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Sr. Marie Véronique Andral, OSB ap
La dimora di Dio nell’anima
Madre Mectilde e i mistici reno-fiamminghi
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Ora et Labora – 2 – 2000 – 67-73

 

Secondo Louis Cognet, Bernières ha letto molto i Reno-fiamminghi, e in particolare Tauler. Grazie a lui, M. Mectilde è stata un po’ iniziata a questa «scuola». Ma essa aveva avuto altri contatti indiretti. È immersa in questa corrente spirituale. Prendiamo un esempio concreto che ci prova che M. Mectilde ha letto Enrico Suso. Nel ms di Breda che riporta le conversazioni spirituali di M. Mectilde con le sue «figlie», si legge per esempio:

«Che si dica, o che si pensi e si faccia ciò che si vuole di voi, non si potrà portarvi via il vostro Dio»

Una religiosa lì presente spiegò alla Madre quanto fosse incapace di sopportare una certa cosa che la faceva piangere molto spesso; ella le portò allora l’esempio di En­rico Suso, che era come lei all’inizio della sua vita religiosa, e raccontò: «Nostro Signore gli fece notare un giorno come un cane giocasse con uno straccio, aggiungendo: "Cosi dovresti essere tu nelle mie mani, per lasciarti rigirare come mi piacerà fare"» (Br III, p. 1).

Ecco la storia del tappeto (cf II grande libro delle lettere, lett. 12, nigra sum) un po’ modificata, ma riconoscibile.

Prendiamo un testo di M. Mectilde sul soggetto che abbiamo scelto per la nostra in­dagine, la dimora di Dio nell’anima e l’attuale adorazione: il capitolo «delle tre di­more di Dio», molto conosciuto[1], può servirci come introduzione: «Dobbiamo pertanto parlare della terza dimora di Dio, che è la sua abitazione nelle nostre anime. È proprio in questo palazzo che Egli risiede con il massimo diletto. È in questa dimora che si comunica pienamente all’anima e che vi restaura la sua im­magine, cancellata dal peccato. ... È in questo luogo che ... il Profeta chiede umil­mente a Dio di abitare per sempre, in questo luogo che è il proprio intimo, dove Dio risiede veramente. Lì le tre Persone divine vi dimorano come nel proprio tempio» (cf. Il Vero Spirito, cap. 3).

M. Mectilde si ispira (forse senza saperlo) a un autore siriano del IV sec. e segue lo stesso percorso di Maestro Eckhart[2]. La prima dimora è il Ciclo. La seconda dimo­ra è la Chiesa. La terza è l’intimo dell’anima. Non si può entrare nella prima dimo­ra, il Ciclo, se non si è passati dalla terza. Per conoscere il sentiero segreto che conduce a questa dimora bisogna fare un percorso che raggiunge veramente Eckhart, perché il suo proposito è di condurci all’intimo di noi stessi.

E anzitutto, per ascoltare Dio, bisogna essere presso di lui. In questo cammino ver­so l’intimo di noi stessi bisogna:

1.              Lasciare ogni affanno, perché il Signore è vicino nel più profondo di noi stessi. L’anima deve essere presso di sé, non fuori. M. Mectilde dirà: «Dio non cade
mai sotto i nostri sensi»
[3] (LA, p. 115).

2.      Lasciare le nostre preoccupazioni, ma anche noi stessi. Non è il vero io che bi­
sogna lasciare, ma il falso io. È lo spogliamento di tutto ciò che ci impedisce di
andare a Dio quello che ci è richiesto.

«Dobbiamo essere Gesù Cristo in tutte le cose ... non possiamo seguire Gesù se non portando la nostra croce e rinunciando a noi stessi ... Non si può seguire Gesù Cri­sto se non spogliandosi di tutto» ( LA, p. 137)

3.    E infine abbandonarsi a Dio, contare su di lui. Dio è là, nel più intimo di noi
stessi. Dio è vicino, noi siamo lontani. Dio è dentro, noi siamo fuori. Egli ci spo­
glia per colmarci di lui stesso. Se tu non hai questo desiderio di Dio, desidera di
desiderarlo. Egli nascerà in te.

Ora leggiamo qualche passo di Maestro Eckhart:

- Lasciare ogni preoccupazione.

