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Deus absconditus, anno 71, supplementum ai nn
3-4,
1980, pp. 63-71
Sœur
Marie-Véronique
Andral, O.S.B ap
In quest’anno 1980: M. Mectilde ci mostra la Regola di S. Benedetto
Madre Mectilde de Bar ha professato la Regola di san Benedetto in un monastero che vive, e in tutto il fervore, la riforma di Dom Didier de la Cour[1]. Tale riforma ebbe inizio a Saint. Maur de Verdun, con conferenze sulla Regola, l’instaurazione della triennalità delle Superiore, la pratica della povertà e della vita comune. È da Saint Maur de Verdun che vennero il 29 maggio 1629 le fondatrici di Rambervillers.
Nel 1637, in quel nuovo monastero vi sarà eletta Priora la prima postulante, Madre Bernardina, che accoglierà poi Madre Mectilde, allora chiamata, Madre di San Giovanni. La prima preoccupazione di Madre Bernardina fu di mettere fra le mani della Madre di San Giovanni, la santa Regola.
A Rambervillers erano fiere di non avere particolari Costituzioni, ma di sforzarsi solo di vivere la Regola.
«In questa tranquilla solitudine, la Madre di san Giovanni aveva tutto il tempo di studiare la Regola di san Benedetto, e vi si applicò con ardore nuovo. Più la conobbe, più si convinse che era questa che doveva preferire»[2].
«La fedeltà con la quale questa fervente comunità osservava la Regola di san Benedetto gliela fece grandemente stimare e le ispirò un rispetto profondo per l’intero Ordine»[3].
Madre Mectilde stessa dirà:
«Mi sono sentita grandemente attratta per l’Ordine di san Benedetto fin dal mio primo entrare in questo monastero e questi sentimenti si sono consolidati ogni giorno più, attraverso lo studio della Regola»[4].
Durante il noviziato «ella lesse e rilesse senza posa la S. Regola che in un primo tempo aveva letto solo per sommi capi. L’attività del suo spirito vi si concentrò; l’approfondì e giunse a possederne perfettamente la lettera e, soprattutto a ben penetrarne lo spirito. Si trovò così in grado di tenerne sapienti lezioni quando la Provvidenza la chiamò al governo delle anime»[5].
Il biografo di Madre Mectilde aggiunge che durante il suo soggiorno in tutte le abbazie riformate, nelle quali era passata, ella aveva avuto una cura particolare di documentarsi su tutto ciò che riguardava la Regola; in particolare a Montmartre, dove l'Abbadessa riformatrice, Maria di Beauvillier, ne aveva fatto un celebre commento[6].
Quando Madre Mectilde viene chiamata a riformare il monastero di Caen, ella si mette subito a spiegare la S. Regola, confrontandola col Vangelo e con la vita cristiana.
Fra tutte le regole della Chiesa lei stessa conferma di non averne trovata una più adatta per innestarvi il suo Istituto.
Madre Mectilde ha ricevuto la Regola nel suo tempo, in quel gran movimento di riforma che, nato in Lorena, si è diffuso in tutta la Francia attraverso la Congregazione benedettina di Saint-Maur.
Madre Mectilde si è ispirata a Dom Claude Martin per i suoi «Esercizi spirituali», i quali sono una «pratica della S. Regola», vissuta però con ardimento e novità, con il carisma a lei proprio, rispondente alle necessità del suo tempo. (Da qui le «Costituzioni», «Il regolamento degli uffici», «Il Cerimoniale» e, più tardi, la «Giornata religiosa»).
Non possiamo qui entrare nei particolari del suo insegnamento; ci riserviamo solo di mettere in rilievo alcuni punti, che ce la mostrano in accordo col Concilio Vaticano II in merito al rinnovamento della vita religiosa.
1) Madre Mectilde ha riletto la Regola alla luce di Gesù nel Vangelo e nell’Eucaristia.
