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Deus absconditus, anno 97, n. 3, Luglio-Settembre 2006, pp. 33-36
Sr. Maria Cecilia La Mela osb di ap*
Sole, anima, cielo, terra...:
significato letterale e allegoria in
madre Mectilde de Bar
Il vocabolario e la struttura linguistica dei vari scritti della nostra Madre Fondatrice appaiono ricchi e ben organizzati, quasi che la scelta dei termini e la loro composizione sia funzionale al messaggio che l’autrice vuol far passare laddove la parola si pone a servizio del concetto, del pensiero dominante. Da un’attenta ricerca filologica, avvalendoci degli strumenti dell’analisi del testo, emerge l’individuazione di un felice connubio all’interno dello stile colloquiale, orale e scritto, di madre Mectilde. Ella articola l’esposizione dei vari argomenti combinando insieme spontaneità e ricercatezza stilistica mentre, quest’ultima, è elaborata con competenza in funzione di un approccio linguistico attento alla salvaguardia dell’importanza e della semplicità, allo stesso tempo, di quello che si vuol dire.
Numerose sono le figure retoriche rintracciabili nei molteplici scritti: alcune ritornano con insistenza forse in seguito alla sperimentazione, da parte della Madre, della loro efficacia e incisività. Più volte un concetto viene associato ad una immagine: varie sono infatti le similitudini, le strutture chiastiche, il crescente utilizzo di termini o verbi simili ma di progressiva espressione, ossia l’utilizzo del climax, e soprattutto le allegorie. Sorge immediata una domanda più volte suscitata da una lettura critica dei testi: dove e come ha attinto Madre Mectilde tanta erudizione? Una cosa è certa: siamo di fronte ad una donna, e sottolineo donna del ‘600, di doti intellettive e culturali non comuni, ma soprattutto dotata di una creatività inesauribile e geniale potenziata dalla sfera spirituale e significativamente orientata dalla propria vita interiore e dal profondo rapporto con Dio. È il carisma proprio della Madre ad articolare il suo linguaggio!
Mi limito a prendere in esame tre testi di alto contenuto mistico che, letti con attenzione anche riguardo all’utilizzo dei vocaboli e delle immagini, si aprono come una finestra sugli spazi dilatati di una spiritualità fresca, vivace, luminosa. La prima conferenza è dell’Avvento 1663. Vi leggiamo:
«Spesso ci si adagia e si agisce secondo il proprio umore, e questo produce nell’anima intemperie e nuvole che ci impediscono di scorgere il bel Sole di giustizia che sta nel cielo dell’anima nostra come nel suo firmamento. E non è sorprendente, sorelle, che pur portando in noi quella splendida fiamma, viviamo nelle tenebre e non veniamo riscaldate da quel fuoco celeste che infiamma tutti i serafini?» [1].
Tre parole vorrei evidenziare: sole, anima, firmamento, ricorrenti in diversi altri scritti ancora. Nella conferenza, catalogata con il titolo L’anima tempio di Dio, in data 1664, è sviluppato lo stesso concetto tramite l’uso degli stessi termini e immagini:
«Ogni anima possiede un suo edificio particolare nel proprio interno. Sì, sorelle mie, l’anima è un tempio nel quale Dio dimora [...] Noi abbiamo un cielo nell’anima nostra, e le anime sono altrettanti cieli nei quali Dio ha posto la sua dimora» [2].
E al capitolo terzo de Il vero spirito, a proposito delle tre dimore leggiamo:
«La prima dimora è la casa celeste, che noi chiamiamo il cielo empireo, dove Dio abita con tutta la sua grandezza e magnificenza [... ] La terza casa di Dio è la sua abitazione nelle nostre anime» [3].
Anche qui sottolineo cielo e anima.
È chiaro che, nei testi presi in esame, l’uso dei termini sembra prestarsi al gioco di Madre Mectilde che, sapientemente, passa dal significato letterale della singola parola al suo significato metaforico e allegorico, e tale passaggio è così immediato che, nell’interscambio, i vari termini diventano sinonimi. Dire anima e dire cielo è, in Madre Mectilde, fare riferimento alla stessa cosa ad un tempo e rimandare, altrove, al loro significato proprio. È come se il termine astratto si concretizzasse in quello reale e l’immagine evocata non fosse qualcosa di evanescente, bensì di molto concreto. La Fondatrice, usando un sillogismo, non sta dicendo altro che Dio abita nel cielo, ma abita anche nell’anima, dunque l’anima è un cielo, il cielo. Non bisogna, pertanto, cercare Dio altrove, fuori da se stessi, in alto o in un luogo etereo, ma nell’anima. Un concetto, questo, caro a Sant’Agostino, che diceva: «Portando il Dio del cielo, noi siamo cielo».
In altre conferenze la Madre afferma, tuttavia, che in un’anima che fa resistenza alla grazia e non è in sintonia con il volere divino, Gesù vi si trova come in un carcere, in preda ad una solitudine e prigionia tremende.
