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Deus absconditus, anno 95, n. 3, Luglio-Settembre 2004, pp. 50-56
Lorenzo Emilio Mancini *
Eucaristia e Regula Benedicti: il dibattito alla luce della teologia mectildiana
Studiando la vicenda, l’opera di Catherine Mectilde de Bar e l’Istituto da lei fondato, subito è evidente l’accostamento tra Regula di Benedetto da Norcia (=RB) ed eucaristia; il tentativo di armonizzare le due prospettive, consiste nell’individuare il legame che le tiene strette: affrontando tale questione, tuttavia è lecito chiedersi se l’esperimento mectildiano sia una valorizzazione di elementi già presenti all’interno della RB riletti alla luce del mistero eucaristico oppure una semplice giustapposizione tra una grande spiritualità occidentale e l’insegnamento del Concilio di Trento sull’eucaristia [1].
Da un punto di vista storico, l’avvio dello studio eucaristico e filologico della RB è cosa molto recente da collocarsi intorno agli anni ‘20 del XX secolo [2], Madre Mectilde non poteva dunque ovviamente avere questo tipo di approccio e di sensibilità per lo studio e la ricerca delle fonti scritturistiche e patristiche connesse con la RB.
Tuttavia non è neanche possibile escludere che il suo percorso spirituale incentrato sul mistero eucaristico l’abbia portata, seppure in una prospettiva non certamente filologica, ad anticipare embrionalmente un dibattito che sarebbe scaturito secoli dopo.
Nel 1998 dalle pagine della rivista di spiritualità monastica «Ora et labora», madre Geltrude Arioli riprendeva e sintetizzava un dibattito, da tempo sopito per varie ragioni, circa la centralità del mistero eucaristico nella RB: lei stessa, nella consapevolezza di affrontare un tema tutt’altro che scontato e di non semplice trattazione, esordiva dicendo:
«Può sembrare ardito il tentativo di individuare nella RB il posto riservato al mistero dell’Eucaristia, dato che San Benedetto ne parla solo in pochi passi e incidentalmente» [3].
I passi in questione sono quelli relativi alla possibilità di celebrare l’eucaristia da parte dei sacerdoti accettati a vivere in monastero («Concedatur ei tamen post abbatem stare, et benedicere, aut Missam tenere, si tamen iusserit ei abbas» ) [RB LX,4] e alla scelta da parte dell’Abate dei candidati al ministero ordinato diaconale e presbiterale per l’«officium altaris» [RB LXII,6].
Tuttavia, al di là dei suddetti rilievi, la menzione eucaristica più o meno diretta di maggiore importanza sembra essere, secondo Anselmo Lentini, quella relativa alla benedizione del lettore («qui ingrediens, post Missam et Communionem») [RB XXXVIII,4] seguita dalla raccomandazione «Frater autem lector ebdomadarius accipiat mixtum priusquam incipiat legere, propter Communionem sanctam et ne forte grave sit ei ieiunium sustinere» [4], nella quale sarebbe sottintesa una forma di rispetto e di venerazione per l’eucaristia. Nota, infatti, a tal proposito Lentini:
«La Messa finiva poco prima della refezione di mezzodì: e in quei giorni il sorso di vino giovava al lettore per impedire che durante la lettura a voce alta, tra le stille di saliva che facilmente emetteva, uscissero anche particelle della Sacre Specie rimaste eventualmente in bocca» [5].
Quanto riportato dalla RB a proposito del sorso di mixtum non sarebbe dunque una semplice istruzione di carattere igienico, ma una forma di venerazione strettamente correlata al problema della presenza reale nelle sacre specie ancora vivo all’epoca di Benedetto: sono, infatti, ancora lontane le preoccupazioni eucaristiche altomedioevali circa il «modo» della presenza, ciò che ancora conta è il «fatto» quo tale [6].