Su questa prospettiva ha redatto le prime Costituzioni del suo Istituto dove non si parla tanto di «leggi» da stabilire, ma di «Qualcuno» da contemplare e imitare:
a) Nel Capitolo dell’obbedienza ella pone le Suore davanti a Gesù obbediente fino alla morte e all’«augusto Sacramento che è il grande Mistero dell’obbedienza di Gesù Cristo».
b) Nel capitolo sul silenzio, dopo aver ricordato ciò che dicono S. Giacomo e Isaia, aggiunge: «Non cerchiamo altre prove che l’esperienza fatta dal Verbo incarnato nei 30 anni di Nazareth e nella sua Passione in cui preferì lasciarsi appendere alla Croce, piuttosto che rompere il Suo misterioso silenzio, anche se, con una sola parola, avrebbe potuto confondere i suoi nemici; nel SS. Sacramento inoltre Gesù è nascosto in un silenzio ancor più misterioso».
c) Nel capitolo sull’umiltà: «È questa vera umiltà che il nostro grande Patriarca ci insegna, e che ha lui stesso così fedelmente praticato riferendosi al nostro Salvatore adorabile, il Quale dice di imparare da Lui che è dolce e umile di cuore, e di cui S. Paolo dice che "si è annientato" vivendo una vita nascosta e umiliata sulla terra, e che ora vive sull’altare, sotto il velo delle specie».
Nel capitolo 33° «La povertà del Figlio di Dio sulla terra, che S. Matteo esprime in poche parole, è un esempio della povertà religiosa». E quasi in tutti i capitoli ella insiste, anche riguardo al vestiario: «Rivestitevi di Gesù Cristo».
Noi possiamo ascoltare questo insegnamento e rileggere la nostra Regola alla luce del Vangelo (come ci insegna Madre Mectilde), tenendo presente il modo di vivere del nostro tempo.
2) In Madre Mectilde c’è la costante preoccupazione di porre la vita monastica al centro della vita cristiana.
Tale rivalutazione del Battesimo e tale chiamata alla santità rivolta a tutti, sono ancora oggi sottolineate dal Vaticano II. Ne abbiamo già parlato. Ricordiamo soltanto il legame fra il Vangelo e la Regola : «Ogni giorno Madre Mectilde ci teneva la conferenza – riferisce una delle sue religiose – e cominciava a parlare sui grandi principi e le verità fondamentali della fede, perché voleva che l’edificio della perfezione venisse costruito sulle basi del cristianesimo. La spiegazione della S. Regola seguiva quella del Vangelo; e in terzo luogo ci parlava sui doveri del cristiano». In tal modo educa le sue figlie non solo all’osservanza della Regola, ma a una solida virtù[7].
3) Da qui nasce l’altra sua costante preoccupazione: l’insegnamento della dottrina per portare la luce della fede.
Così ella obbedisce all’abate di Barbery, che durante il suo soggiorno in Normandia le domanda di fare il Catechismo: «Il signor de Torp e l’abate di Barbery pensarono di impiegarla nell’esporre i misteri della fede. La parrocchia dipendeva dall’abbazia, ma i vecchi monaci non si erano curati di istruire il popolo. Molte donne e molte ragazze vivevano in un’ignoranza così profonda delle verità più essenziali della fede che non si osava ammetterle ai sacramenti. Molte, di età avanzata, non avevano fatto la prima Comunione e la vergogna le allontanava dal catechismo. Tale era il campo aperto allo zelo di Madre Mectilde. La cosa più difficile, all’inizio, fu di raggiungere queste tristi creature. Il loro carattere era rozzo quanto era incolto il loro spirito ed erano così selvagge che fuggivano quando ella si avvicinava. Madre Mectilde incominciò ad incontrarle ad una ad una, facendole venire la sera quand’era buio o al mattino, prima che facesse giorno.
A poco a poco la sua bontà, i suoi modi affabili e persuasivi le addomesticarono. Presto, attirate dalla sua dolcezza, non resistettero più alle sue parole commoventi e raccontarono a tutti ciò che esse avevano così accuratamente nascosto, ispirando ad altre il desiderio di udirla. La Madre Mectilde accoglieva con uguale benevolenza tutte quelle che si presentavano, partecipando alle loro pene, ascoltando le loro lamentele, consolandole nelle loro afflizioni, procurando elemosine alle più povere e medicine alle ammalate. L’affluenza diventò così grande, che nell’ospizio non c’era più spazio sufficiente per accoglierle. Fu così che oltre alle conferenze private che ella continuò a svolgere, la pregarono di tenerne alcune in pubblico, e la folla accorreva avida di ricevere i suoi insegnamenti.
