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Sr. Marie Véronique Andral, OSB ap
Verso il “vero volto”
A diverse riprese sono apparse su queste pagine brani di lettere e saggi su M. Mechtilde DE BAR (1614-1698), Istitutrice delle Monache Benedettine del SS. Sacramento. Da un decennio è in atto un vasto lavoro di ricerca e di raccolta degli scritti di lei, negli archivi dei più antichi monasteri dell’Istituto, in vista di una pubblicazione che mostrerà il «vero volto» di questa grande monaca. Dall’équipe de travail, che lavora con competenza e rigore scientifico, abbiamo ricevuto una piccola relazione a carattere frammentario, che portiamo a conoscenza dei nostri lettori.
Abbiamo forse troppa tendenza a considerare la nostra Madre Metilde come autrice di libri piuttosto austeri e di forma poco attraente.”
Quando invece si ha la grazia di vedersi passare tra le mani più di tremila schede, ciascuna con qualche riga di testo - un inizio, una fine, talvolta una data, spesso il nome del destinatario o il motivo dello scritto - e si compie questo lavoro con attenzione e raccoglimento, tutto cambia. A poco a poco, il personaggio si stacca e acquista la sua vera luce. Per quanto possa sembrare strano, il quadro appare ancor più chiaro quando capita di passare - come avviene nel nostro lavoro - da una lettera a un uomo di Dio a una conferenza su una festa dell’anno, da un biglietto a una sua figlia in pena a una lettera a qualche Regina, da un’istruzione a Madame de Châteauvieux a una risposta indirizzata a qualche sua Priora. E tutto ciò per lo spazio di circa sessant’anni, dal 1641 al 1698.
In quelle poche righe, che incominciano o chiudono testi così diversi, il lettore prende contatto con un’anima viva, aperta, intelligente, dotata di sensibilità e psicologia, per la quale l’amor di Dio è tutta l’occupazione. Certo, non mancano negli scritti della nostra Madre espressioni che fanno talvolta fremere, come la necessità di annientarsi, di morire a se stessi, il riconoscimento del nostro stato di peccato; ma, oltre a tener conto della spiritualità e della maniera di esprimersi proprie della sua epoca, non potremo mai rimproverarle la chiaroveggenza e il coraggio con cui chiama le cose con il loro nome.
Dunque è certo che parla di morte e di annientamento. Ma, oltre a ciò, e anche come conseguenza di questo, quante volte parla di confidenza, di gioia e di felicità. E quante volte la grande monaca, dall’aspetto austero e pieno di dignità come ci è tramandato dai suoi ritratti, si mostra a noi come una povera donna, curva sotto il peso delle responsabilità e delle cariche, oppure sotto quello dei suoi peccati e delle ingratitudini che il suo amore e la sua delicatezza d’animo le fanno ingrandire a dismisura, come accade a tanti Santi; o ancora, come una Madre piena di tenerezza.
Bisogna anche notare che - eccetto 127 lettere autografe - noi abbiamo solo delle copie degli scritti della nostra M. Metilde. Ora, confrontando gli autografi con le copie - anche migliori - si può osservare come spesso le copiste hanno tralasciato gli aneddoti, i dettagli personali o materiali, che davano vita e attualità alle lettere. Perciò non bisogna tutto giudicare dal contenuto troppo serio e unicamente spirituale delle lettere: questa è spesso solo un’apparenza di cui è responsabile la copista.
Abbiamo scelto, fra tanti, quei testi ove colei che fu l’iniziatrice dell’Istituto delle Benedettine del SS. Sacramento si fa Madre tenera, attenta e confortatrice, sapendo così bene rivestire la sua fermezza, o severità, di una forma piacevole e persino spiritosa.
La lettera seguente ci mostra i rapporti affettuosi e di mutua confidenza esistenti fra la M. Metilde e la M. Monica degli Angeli, che fu una delle pietre fondamentali della fondazione di Rouen. Ella aveva appena terminato la storia di quella fondazione, e M. Metilde le scrive:
«Io voglio proprio, mio caro Angioletto, che vi rimandino la storia che avete compilata. Sono dispiaciuta per i discorsi che vi hanno fatto in proposito. In quanto a me, non l’ho disapprovata, sapendo bene che S. Teresa ha descritto nelle sue “Fondazioni” tante piccole cose molto ricreative, e questo fa tanto bene. Questo genere di storia non dev’essere troppo serio. Io non ho ancora guardato la vostra, non avendo un minuto di tempo. Sarei ben contenta di poterla leggere, ma in ogni caso, (voglio) che vi sia rimandata. Non togliete nulla, datemi ascolto. Si trovano più benedizioni nella semplicità. Io l’amo mille volte più che tutte le belle frasi. Restate in questa semplicità e non nella sottigliezza. Io non ho che questo momento. A Dio, in Dio» (P. 138, p. 1).