«Lasciate ogni preoccupazione, il Signore è vicino e si approssima!». Bisogna neces­sariamente, perché l’anima si rallegri nel Signore, che essa lasci ogni preoccupazione, almeno nel momento in cui si dedica a Dio. Ecco perché S. Paolo dice: «Non abbia­te più preoccupazioni, il Signore è vicino, si approssima a noi», è nel più intimo di noi stessi, quando ci trova presso di noi e quando l’anima non è uscita per gingillarsi con i cinque sensi. L’anima deve essere presso di sé in quello che ha di più intimo e di più elevato e di più puro, e restare sempre raccolta nell’intimo senza guardare fuori: là «Dio molto vicino e si approssima» (Sermone 34, Gaudete in Domino)[4].

Si tratta di una certezza donata dalla fede e non di sentire una presenza. Ribadiva M. Mectilde:

«Vi ho detto che Dio non cade mai sotto i sensi. Potete certamente avvertire in essi qualche zampillo della sua grazia, ma non Dio, perché Dio è puro spirito e risiede nella parte superiore della nostra anima» (LA, p. 115 s.).

Questa presenza non si colloca nelle facoltà dell’anima (intelligenza, memoria, vo­lontà) ma nel centro dell’anima. Per questo noi non la percepiamo: il credere «che eleva l’anima a una santa ignoranza di ogni affermazione, la introdu­ce in una fede semplice e amorosa in ciò che egli è in se stesso, oltrepassando ogni lu­ce e ogni intelligenza. L’anima crede Dio nella verità della sua Essenza» (LA, p. 133). Noi lasceremo a Dio non solo i nostri affanni, le nostre preoccupazioni ma anche noi stessi.

L’Io che dobbiamo lasciare non è il vero io, quello nel quale noi ci sforziamo - inve­ce - di entrare.

- Abbandono di se stessi:

«Perché? Perché Dio è vicino, nel più intimo di noi stessi è là che dobbiamo cercar­lo. Presenza di Dio in noi: in Lui noi abbiamo la vita, il movimento e l’essere (cf At 17, 28) egli ci circonda interamente. Allora noi potremo ascoltare ciò che lo Spirito ci suggerisce nel più profondo.

«Perché il Regno di Dio è dentro di noi. Dio è pronto in qualsiasi momento, ma noi non lo siamo per niente. Dio è vicino a noi, ma noi siamo lontani da lui. Dio è den­tro e noi siamo fuori. Dio è a casa sua in noi, noi siamo degli stranieri (Eckhart, Ser­mone 68, Scuote quia prope est)»"[5].

«Apriamo il nostro sguardo interiore e, in una perfetta solitudine con Dio, prendiamo coscienza di ciò che Cristo ci reca, di ciò che Dio ci dona, di ciò che egli è per noi. Si tratta di un mistero di presenza. Egli è percettibile solo nel silenzio, perché il silenzio ci rende disponibili alla presenza divina. Questo silenzio sarà colmo di un puro sguar­do attraverso il quale si scopre il santuario riservato, dove Dio solo abita con se stesso e con quelli che ama. Dice Gesù: "Se qualcuno mi ama, ... e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui": "Allora voi saprete che io sono in mio Padre e voi in me E IO IN VOI" (Gv 14, 23. 20) . La vita eterna è fin da quaggiù co­minciata grazie all’interiorità ..."... che essi siano uno in noi" (cf Gv 17,21). "Tutta la perfezione del cristianesimo consiste in uno sguardo attuale a Gesù Cristo e in un’adesione o sottomissione continua al suo beneplacito. Questi due punti rac­chiudono tutto..." (LA, p. 141).

Il cammino di questa interiorità è il Cristo. L’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Egli, dopo il peccato, deve recuperare la somiglianza, l’immagine che non è stata mai perduta. L’anima deve tendere alla luce come il fiore verso il so­le. Il Verbo è la vera luce. Egli è nato un tempo a Betlemme ma, come già diceva Origene: "Che cosa mi giova la sua nascita nel presepio se Egli non nasce in me, nella culla del mio cuore?".

Perché Dio s’è fatto uomo? Per nascere proprio nel nostro cuore e così operare la nostra divinizzazione»[6]

Nascita

«II Padre genera da tutta l’eternità il Figlio, il suo alter ego, la sua immagine perfet­ta. Egli non l’ha generato una volta nel tempo: questo atto ha luogo in un presente eterno, che si perpetua ora: continuamente il Padre genera il Figlio. E questo Figlio divino e coeterno, il Padre lo contempla. Il Figlio ama il Padre e, attraverso questo sguardo d’amore che si scambiano nella semplicità dell’essenza divina il Padre e il Verbo, come da un solo principio, soffia lo Spirito Santo.