«La mia occupazione, finché abiterò qui — scriveva a M. de Roquelay — sarà di fare il catechismo alle donne della parrocchia, tutte le feste e le domeniche. Domenica scorsa erano ottanta... ecco un’occupazione molto utile»[8].
Madre Mectilde fece la stessa cosa quando fu incaricata della riforma di Caen. Dopo aver fondato la vita monastica sulla vita cristiana, e la Regola sul Vangelo, «tutte le vigilie delle grandi feste, ella raddoppiava le conferenze e in ognuna di esse istruiva a fondo sul Mistero che vi si doveva celebrare, sempre con una capacità di persuasione che illuminava gli spiriti e penetrava i cuori. Nei giorni di Comunione, riuniva la comunità prima della Messa, per disporla, attraverso un’esortazione a ricevere degnamente Gesù; la stessa cosa faceva per il ringraziamento. Aveva una capacità unica di parlare di Dio, non ci si stancava mai di ascoltarla»[9].
In seguito, a Saint Maur, dopo la fondazione dell’Istituto, in tutte le sue Comunità, ella continua a istruire le figlie con conferenze che si ricopiano e si distribuiscono. Senza parlare della sua corrispondenza. Sia a Margherita di Lorena, per la quale compone un vero piccolo «anno liturgico», sia a una «Signorina» di cui non si conosce il nome, e che ella tratta con franchezza e libertà: le rimprovera la sua ignoranza, e le manda il «libro del battesimo» cioè il «Breviario» della Contessa di Châteauvieux, il suo «catechismo», diremmo noi.
Notiamo, tra parentesi, che questo «catechismo» che le sue figlie hanno così spesso ricopiato per loro uso, rimane sempre utile per capire la dottrina monastica ed eucaristica di Madre Mectilde.
4) Abbiamo visto che uno degli elementi della riforma monastica del suo tempo era la triennalità delle Superiore.
Ella ne ha visto i vantaggi e l’ha adottata. Ma c’è in Lei qualcosa di più tipico e che intuisce uno dei desideri del nostro tempo. Rileggendo «I Regolamenti» che sono come 1’applicazione e il prolungamento delle Costituzioni, si è colpiti nel vedere come Madre Mectilde presenti l’autorità quale umile servizio, come insista «sull’onesta libertà e il rispetto delle persone nelle relazioni di comunità, negli incarichi, nell’obbedienza». Il regolamento della Madre Priora è una meraviglia; è il suo ritratto e il frutto della sua esperienza. È una tradizione tipica dell’Istituto Mectildiano che si e fedelmente conservata. Notiamo solo alcuni brani :
«La Madre Priora deve considerare, come dice un Padre della Chiesa, che la bellezza del suo incarico consiste nel servire le sue sorelle con carità e nell’assoggettarsi umilmente a ciò che riguarda il bene e l’utile di quelle che le sono affidate. Se davanti agli uomini, come dice lo stesso Padre della Chiesa, ella è al di sopra delle sue sorelle per l’onore che le viene dalla sua autorità, davanti a Dio ella deve essere umile e come inginocchiata ai loro piedi»[10].
«Benché la Superiora debba la sua autorità alla Comunità, deve tuttavia far attenzione a non indebolirla con l’abbassarsi o col fare confidenze che le attirerebbero il disprezzo di chi le è sottomesso, ma deve pure guardarsi dal cadere nell’eccesso contrario, col dominare sul gregge che le é affidato. Nulla potrebbe recare maggior pregiudizio all’autorità di una Superiora che approfitti della sua stessa autorità, non tenendo conto che, secondo le parole di Gesù Cristo, sono solo i principi e i grandi della terra a trattare i loro sudditi con prepotenza e che non deve agire in tal modo fra coloro che professano di seguire il Vangelo perché il più grande deve farsi come il più piccolo e chi governa deve essere come chi serve. Bisogna dunque che la Superiora usi della sua autorità con moderazione, per renderla gradita, non usando che molto raramente il comando in termini formali... Il suo atteggiamento ordinario deve essere quello di pregare e di esortare con affetto, piuttosto che di comandare... Ella non tratterà mai le sorelle con parole rudi e sprezzanti, ma sempre con gentilezza, con gravità umile e modesta unita a una fermezza comprensiva e a una carità dolce e paziente per non spezzare la canna incrinata e non lasciar spegnere il lucignolo fumigante»[11].