La stessa applicazione terminologico-concettuale va fatta tra i vocaboli sole e Dio con gli attributi consequenziali, ossia, fiamma, fuoco, riscaldare, infiammare, in contrapposizione a tenebre che sono metafora del peccato. La successione sole materiale - Sole divino è immediata nella similitudine operata da Madre Mectilde:
«Voi sapete che l’anno conta differenti stagioni, e che i giorni dell’anno si susseguono, benché non si assomiglino: alcuni sono freddi, altri caldi; alcuni belli e luminosi, nei quali godiamo in pieno il sole che ci riscalda con i suoi splendidi raggi, mentre altri giorni sono tenebrosi con l’atmosfera carica di brina umida, o di nebbia, che sale dalla terra, ed è così spessa da impedirci di scorgere lo splendore del sole e di sentire il calore dei suoi raggi. Eppure sapete che tutto ciò non impedisce che il sole resti stabile e permanente nel cosmo e vi continui la sua corsa malgrado tutti questi mutamenti e circostanze del tempo. È così per il Sole di giustizia, (termine sicuramente preso da Malachia 3,20 ndr) il quale rimane nel Cielo dell’anima a compiere l’opera sua, anche se le passioni di questa, le sue tentazioni e altro siano in rivolta e facciano gran baccano nella sua parte inferiore» [4].
La conseguenza logica del paragone è diretta: Dio sta nell’anima come il sole sta nel cielo! Così come le passioni che vengono dalla parte inferiore dell’uomo sono poste in analogia con la brina e la nebbia che salgono dalla terra.
E ancora nei testi presi in esame vorrei analizzare altri due termini: terra e tesoro.
Quanto al primo leggiamo:
«La fede ci insegna che Dio è immenso e riempie il cielo e la terra della sua maestà» [5],
e che
«l’anima nostra è un piccolo mondo: possiede un Cielo e una terra: la parte superiore (spirituale) è il suo Cielo, e la inferiore (naturale) è la terra che è costituita dai nostri sensi, dalle nostre passioni, dai nostri umori, ecc. » [6].
L’analogia dei termini è subito fatta: la terra è la materialità, il substrato fisico dell’essere umano. Non sempre contrapposta al cielo, ossia all’essenza immateriale che è l’anima, la terra non è altro che l’umanità, quell’umanità che Dio stesso ha voluto far sua nell’Incarnazione. La terra, la corporeità, fisicità, umanità, pur essendo spesso un limite, non vanno viste nell’accezione pessimistica propria del giansenismo, ma come luogo dell’incontro di due esistenze: la dimora di Dio-Sole nel suo Cielo, nell’anima. E mi piace qui riportare una frase di Santa Ildegarde non molto lontana da questa visione antropologica di Mectilde de Bar: «L’uomo è il recinto delle meraviglie di Dio».
E a proposito del tesoro:
«Non c’è bisogno di cercare Dio con una molteplicità di pratiche. Chi cerca non possiede. Dobbiamo invece gioire di questo tesoro infinito con pace e dolcezza di spirito» [7].
E ne L’anima tempio di Dio:
«Perciò può dirsi che l’anima in grazia possiede nel suo fondo un tesoro nascosto, e questo tesoro non è altro che Dio. Se mi chiedete che cosa occorre fare per trovare questo tesoro, vi dirò, sorelle mie, che ognuna di voi ha una sua via personale per trovarlo [... ] Abbiamo un cammino da fare per giungere a trovare quel divino tesoro che è Gesù Cristo, ed ottenere che si manifesti all’anima»[8].
E l’esegesi di questa sua riflessione Madre Mectilde ce la fornisce nel capitolo de Le tre dimore con l’espresso rimando al brano evangelico del tesoro nascosto nel campo [9].
Ovviamente il tema centrale di queste riflessioni mectildiane è lo sviluppo teologico della inabitazione della Trinità, mediante il battesimo, in ciascuna anima. Ma non mi soffermo, perché corro il rischio di intasare poche pagine con troppi contenuti. Preferisco lasciare a me stessa e a chi legge il tempo di contemplare il Sole che illumina il nostro cielo e, rubando le parole di Madre Mectilde in altro contesto, direi che «ce n’è abbastanza! » [10].
[1] CATHERINE MECTILDE DE BAR, L’anno liturgico, ed. Glossa, Milano 1997, p. 41.
[2] CATHERINE MECTILDE DE BAR, Capitoli e conferenze, Alatri 1998, p. 34.
[3] CATHERINE MECTILDE DE BAR, Il vero spirito, Ronco di Ghiffa 1980, pp. 31, 33.
[4] CATHERINE MECTILDE DE BAR, Capitoli e conferenze, cit., pp. 34 - 35.
[5] CATHERINE MECTILDE DE BAR, L’anno liturgico, cit.. p. 42.
[6] CATHERINE MECTILDE DE BAR, Capitoli e conferenze, cit.. pp. 34 - 35.
[7] CATHERINE MECTILDE DE BAR, L’anno liturgico, cit., p. 42.
[8] CATHERINE MECTILDE DE BAR, Capitoli e conferenze, cit., p. 36.
[9] Cfr. CATHERINE MECTILDE DE BAR, Il vero spirito, cit., p. 34.
[10] Citato in V. Andral, Catherine Mectilde de Bar. Un carisma nella tradizione ecclesiale e monastica, ed. Città Nuova, Roma 1988, p. 106.