Di questo avviso è anche André Borias il quale addirittura nota che la concessione fatta al lettore è una delicatezza tutta di Benedetto rispetto al modo con cui è trattato il medesimo tema della Regula Magisteri (= RM) che in maniera più diretta, ma certamente meno raffinata, parla di uno «sputum Sacramenti» [7].
Tuttavia Borias, oltre alla suddetta attenzione, nota che nonostante l’apparente assenza di un discorso strettamente sacramentale all’interno della RB (l’eucaristia sarebbe infatti solo indirettamente richiamata quando si parla della Messa), è riscontrabile in molte parti dell’opera un “clima” eucaristico che si traduce spesso in linguaggio di tipo sacrificale-oblativo; il rito della professione ha, per esempio, una sua dimensione eucaristica («et manu sua eam super altare ponat») [RB LVIII,20] e, ancor di più, quello dell’oblazione del bambino («et cum oblationem ipsam petitionem et manum pueri involvant in palla altaris, et sic eum offerant») [RB LIX,2]. In questi passi secondo Borias è sottintesa tutta la simbologia e la terminologia oblativa, scritturistica e patristica; nel linguaggio liturgico, infatti, oblatio indica principalmente le offerte del pane e del vino che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo. Si profilerebbe così una lettura ‘eucaristica’ dell’intera vocazione monastica: il monaco attraverso la promessa si unisce spiritualmente al sacrificio di Cristo e l’eucaristia diventerebbe il perpetuarsi nel sacramento dell’oblazione del monaco, da affiancarsi alla dimensione «storica« (il sacrificio come evento) e a quella rituale (il sacrificio come rito) [8]. Da tale prospettiva oblativo-eucaristica di lettura della RB non è certamente lontana la De Bar quando afferma: «Un enfant de Saint-Benoît vivant d’une vie de mort, n’a-t-il pas liaison en rapport à Jésus dans l’Hostie?» [9]; Madre Mectilde mette dunque strettamente in rapporto la vita monastica, l’eucaristia e l’annientamento kenotico: così come l’eucaristia è la suprema forma di kenosi di Cristo «annientato» nel pane e nel vino, la vita monastica lo è del cristiano chiamato all’abbandono del modello di vita precedente [10].
I suddetti passi sono sicuramente una fonte irrinunciabile per comprendere, analizzare e descrivere la prassi al tempo di Benedetto sia nell’ambito del monastero, sia, più in generale, nella Chiesa occidentale [11], ma risulta molto difficile fondare su di essi la centralità del mistero eucaristico nella spiritualità benedettina. La Madre Arioli stessa, infatti, invita a non fermarsi «agli accenni espliciti, quanto piuttosto «respirare« l’atmosfera eucaristica della Regola nel suo complesso» [12]; anche dal punto di vista della ricerca, per quanto utile uno studio per così dire ‘interno’ alla RB, non può ritenersi esaustivo, non solo perché «de l’eucharistie, Benoît ne dit presque rien» [13], ma anche perché finirebbe per ruotare su se stesso tralasciando importanti tracce che potrebbero rivelarsi utili al procedere dell’indagine. Questo presunto silenzio sull’eucaristia o il fatto che fosse celebrata un giorno la settimana (elementi tipici non solo della RB) tuttavia, non sarebbero sintomi di disinteresse nei confronti dell’argomento: il fatto di riservare, per esempio, la messa al giorno del Signore, voleva significare, al contrario, l’estrema considerazione in cui erano tenute sia la domenica che l’eucaristia, così come puntualizza De Vogüé:
«En réalité, l’estime des anciens pour l’eucharistie n’était pas moindre que la notre, bien qu’elle se manifestât différemment. Certes, nous honorons grandement la messe en lui faisant une place dans notre horaire quotidien: elle est si précieuse, semblons-nous dire, que nous ne pouvons passer un jour sans la célébrer. Mais nos Pères n’honoraient pas moins la messe en la réservant au dimanche: elle est si précieuse, semblent-ils dire, qu’on ne peut la banaliser en la rendant quotidienne» [14].