Ecco l’eco del Vangelo e della discrezione benedettina. La Madre Priora non è che un «canale» fra Dio e le sue sorelle, che non trattiene nulla per sé e non agisce da sola, ma secondo lo spirito di Dio[12]. Non sopporterà che le si usi riguardi particolari (cella, abiti, nutrimento), ma si conformerà in tutto alla Comunità. Deve essere la più povera del monastero[13]. Madre Mectilde raccomanda alla Priora di usare il plurale (che non è necessariamente un plurale di maestà) ma plurale di umiltà. Parlando e scrivendo non darà l’impressione di far cose da sola, ma dovrà sempre parlare al plurale e a nome della comunità[14]. Non deve mai far nulla senza consiglio, in tal modo ciò che comanderà sarà meglio accettato. Nel nominare le responsabili delle diverse mansioni non ne nominerà alcuna senza chiedere prima il parere delle Suore, per scritto, anche fuori dal capitolo, di tale nomina[15].
Deve ascoltare anche le rimostranze, che non le sembrano valide, «assicurando di esaminare la cosa davanti a Dio»... Ascolterà le sorelle in tutte le loro domande con molta dolcezza, «non accordando, né rifiutando loro nulla, senza prendere un po’ di tempo per riflettere, specie quando si sentirà urtata dalle loro proposte e temerà che la cosa suggerita possa portare a un rilassamento, affinché le sorelle non attribuiscano al cattivo umore o a una risposta precipitosa ciò che devono solo attribuire allo zelo, all’amore per la regolarità, al desiderio sincero che ella ha della loro perfezione»[16].
Questo spirito di servizio, questo rispetto per l’altra sono richiesti anche alle responsabili delle varie mansioni del monastero.«Esse non saranno autoritarie con le loro aiutanti, non useranno mai parole ingiuriose nei loro riguardi, ma parleranno sempre gentilmente, le tratteranno con dolcezza e con santa cordialità, non esigendo per sé nessun servizio particolare. Le responsabili cercheranno di formare bene le loro aiutanti, e qualche volta affideranno loro anche le cose più importanti... saranno molto unite fra loro e saranno condiscendenti l’una verso l’altra»[17]. E più oltre: «La responsabile non deve disprezzare le cose più umili, ma fare piuttosto da sé queste cose, invece di ordinarle agli altri». «La nuova responsabile nominata manterrà il suo ufficio nello stesso ordine di prima, senza cambiar nulla di sua iniziativa. Se fosse necessario apportare qualche cosa, lo farà sempre col permesso della Madre Priora, per conservare quel rispetto, che le religiose devono portarsi le une verso le altre, e per preferire il giudizio altrui al proprio»[18]. «La Madre, da parte sua, lascerà alle responsabili una santa libertà di usare delle cose loro affidate e di prevenire le sorelle in tutte le loro necessità, a condizione che esse gliene rendano fedelmente conto e non facciano nulla senza informarla prima e dopo»[19].
Madre Mectilde ricorda «che le regole della carità sono al di sopra di tutte le altre, essendo giusto che ciò che è stato comandato per la carità sia anche lasciato e interrotto o cambiato in qualche cosa di più utile nell’interesse della stessa carità»[20.
5) Madre Mectilde aveva cura delle necessità della Chiesa del suo tempo.
È l’epoca della contro-riforma. Nelle sue lettere si osserva che ella si sforza di seguire le direttive del Concilio di Trento, come noi facciamo col Vaticano II. Il Concilio aveva insistito sulla realtà del Sacrificio eucaristico, sul ministero dei sacerdoti e invitava il cristiano alla Comunione quotidiana, e Madre Mectilde dice a questo proposito, che se il Concilio a questo semplice consiglio ai cristiani, ne avrebbe fatto un precetto per le Benedettine del SS. Sacramento se fossero esistite in quel tempo!