Dio è nascita, perché è Trinità. Questa via divina che sarà la sostanza della nostra felicità celeste, si comunica già alle nostre anime, a condizione che noi siamo in stato di grazia. Continuamente Egli nasce in noi. Ogni anima attira e accoglie il Verbo a seconda del­la sua capacità e della sua fede, poiché Egli viene a realizzare in tutti gli uomini il mi­stero della sua incarnazione, ma non in un modo ipostatico. Ricevere il Verbo (Gv 1, 12) è lasciarlo venire a tal punto da prendere un totale possesso del nostro essere. Il Battesimo inaugura questa nascita e l’Eucaristia, Sacramento dell’unità, la sviluppa, così il soggetto diventa sempre più «figlio nel Figlio». Ciò che noi siamo: il Figlio, noi dovremo diventarlo. Partecipare a questa nascita è partecipare all’Assoluto. "Il più nobile desiderio di Dio è di generare, Egli non è soddisfatto se non arriva ad aver generato suo Figlio in noi. Allo stesso modo l’anima non è mai soddisfatta se il Figlio di Dio non nasce in lei" (Eckhart, Sermone 11, Impletum est)»[7].

Il dono

«Se non restituiamo Dio a Dio, noi interrompiamo il movimento di Dio, la sua vita nel­l’anima. Se Egli è dono, è integralmente dono ... Ma Egli è dono solo se noi ci poniamo nell’atto di riceverlo. Se non c’è reciprocità del dono, non c’è la pienezza della relazione. Dio è dono. Se egli non può donarsi, lo si uccide in noi, nel senso che egli non può mostrarsi come Dio vivente per noi. In effetti noi siamo donati a noi stessi nel dono del Figlio — figli nel Figlio. Questo è il dono perfetto, il dono dei doni. Il modo di donare di Dio è quello di generare suo Figlio. Operare il ritorno del do­no al donatore, è partecipare alla vita dello Spirito Santo. È il rendimento di grazie. Il movimento di ritorno del dono che si fa nel Cristo, il Cristo non lo fa da solo, lo fa con tutti i suoi fratelli, cioè con tutto se stesso, perché egli non è tutto se stesso senza noi... (cf oltre VS, cap. 8).

Ciò che dona Dio, non è il nostro amore o altra conoscenza, è la misericordia di Dio. Così, essere contemplativi significa ricevere il Verbo divino nella solitudine interio­re, riceverlo spiritualmente e non avere più con lui che una sola vita. "Egli si genera in noi per avere ogni sua gioia nell’anima, perché noi si abbia tutta la no­stra gioia in lui" (Eckhart, Sermone 59, Daniel, der Prophet, spricht: Wir folgen dir nach)»[8].

Il distacco

«Dopo aver visto le due condizioni care a Eckhart, il lasciare ogni preoccupazione e l’abbandono di se stessi, bisogna aggiungerne ancora una terza: il distacco, o lo spogliamento, l’abbandono della fede a questo amore di Dio, che ci permetterà di esse­re totalmente spogli. Queste due parole sono orientate verso una terza: la nascita di Dio nell’anima.

- Distacco: equivale al "come se" di S. Paolo (1 Cor 7,30-31). Perché? Perché il crea­to è come il vischio, esso ‘impiastra’, non è il valore assoluto. Ecco perché accon­sentiremo alle micro-morti del quotidiano.

Non si tratta di una svalutazione del creato, ma di una messa a fuoco del creato, me­glio, di un rifiuto a vederlo come il fine ultimo. Lo spirito libero è uno spirito che è vicino alle cose ma non nelle cose. Il creato rischia, lo sappiamo tutti, di essere facil­mente una trappola, illusione, incantesimo, pura apparenza, vuoto, specchietto per le allodole. Si tratta dunque di prendere distanza dal creato per ritrovare l’asse che fonda tutta la vita: Dio.

È evidente che le cose sono per gli uomini. Bisogna utilizzarle nella misura in cui que­ste servono al nostro fine, perché esse possono darci morte o vita secondo la nostra decisione. Ci vuole dunque un distacco per non abbracciarle in modo esagerato. Dio si può trovare in ogni cosa, perché egli è lì, ma tutto dipende dal nostro sguardo ver­so le cose. Il nostro cuore è fatto per qualche cosa di più grande del creato. Il cuore è fatto per Dio. Non si tratta di respingere qualcosa di ciò che esiste...

