo periodo, neppure uno sguardo.

Questo può essere (o apparire) avvilente. Ma non dobbiamo dimenticare che Tu sei la Sapienza infinita e che la tua Sapienza non è mai senza Amore.

O Gesù Eucaristia

Tu vedi come io sto guardando sempre me stesso.

Mi sto confrontando con gli altri. Questo dipende dal mio egoismo, dal mio egocentrismo.

E invece non può durare così! Se io desidero amarti, se cerco la fiamma del tuo Amore, io devo abbandonarmi totalmente in Te.

Devo morire a me stesso: Gesù della Cena e della Croce. Gesù della Risurrezione.

Tu mi scegli. Io desidero di essere scelto. E poi – quasi quasi – non mi piace lo stato in cui Tu mi hai posto.

O Signore, quale pazzia da parte mia!

No, Tu sei il Signore, Tu sei il Padrone, Tu sei l’Artefice. Tu solo puoi sapere quale arte ci vuole per farmi sempre più completamente «prigioniero del tuo Amore». Amen. Amen.

Gesù! Solo in Te è la nostra vita. Ora e sempre. Sempre di più !

Sempre maggiormente «sepolti in Te».

Deo gratias !

«Poiché le religiose di questa casa non possono esimersi dall’essere le vittime di Gesù nell’ostia, è indispensabile che esse facciano tutto il possibile per offrirgli tutto quello che egli pretende da loro, e soprattutto che vivano della sua vita nascosta e pienamente annientata...» (p. 209).

La vocazione dell’adorazione attuale – cioè perpetua, momento per momento – alla SS. Eucaristia è un privilegio gratuito da parte di Dio.

Dio chiama chi rientra nell’arcano del suo disegno. Nessuno è degno.

Anzi i chiamati sono spesso i meno degni. Ma la responsabilità dell’adesione da parte dell’anima è proporzionale appunto a questa gratuità del Signore.

Sono – poniamo – il più indegno. E Dio mi chiama. Non posso tirarmi indietro. .       

Altre anime ardenti gli dicono: – Chiamami, o Signore! –      

Ma Gesù segue un piano che rientra nel mistero della volontà del Padre.

O Gesù Eucaristia

Gesù Vittima eucaristica. Tutti siamo indegni...

Ma se tu mi chiami io debbo rispondere – adsum! – Eccomi, o Gesù.

Ma io non appartengo alla schiera delle vergini. Io sono un uomo di sesso maschile, e sono vecchio.

Non posso dunque aspirare a questo Monastero.

Ma se tu vuoi – e quanti segni ci sono perché io capisca che Tu lo vuoi davvero! –

La mia povera anima, tutto il mio miserabile essere, si prostra ai tuoi piedi.

C’è modo anche per me di vivere questo ultimo scorcio della mia esistenza nel nascondimento e nell’annientamento.

Tu vuoi aiutarmi – o Signore – a rinnegare tutte le presunzioni, vanità e ambizioni della mia vita.

Io mi offro a Te con umiltà profonda, riconoscendo la mia assoluta indegnità.

Per questo la mia gratitudine è senza limiti.

Il mio amore possa essere alimentato dal Fuoco della tua scelta, del vigore della tua chiamata.

In manus tuas Domine

Amen Amen

 



* Catherine de Bar, Une amitié spirituelle au grand siècle, Téqui, 1989.