Abbiamo visto la sua preoccupazione per mantenere integra la dottrina conciliare. Madre Mectilde aveva subito intuito i danni del giansenismo e del quietismo e aveva molta cura di illuminare al riguardo chi si trovava sotto la sua direzione. Sappiamo anche della sua preoccupazione sia per i sacerdoti troppo spesso senza istruzione né vocazione, troppo numerosi in quell’epoca, sia per i «cattivi cristiani», sia per gli «eretici» e per lo scisma della Chiesa inglese, ecc.
Madre Mectilde ha lavorato per il rinnovamento della vita religiosa e ha contribuito col suo proprio carisma, a risvegliare e sviluppare il culto verso il SS. Sacramento, particolarmente negato e profanato. Con zelo non risparmiò nulla per procurarGli gloria, per diffondere le associazioni d’adorazione perpetua, le preghiere, i buoni libri, come altrettanti mezzi per portare i cuori a «onorare Dio». Ha agito nel modo del suo tempo, con ardimento e novità, non esitando a invitare la «musica del Re» per le funzioni eucaristiche, a pagare i migliori organisti di Parigi, a far cantare, dalle sue Suore o da altre persone, mottetti a più voci, secondo il gusto del tempo, a organizzare processioni o altre cerimonie penitenziali che noi non possiamo certo imitare tali quali erano, ma che ci invitano a trovare ciò che converrebbe al nostro tempo, per fare dei nostri monasteri focolari di pace e di solitudine, dove ci si riunisce attorno al pane condiviso della Parola e dell’Eucaristia.
Possiamo notare nel nostro tempo di rinascita dell’approfondimento biblico, la parte preponderante che la Sacra Scrittura ha nelle opere di Madre Mectilde. È il testo che cita più spesso. Almeno un centinaio di volte in confronto a tutti gli altri autori.
Ma al di sopra di ogni altra cosa, il messaggio di Madre Mectilde è tutto condensato ne «Il Vero Spirito». In un capitolo centrale di questo libro ella ci ricorda il desiderio infinito di Gesù d’essere unito agli uomini per mezzo del Mistero Eucaristico, istituito dal Suo amore per renderli partecipi a tutto ciò che Gesù Cristo è in Se stesso «allo scopo di stabilire in noi la sua vita divina, e compiere una sola cosa tra Lui e noi, col comunicarci per mezzo dell’Eucaristia tutto ciò che Egli ha come Dio, fino ad elevarci alla partecipazione della sua natura divina. È la realizzazione dell’unico progetto del cuore di Dio: l’alleanza!». «Gesù Cristo nel santo Sacramento conserva questo desiderio, non è ancora sazio. Egli dirà fino alla consumazione dei secoli: Desiderio desideravi. E finché ci sarà un’anima sulla terra capace della sua grazia, egli avrà un desiderio infinito di attirarla al suo amore, mangiando la Pasqua eucaristica con lei...».
Ma soprattutto il suo messaggio nel «Il vero Spirito» ci ricorda che la Trinità abita in noi e vuole che noi abitiamo in lei. Essa vuol regnare in noi e questo Regno di Dio in noi può fondarsi solo su una spogliazione completa di noi stessi e delle creature, la quale è opera dello Spirito Santo, che ci conduce all’estrema povertà, al nulla: porta di accesso al tutto di Dio. Infatti, tra il nostro modo naturale e peccatore di vivere e la vita divina, c’è un salto da compiere, che implica un passaggio attraverso il nulla, una specie di «morte», che va fino alla «morte mistica»,[21] che ci fa morire al peccato e vivere per Dio. Si tratta della partecipazione alla morte-vita pasquale di Gesù Cristo che, soprattutto per mezzo del Battesimo e dell’Eucaristia, fa di noi le Sue membra e diviene la sorgente della nostra vita, il mezzo più breve, più semplice per lasciarsi trasformare, è l’abbandono alla Volontà di Dio[22].