Unitamente a ciò bisogna poi considerare, come sottolinea Claudio Magnoli, il notevole influsso della letteratura monastico-spirituale:
«[essa] propugna un atteggiamento religioso di timore e venerazione per la santità/sacralità del sacramento [mysterium tremendum], cui corrisponde, sul versante soggettivo, un forte sentimento di inadeguatezza spirituale» [15].
La celebrazione eucaristica non è legata alla scansione temporale dei giorni; essa si colloca al di fuori del tempo, anche se richiamata quotidianamente dalla comunione extra missam e da quella tensione spirituale che per tutta la settimana è sostenuta dalla liturgia delle ore, dall’orazione silenziosa e dalla lectio. Quanto poi alla frequenza della comunione, l’uso monastico di accostarsi quotidianamente al sacramento (seppure nella forma extra missam) risulta ben lontano da quel minimo di tre volte l’anno (Natale, Pasqua e Pentecoste) stabilito nel 506 dal Concilio di Agde [16].
La messa quotidiana comincerà a diventare una prassi grazie particolarmente al ruolo che ebbe un’opera in qualche modo collegata per vari motivi alla RB: i Dialoghi di Gregorio Magno. Quest’opera costituisce, infatti, una fonte documentale irrinunciabile: il trentasettesimo capitolo del secondo libro dal titolo De prophetia sui exitus fratribus denuntiata in cui l’autore descrive le ultime ore di vita di Benedetto:
«Cumque per dies singulos languor ingrauesceret, sexto die portari se in oratorium a discipulis fecit, ibique exitum suum dominici corporis et sanguinis perceptione muniuit» [17].
Ciò che è interessante notare in questa descrizione, non è tanto che il padre si accosti al sacramento dell’eucaristia, quanto piuttosto l’annotazione di Gregorio «exitum suum dominici corporis et sanguinis perceptione muniuit» quasi a significare la centralità e la considerazione del mistero eucaristico nella spiritualità di Benedetto.
Ed è proprio da questa pagina del libro secondo dei Dialoghi gregoriani che Catherine Mectilde de Bar coglie quel legame che inscindibilmente stringe la RB all’eucaristia e che addirittura costituirebbe l’atto con cui Benedetto genera spiritualmente l’ordine:
«J’ose vous assurer que c’est un secret que je découvre en la mort de notre très illustre Patriarche, lequel, voulant témoigner l’amour qu’il portait au très Saint Sacrement de l’autel, ne put lui rendre un honneur, ni un marque plus sensible de sa foi et de sa charité, que d’expirer en sa sainte présence, et rendre les derniers mouvements de son coeur à cette adorable Hostie renfermée dans le sacré Ciboire, pour y produire dans son temps des enfants de son Ordre, qui jusqu’à la fine du monde, lui rendront des adorations, des respects et des devoirs d’amour et de réparation continuelle» [18].
Tuttavia, Benedetto Calati, introducendo il volume dei Dialogi di Gregorio Magno si sofferma sulla «presenza dell’Eucaristia nella visione escatologica gregoriana» [19], riscontrando in modo particolare questa sensibilità nell’ambito del libro quarto e non del libro secondo De vita et miraculis venerabili Benedicti abbatis. Inevitabile è comunque, sempre secondo Calati, il confronto tra il testo della Regola e quello della vita di Benedetto, anche se «la Vita di Benedetto che risulta dai Dialoghi di Gregorio presenta un monachesimo inserito e in dialogo continuo con la storia, cosa che non trova alcuna esplicita conferma nella lettera della Regola di Benedetto»; inoltre, «salta subito agli occhi la diversità dello stile della narrazione agiografica del Dialogo rispetto alla normativa della Regola» [20].
È dunque difficile dosare quanto il Benedetto narrato dal Libro secondo dei Dialoghi risenta dell’esperienza di Gregorio e quanto, al contrario, Gregorio risenta della sua provenienza monastica: i due dati si compenetrano fino a confondersi e fino a generare un Benedetto «gregoriano« con una diversa disciplina orationis più incentrata sulla preghiera personale silenziosa che non sulla liturgia corale salmodica, e un Gregorio “benedettino” che opera una drastica semplificazione del rito della messa [21].