Il distacco è un’uscita e un’entrata: uscita, in quanto è una presa di distanza dal crea­to; entrata, in quanto deve far coincidere col fondo di noi stessi «L’uomo raggiunge il luogo della sua nobiltà. Il creato è porta chiusa per l’unione con Dio se ci si lascia invischiare in esso, se vi si è prigionieri.

Il creato è porta aperta per l’unione con Dio se ci si libera, se lo si domina. "Dio non è il distruttore di nessun bene, egli lo compie. Dio non distrugge la natura, egli la porta a compimento" (Eckhart, Istruzioni spirituali)»[9]. «Uscire da me stesso e entra­re in Gesù Cristo» (LA, p. 136)

«Dobbiamo disfarci dall’ idea per cui la vita spirituale è conquista, acquisizione. No, essa è spoliazione, spoliazione liberatrice.

Dio dona se stesso nella misura in cui l’altro lo accoglie. Nella misura in cui vi è di­stacco, c’è la nascita di Dio nell’anima. Se noi ci distacchiamo, egli ci colmerà. Le due cose sono correlative.

"Essere vuoti di tutte le creature, è essere riempiti di Dio. Essere riempiti di tutte le creature, è essere vuoti di Dio" (Eckhart, Trattato Del distacco)»[10]. «Il vuoto delle creature fa pienezza di Dio» (M. Mectilde)

«Questo sforzo di distacco inteso correttamente e declinato per ognuno ci deve por­tare ad una grande libertà spirituale: lasciare essere le cose, che accada ciò che deve accadere, perché noi siamo al centro delle linee di forza della provvidenza. Ma que­sto richiede una grande fede, l’abbandono di cui noi abbiamo parlato. ".. .non fare di Dio una mucca da latte... allora egli ti colmerà di bene più che di lat­te, questo bene è LUI stesso" (Eckhart, Sermon 16b, Quasi vas auri solidum). Non si dona mai niente a Dio. Egli vuole farci entrare in una prospettiva più alta, quella della gratuità, dell’onore e della gloria di Dio. Nello stesso modo in cui il Cri­sto riceve tutto dal Padre, così Cristo ci invita a essere completamente ricettivi. Per questo bisogna vuotare l’anima, non aspettarsi niente in cambio, ma sapere che si sarà colmati, perché riceversi da Dio è essere generati da Dio. Dio è dono. Gli si re­stituisce il dono, allora si è, noi stessi, dono... A una sorgente fluente bisogna por­tare un vaso vuoto. Da qui deriva che la vacuità non è rifiuto delle cose, ma una pre­sa di distanza liberatrice. È l’accoglienza del dono che produce il dono-di-ritorno. Restituire il dono a Dio è l’azione di grazie. Il dono di Dio richiama il ritorno, la ri­conoscenza che rende fecondi, poiché la natura di Dio è il donare. Il suo modo di donare è di generare suo Figlio. Noi siamo donati a noi stessi nel dono del Figlio; fi­gli nel Figlio, questo è il dono perfetto.

"Lasciate ritornare a Dio ciò che viene da Dio" (M. Mectilde) In effetti Cristo non è mai solo. Egli non è completamente lui senza noi... Bisogna pen­sarlo sempre con tutti gli uomini, poiché egli deve estendersi alla totalità e formare il suo corpo mistico. Noi dobbiamo creare con lui l’altra parte di lui stesso: il suo corpo, poiché Dio l’ha istituito come Cristo totale (testa e membra). Il Figlio tanto amato dal Padre è il Cristo figlio di Maria, ma è anche una moltitudine di fratelli, siamo noi nel Cristo. Figli nel Figlio, ma tutti insieme non formiamo che un solo Cristo. "Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento ... fino alla consumazione dei secoli dirà: ‘Desiderio desideravi’ [cf Le 22, 15]. E finché ci sarà sulla terra un’anima capace di ricevere la sua grazia, Egli nutrirà un infinito desiderio di attrarla al suo amore, man­giando con lei la pasqua eucaristica ...e proprio perché ci ritiene membra del suo corpo mistico, non può essere soddisfatto, senza che siamo uniti e trasformati in Lui" (M. Mectilde, VS, cap. 8).