Gesù è dunque il nostro Capo, noi siamo le sue membra[23]; è la sorgente della nostra vita[24]. Ha un desiderio infinito di mangiare la Pasqua eucaristica con ciascuno di noi[25] per farci partecipare alla sua vita divina[26] e per riunire tutti gli uomini, in un solo corpo, per la gloria del Padre[27]. Manca qualche cosa al sacrificio eucaristico, quando le membra non sono unite al Capo[28]. Ciò costituisce per Gesù una sofferenza proporzionata al suo desiderio infinito, al suo amore infinito[29], e finché ci sarà sulla terra un’anima non ancora animata dalla sua grazia, o capace di riceverla maggiormente, Gesù avrà un desiderio infinito di attirarla al suo amore e di mangiare con lei la Pasqua eucaristica[30].
È dunque nella comunione che si compie il desiderio di Gesù[31]. Vedendo come gli uomini rispondono a questo invito, Madre Mectilde è animata da un duplice desiderio: rispondere ella stessa, più totalmente che sia possibile, al desiderio di Gesù, e portare tutti i suoi fratelli peccatori a rispondervi, ottenendo la loro conversione e introducendoli al banchetto eucaristico[32]. Da qui nasce la sua vocazione di adoratrice e di riparatrice[33]. I sacrilegi e le profanazioni che ve l’hanno spinta le hanno fatto prender coscienza di ciò che è per noi Gesù nell’Eucaristia e del modo in cui noi vi rispondiamo[34].
É entrata così nel mistero della redenzione, che si continua nella Chiesa per la gloria di Dio e la salvezza del mondo.
La vocazione delle Benedettine dell’Adorazione Perpetua del SS. Sacramento le associa a Gesù Cristo facendole partecipare alla sua «qualità di vittima» cioè facendole vivere in modo speciale il sacerdozio dei fedeli, come ci ha ricordato il Concilio Vaticano II. D’altronde questa è la vocazione di tutti i cristiani, perché è nel battesimo che riceviamo questa qualità di vittima ed è principalmente nell’Eucaristia che noi l’esercitiamo.
La Comunione è lo scopo ultimo dell’Istituto Mectildiano. Il realizzarla con tutte le proprie forze e la vita è il fine profondo dell’istituzione dell’Adorazione Perpetua. Questa vocazione ci apre un campo illimitato, perché non tende ad altro che a fare di noi dei «Gesù Cristo», come Egli è e rimarrà nell’Eucaristia fino alla fine del mondo.
[1] P. COLLET, Vie de Mère Mectilde de Bar, inedita, c.II, p. 14 .
[2] Ibidem c. II p 18.
[3] Ibidem, c. II, p. 18.
[4] Ibidem, c. II, p. 19.
[5] Ibidem c. II p 24.
[6] Manoscritto n. 1637 (n. della schedario generale degli scritti di M. Mectilde conservato nel monastero di Rouen).
[7] P. COLLET, ibidem.
[8] P. COLLET, Vie de Mère Mectilde de Bar, inedita, c. III, p. 23.
[9] Ibidem c. IV p 24.
[10] MECTILDE DE BAR, Regolamento degli Uffici, p. 16.
[11] Ibidem, p 26.
[12] Ibidem p 13.
[13] Ibidem, p 16.
[14] Ibidem, p 16.
[15] Ibidem, pp. 13-16.
[16] Ibidem, p 17.
[17] Ibidem, p 10.
[18] Ibidem, p 18.
[19] Ibidem, p 24.
[20] Ibidem, p 20.
[21] MECTILDE DE BAR, Il vero Spirito, Paris, 1683, c. XII.
[22] Ibidem, c. XIII XIV.
[23] Ibidem, c. IV-VI-VIII-XVI.
[24] Ibidem, c. XII-IV-VII-XVI.
[25] Ibidem, c. VIII.
[26] Ibidem, c.VI-VII.
[27] Ibidem, c. I-II.
[28] Ibidem, c. IV-XVI.
[29] Ibidem, c. IV.
[30] Ibidem, c. VIII.
[31] Ibidem, c. VI-VII.
[32] Ibidem, c. I-II.
[33] Ibidem, c. I-II.
[34] Ibidem, c. I-II.