Dall’esperienza e dalla spiritualità monastica Gregorio trae quella dimensione contemplativa che cerca di trasferire nella liturgia; la messa quotidiana sembra dunque essere per Gregorio un’esigenza per il cristiano che vive ed opera nel mondo e non può seguire i ritmi monastici; essa si configura come l’opus Dei del cristiano laico:
«De cette analyse des Dialogues, nous pouvons à présent tirer une conclusion. En bref, on peut dire que la messe apparaît, dans l’histoire de Grégoire, comme un substitut de la contemplation, un moyen de recouvrer, dans l’existence mondaine, quelque chose des richesses spirituelles du cloître. La piété eucharistique qui rayonne à la fin des Dialogues est liée à l’exil du moine retombé dans le monde, aux souffrances qu’il endure comme ministre de l’Église séculière» [22].
Per quanto dunque diversissime siano le prospettive, le situazioni e i contesti storici che hanno generato la RM, la RB e i Dialogi, tuttavia il loro accostamento, sostenuto anche dagli altri studi, ci ha portato all’individuazione di un sottilissimo filo conduttore seguendo il quale è possibile non tanto inventare ciò che non c’è e far dire alla RB ciò che non avrebbe potuto dire, quanto piuttosto cercare di ricreare un clima, quell’«atmosfera eucaristica« di cui parlava la Madre Arioli.
Se dunque Benedetto risulta essere, seppure in modo indiretto, uno dei punti di riferimento di Gregorio, ben più direttamente lo è per quello che riguarda la liturgia monastica occidentale; lungi dalle previsioni del Patriarca, infatti, il modello della RB diventerà a breve l’unica liturgia monastica [23]. Ed è proprio a partire da questo elemento che il problema che ci ponevamo in apertura potrebbe trovare una risposta: Mectilde de Bar giustappone pezzi di tradizione cattolica o abbozza una rilettura della RB?
La seconda ipotesi sembrerebbe percorribile, ferme restando le precisazioni di carattere metodologico precedentemente fatte; certamente la «potenza eucaristica« che promana dal Concilio di Trento è uno dei motori del percorso di Catherine Mectilde de Bar che, perfettamente, si abbina al clima liturgico (a volte proprio eucaristico, come si è visto) che permea tutta la RB in ogni suo capitolo, quale che sia l’argomento trattato. Di ciò Madre Mectilde è fermamente convinta; nel Véritable Esprit afferma che ci sia un rapporto privilegiato tra l’eucaristia e la RB, difficilmente ripetibile con altre spiritualità:
«Oui! C’est aux enfants de ce glorieux Père, qu’il appartient d’avoir une application singulière à ce Mystère divin, d’y avoir même une relation qui n’est point commune aux autres Religions de l’Église» [24].
Al di là del fervore mectildiano, è proprio dalle righe del ventesimo capitolo del Véritable Esprit che il dibattito che abbiamo cercato di sintetizzare ha preso l’avvio: è la lettura di questa pagina, seppure in una prospettiva teologico-spirituale, che ha contribuito alla riapertura di un dibattito (sia teologico che storico) archiviato con un ‘non luogo a procedere’; non è possibile in questa sede analizzare tutte le implicazioni e i risvolti del dibattito, ma è sicuramente stato importante ribadire che il dibattito, al di là del suo esito, c’è, e probabilmente il suo esito non è quello che si è creduto per secoli.
* Oblato secolare del Monastero «San Benedetto« di Milano.
[1] Uno spoglio del Dizionario degli istituti di perfezione e del Dictionnaire historique des ordres religieux ha fatto rilevare che le rivisitazioni in chiave eucaristica delle grandi spiritualità che hanno generato ordini religiosi femminili (in particolare agostiniane, clarisse e carmelitane) hanno prodotto realtà religiose, ma in tempi successivi alla fondazione dell’Istituto della De Bar.