"Se tu cerchi Dio solo, tu troverai nello stesso tempo che tutto ciò che Dio può da­re lo trovi insieme con Lui" (Eckhart, Sermone 26, Mulier, venit hora)»[11] «Dio nel suo Cristo ci porta a quel luogo di verità che è il ‘fondo’ dell’anima. È il luo­go dell’assoluto, perché esso forma un solo fondo con il fondo di Dio, nel senso che il fondo dell’anima è cavo e lì vi alloggia Dio. Il centro dell’anima è Dio... Il cuore è il punto dove l’uomo è in contatto con Dio. Solo la fedeltà nella preghiera ve lo può portare. È il frutto del distacco e di una disponibilità allo sguardo di Dio più che di uno sforzo di concentrazione.

È nella ricerca dell’unione divina che l’anima trova efficacemente i suoi fratelli... L’a­nima dunque non si salva da sola, essa porta con sé tutti quelli che cercano Dio e tut­ti quelli che Dio cerca.

Se io sono saldo, stabilito in Dio, io non posso non partecipare alla sua opera di san­tificazione del mondo»[12].

«Poiché noi siamo figli nel Figlio, la nostra preghiera raggiungerà quella del Figlio, sarà ad immagine di quella del Figlio, una partecipazione alla preghiera di Cristo in relazione al Padre suo: ricevere tutto da lui, tutto ridonargli nell’amore e l’amore è cercare di rendere uguale il diverso. Diventare padre non è imparare a donare? Diventare figlio non è imparare a ricevere?

Ora il Padre celeste dona tutto ciò che egli è, tutto ciò che ha a suo Figlio, e in suo Figlio egli mi ama al punto che, secondo il Vangelo, egli mi farà crescere fino al pun­to che, insieme con suo Figlio, noi tutti penetriamo nel seno del Padre»[13].

Dio porta la nostra sofferenza

«La sofferenza è sempre un fardello, ma, dopo la Croce, questa non è più un male perché male è ciò che arresta il processo di unione, cioè il peccato. Ora, dopo la Cro­ce, la sofferenza, cioè la carenza di essere, il nulla, in un essere che non dovrebbe ave­re questa deficienza, questa riduzione al nulla, è trasformata. A quale condizione? Se è Dio che porta la sofferenza. Dio assume ciò che l’uomo accetta di abbandonare. Allora l’uomo non deve più considerare la sofferenza come sua, ma come assunta da Dio. Dio soffre il fardello della sofferenza, da cui deriva che, secondo Eckhart, si pos­sa soffrire tutto non soffrendo, perché Dio porta la sofferenza per noi. Così egli ci invita a esser lieti nelle avversità, perché possiamo trasformarle in felicità, cioè in un mezzo per ritornare verso la deità. Se la sofferenza è abbandonata a Dio, cioè offerta, è Dio che porta il fardello. Di fronte a una situazione di vuoto, Dio può intervenire rovesciandola e trame fuori una situazione migliore, che è il meglio per te. "Il mezzo più rapido che ci conduce alla nostra perfezione, è la sofferenza" (Eckhart, Del distacco).

Egli vuoi dire che la sofferenza con Cristo è il cammino più diretto per arrivare all’unione. Perché? Perché questa ci spoglia di noi stessi.

"Dio soffre la sofferenza insieme all’uomo. Come, in queste condizioni, la sofferen­za può essere ancora una pena? La mia pena è in Dio. ... Ancora, quando trovo la mia sofferenza unicamente in dio e per Dio, io trovo al posto della mia sofferenza Dio! " (Eckhart, Trattato II libro della consolazione divina) [14].

La morte corporale, l’ultima mortificazione, è preparata da questo distacco. Essa non è che l’ultimo atto di questo distacco. Allora io avrò finito di morire. Ma lungo questo itinerario, la vita ha operato nella morte, le piccole morti hanno preparato l’ultimo grande atto della morte. Difatti, la morte decisiva è quella dell’io. "

Dio è con noi nella sofferenza, questo significa che anche lui soffre con noi. Vera­mente chi conosce la verità sa che io dico il vero. ... Dio soffre così volentieri con noi, quando noi soffriamo per lui solo, che egli soffre senza soffrire. Soffrire è per lui così dolce che soffrire non è soffrire" (Il libro della consolazione divina)»14. «Vi confesso che a volte mi meraviglio come io possa sopportarlo, ma vedo che è la forza divina di Gesù Cristo a fare e soffrire tutto. ... Quando piace a nostro Signo­re di lasciarmi soltanto avvicinare alla Croce, ahimé!, sono mezza morta, ma egli la tiene sospesa al di sopra di me, sostenendola con la sua virtù divina. ... Rimaniamo così morenti senza morire, sofferenti senza soffrire, perché in verità non possa dire che soffro. ... Sento la sua forza e pazienza che mi circondano ... Mi è sembrato che nostro Signore mi abbia detto che egli si trovava con la sua santissima Madre per so­stenere il peso e che saranno Lui e lei che avranno a cuore e sosterranno tutto...» (M. Mectilde, Itinéraire spirituel, II ed., Rouen 1997, 109 s.).