[2] Si veda a tal proposito LECLERCQ Jean, Nuevas llaves para la interpretacion de la Regla de San Benito, in AA.VV., Hacia una relectura de la Regla de San Benito, Burgos, Abadia de Silos, 1980, pp. 35-56.
[3] Arioli Geltrude, Regola di San Benedetto e carisma mectildiano: spunti di riflessione, in «Ora et labora», 1998, n. 2, pp. 81-90, p. 82.
[4] Le citazioni della Regola sono tratte da S. Benedetto, La Regola, Abbazia di Montecassino, 19802.
[5] Ivi, p. 349.
[6] Biffi Inos (a cura di), Enciclopedia eucaristica, Milano, Paoline, 1964, pp. 124-125.
[7] Borias André, En relisant Saint Benoît, Bégrolles-en-Mauges, Abbaye de Bellefontaine, 1990, pp. 270-271; questa la citazione per esteso: «Et cum primum mensae Abbas cum omnibus acceperit merum, et ipse (lector) similiter suum merum propter sputum Sacramenti accipiat, et sic incipiat legere Regula Magistri», XXIV; a tal proposito si veda anche DELATTE Paul, Commentario alla Regola di S. Benedetto, Bergamo, S.E.S.A., 1951, p. 299.
[8] Borias André, En relisant Saint Benoît, cit. p. 271. Si veda anche UBBIALI Sergio, Il sacrificio: eventi e rito, in ID. (a cura di), Il sacrificio evento e rito, Padova, Messaggero – Abbazia di Santa Giustina, 1998, pp. 7-15.
[9] De Bar Catherine Mectilde, Le Véritable Esprit des Religieuses adoratrices perpétuelles du Très Saint Sacrement de l’autel, Paris, Couterot, 1683, XX,7.
[10] Si veda a tal proposito MOIOLI Giovanni, «Il Vero Spirito» di M. Mectilde de Bar: una proposta “spirituale”, le sue motivazioni, la sua attualità, Benedettine del SS. Sacramento, (a cura di), Deus Absconditus. Atti del Convegno di spiritualità monastico-eucaristica 8-15 maggio 1980, Monastero SS. Trinità, Ronco di Ghiffa (VB), 1980, pp. 107-131, in part. pp. 111-115.B.
[11] Si veda a tal proposito De Vogüé Adalbert, Eucarestia e vita monastica, in ID (a cura di), La Comunità, ordinamento e spiritualità, Praglia, Scritti Monastici, 1991, pp. 319-334, in part. p. 323. In questo contributo l’autore fa notare come i passi succitati siano una chiara testimonianza dell’uso della comunione quotidiana extra missam.
[12] Arioli Geltrude, Regola di San Benedetto e carisma mectildiano, cit., p. 83.
[13] De Vogüé Adalbert, Études sur la règle de Saint Benoît, Bégrolles-en-Mauge, Abbaye de Bellefontaine, 1996, p. 188.
[14] Ibidem, p. 194. (Ns. trad.: «In realtà la stima degli antichi per l’eucaristia, non era inferiore alla nostra, benché si manifestasse diversamente. Certo, noi onoriamo grandemente la messa riservandole un posto nell’orario quotidiano: è così preziosa – sembriamo dire – che non possiamo trascorrere un giorno senza celebrarla. Ma i nostri Padri, riservandola alla domenica, non onoravano meno la messa: è così preziosa – sembrano dire – che non la si può banalizzare rendendola quotidiana»).
[15] Magnoli Claudio, Il mistero eucaristico, pro manuscripto, Milano, ISSRM, 1996, p. 31.
[16] Hefele Karl Joseph – Ergenröther Joseph Adam G. – Leclerq Henri, Histoire des conciles d’après les documents originaux, Paris, Letouzey, 1907-1952, tomo II/2 (1908), pp. 973-1003, in part. p. 990.
[17] Gregorius Magnus, Dialoghi, in Gregorii Magni Opera, Parigi – Roma, Cerf – Città Nuova, 2000, vol. IV, p. 208. (Tr.: «Poiché di giorno in giorno lo sfinimento diventava sempre più grave, il sesto giorno si fece trasportare dai discepoli nell’oratorio, ove si fortificò per il grande passaggio ricevendo il Corpo e il Sangue del Signore»).
[18] De Bar Catherine Mectilde, Le Véritable Esprit des Religieuses adoratrices perpétuelles du Très Saint Sacrement de l’autel, cit., XX,3. (Tr.: «Oso assicurarvi che si tratta di un segreto che scopro nella morte del nostro illustre Patriarca. Egli, volendo testimoniare il suo amore per il SS. Sacramento dell’altare, non poté rendergli un onore né un segno più tangibile della sua fede e della sua carità se non spirando alla sua santa presenza, offrendo gli ultimi palpiti del cuore a questa adorabile Ostia racchiusa nel sacro Ciborio. E questo per generare, a suo tempo, dei figli del suo Ordine, destinati a rendere a Gesù Eucaristia continui atti di adorazione, omaggio, amore e riparazione, fino alla fine del mondo»).
[19] Calati Benedetto, Introduzione, in Gregorius Magnus, Dialoghi, in Gregorii Magni Opera, cit., pp. 7-55, p. 37.
[20] Ivi, p. 52 e 55.
[21] Nota, a tal proposito, Inos Biffi: «Il nome più ricordato sarà quello di San Gregorio Magno. Non è facile determinare esattamente gli interventi liturgici di questo papa. Egli certamente ha operato già nel senso di semplificare il rito dell’Eucaristia. Ridusse le litanie all’inizio della Messa; apportò ritocchi al canone; volle il Padre nostro prima della frazione del pane, in stretta unione con la grande orazione eucaristica (…). Sotto il nome di Gregorio ci è arrivato un «sacramentario», noi diremmo un messale, a uso del papa, con i testi per la Messa: è il Sacramentario Gregoriano. È difficile precisare quale sia stata la parte personale di papa Gregorio nella composizione di quei testi; secondo gli studiosi, egli stesso è autore di qualche formulario. Anche il Sacramentario Gregoriano rivela l’orientamento a rendere più semplice la Messa, riducendone fin troppo le preghiere (BIFFI Inos, Eucaristia. La storia e il rito. Catechesi in breve, Milano, Jaca Book, 1994, pp. 63-64); a tal proposito si veda anche Gy Pierre-Marie, La doctrine eucharistique dans la liturgie romaine du haut moyen-âge, in Aa.Vv., Segni e riti nella chiesa altomedioevale occidentale, Spoleto, Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, pp. 533-554.
[22] De Vogüé Adalbert, Études sur la règle de Saint Benoît, cit., pp. 201-203, in part. p. 201. (Trad. : «Da questa analisi dei Dialoghi, possiamo ora trarre una conclusione. In breve, possiamo dire che la Messa appare, nella storia di Gregorio, come un sostituto della contemplazione, un mezzo per recuperare, nell’esistenza mondana, qualcosa delle ricchezze spirituali del chiostro. La pietà eucaristica che irradia alla fine dei Dialoghi è legata all’esilio del monaco ripiombato nel mondo, alla sofferenza che egli subisce come ministro della Chiesa secolare«).
[23] Papiol Maria Monserrat, La liturgia en la regla benedictina: su influencia en la renovacion liturgica, in Aa.Vv., Hacia una relectura de la Regla de San Benito, cit., pp. 159-169.
[24] De Bar Catherine Mectilde, Le Véritable Esprit des Religieuses adoratrices perpétuelles du Très Saint Sacrement de l’autel, cit., XX,4. (Tr.: «Sì ! Spetta ai figli di questo glorioso Padre avere un’attenzione singolare a questo Mistero divino, una relazione che non è comune agli altri istituti della Chiesa«).