Lasciare che Dio sia Dio nell’anima

«Non si tratta di chiacchierare su Dio, ma di adorare Dio presente in noi... L’anima deve scoprire che il Regno è in essa. "Dio è in questo luogo e io non lo sapevo! " [cf Gen28, 16].

Fra l’anima e Dio ogni parola è inutile così l’anima cercherà di amarlo: "per te il si­lenzio è lode" ed essa lascerà in silenzio che Dio sia Dio in lei. Troverà la sua gioia nel fatto che Dio sia ciò che EGLI E.

Nella purezza della pace, l’anima sarà appagata di ciò che Egli è in se stesso: Trinità-Unità. L’eternità è adesso.

I fatti passati, gli eventi futuri e quelli dell’oggi, tutto questo è fuso insieme nel fon­do dell’anima, nella attualità del presente: LA NASCITA DI DIO nell’anima. Si tratta di dimorare nel suo amore : ecco la VITA.

"Lascia che Dio sia Dio in te ... qual è il tuo danno quando concedi a Dio di essere Dio in te? Esci completamente da te stesso per amore di Dio. Anche Dio esce com­pletamente da se stesso per amor tuo" (Eckhart, Sermone Del Figlio)»[15]

Preghiera di M. Mectilde

«O abisso di misericordia che mi sostieni, quale rendimento di grazie posso io resti­tuire ad una bontà infinita come la tua? Tutto ciò che desideri da me è che io dimo­ri immersa nel centro del mio nulla dove, cessando di essere, io confessi e manifesti nel silenzio che tu sei, o mio Dio, colui che È e il solo degno di essere eternamente. Amen».

M. M. Véronique Andral OSB ap

 


 

*  Conferenza tenuta a Rouen il 10 giugno 1999, in un incontro di formazione delle Benedettine dell’Adorazione perpetua di Francia e Germania. Ringraziarne vivamente l’A. per il permesso di traduzione che, come le note, è a cura della rivista.

[1] Esortazione tenuta in capitolo da M. Mectilde il 31 ottobre 1662, vigilia della festa di Tutti i San­ti: n.(2029), leggibile nell’ed. dattiloscritta privata del monastero di Bayeux 1986, CC n. 174. Que­sto testo è la fonte del capitolo dell’opera citata subito dopo: Il Vero Spirito delle Religiose Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento dell’Altare, Paris 1683, tr. it. pro-manuscripto Ronco di
Ghiffa (VB) 1983 [d’ora in poi: VS].

[2] Cf. A. GOZIER, Prier 15 jours avec Maître Eckhart, Paris, Nouvelle Cité, 1992 [d’ora in poi: G].

[3] Questa e tutte le citazioni che seguono, salvo indicazione contraria, sono tolte dal Bréviaire de feu Madame la Comtesse de Châteauvieux nella traduzione italiana, condotta sull’edizione francese re­cente: CATHERINE MECTILDE DE EAR,Une amitié spirituale, Paris, Téqui, 1989 / Lettere di un’ amicizia spirituale (1651-1662). Madre Mectilde de Bar a Maria di Châteauvieux, Milano, Anco­ra, 1999 [d’ora in poi: LA].

[4] Cf . G, pp. 21s. nel capitolo: «Adiutorium de l’Esprit», pp. 21-24.

[5] G, p. 23.

[6] G, pp. 27- 30 (tranne che per la citazione di M. Mectilde).

[7] G, pp. 31-32 passim.

[8] G, pp. 34-35 passim (escluso il rimando a M. Mectilde).

[9] G, pp. 38-40 passim.

[10] G, pp. 45-46 passim.

[11] G, pp. 47- 51 passim (eccetto che per le citazioni di M. Mectilde).

[12] G, pp.55-56 passim.

[13] G, pp.67-68 passim.

[14] G, pp. 72-76 passim.

[15] G, pp. 99-101 passim.