Alla stessa corrispondente scrive nel 1681:
«Vi dico in segreto, caro Angelo, che penso di venire a trovarvi all’inizio di marzo. Ma nel timore che la divina Provvidenza mandi ancora all’aria questo progetto, non ne parlate. Tuttavia ci stiamo preparando pian piano. La Comunità fa fuoco e fiamme perché non mi credono in stato di viaggiare, dato che il medico mi ha ordinato di mangiare carne e uova, e quindi di non digiunare. Sono tutte spiacenti perché non gli obbedisco: per quanto egli dica, io mi sento abbastanza bene» (P. 132, p. 431).
La salute delle sue figlie la preoccupa molto, e non c’è bisogno di cercare per trovare i segni della sua costante sollecitudine verso le debolezze del corpo e dell’anima.
« Prendete tutte le precauzioni che potete per non soccombere interiormente - scrive a una giovane Religiosa che si trova in un periodo di prova - la fede e l’amore devono essere la vostra forza. E, riguardo al vostro corpo, buon nutrimento e riposo ».
Appena viene a conoscenza di una disgrazia, subito manda la sua parola di consolazione:
«Cara figliuola, non posso esprimervi la tenerezza del mio cuore e la pena che provo per il vostro braccio: se è il destro, non potrete scrivermi; e tuttavia ho bisogno che mi facciate sapere vostre care notizie per mio conforto ... Mandatemi pure qualche notizia sulla vostra anima; ditemi come si trova con Dio, e il resto. Farete tanto piacere alla vostra povera Madre che vi comanda di aver cura della vostra salute» (P. 132, p. 293).
Il giorno in cui un’epidemia colpisce quasi tutta la Comunità di Rouen, scrive alla religiosa che non cede alla malattia per soccorrere le altre:
«Vi sono molto grata, mia carissima figliuola, di avermi fatto conoscere le indisposizioni di tutte le vostre Consorelle. Non escludete voi stessa dal loro numero per il vostro gran coraggio: so che siete sofferente per lo meno quanto e più delle altre; ma bisogna cercare di darvi qualche sollievo. Quanto ai digiuni, non credo davanti a Dio che possiate sostenerli: è già molto che facciate l’astinenza e, se foste qui, non la fareste davvero. Abbiate cura di voi per quanto vi è possibile. Ne scrivo qualche cosa alla Madre X ... senza farle capire che voi mi avete scritto. Non dubitate mai della mia fedeltà» (P. 132, p. 304).
La Madre Anna del SS. Sacramento, che si era mostrata troppo preoccupata della salute della Madre, riceve questa risposta che rimette tutto a posto:
«In nome di Dio, cercate di star bene. Tutta la vostra cura è di pensare alla mia salute e di dimenticare la vostra; e non sapete che io non posso vivere senza di voi? Se voi amate tanto la mia vita, amate un po’ più la vostra per amore di N. Signore. Giacché solo per Lui voi ed io vogliamo vivere. Altrimenti io vorrei morire, dato che non posso vivere senza peccare, e il peccato mi uccide. E’ la mia grande e terribile croce in questo mondo; tutte le altre non sono che ombre in confronto a questa ».
Fra le corrispondenti più interessanti della nostra Madre Metilde, c’è la Maestra delle novizie del secondo monastero di Parigi, Madre Geltrude di S. Opportuna. Ecco quale risposta riceve alla sua richiesta di entrare in ritiro nel 1694:
«Per pura pigrizia, carissima Madre, ho tardato a rispondervi la parola dovuta alla lettera che mi avete voluto scrivere, parlandomi delle disposizioni presenti della vostra anima, e del vostro pensiero di entrare in ritiro. Non è propriamente il momento propizio per questo. Il tempo è piovoso e facile a provocare forti infiammazioni; voi potreste risentirne molto. Curatevi meglio che vi sarà possibile. Non mi oppongo al desiderio che avete di fare il ritiro, se l’obbedienza e la vostra salute ve lo permettono. Farete le meditazioni e le letture secondo l’ordine che sapete. Questo non lo regolerò; ma vi può accadere di trovarvi sulla croce. Non fareste male a prepararvi a tanto, per non avere sorprese» (N. 254, p. 173).
Sollecita della buona salute dei corpi, Madre Metilde lo era ancor più per quella delle anime, per il loro coraggio e il loro avanzamento. Aveva molto tatto, come dimostrano queste poche righe che troviamo all’inizio di una lunga lettera:
«Vedo e comprendo i vostri lamenti, figlia carissima, per il mio silenzio dopo le lettere che mi avete scritto, esprimendomi quanto vi è stato possibile ciò che soffrite. Vi sembra forse che io sia divenuta insensibile alle vostre sofferenze e che le vostre pene attuali non m’interessino. Siate ben persuasa (invece) che il mio cuore non è di pietra e che la mia tenerezza per voi è sempre la stessa, come voi l’avete sempre avuta per me» (N. 254, p. 176).
Un’altra volta, all’epoca in cui ella doveva dividersi fra Rouen e Parigi, risponde a una lettera di rimproveri:
«Considero la mia cattiva figliuola come una persona fuori di sé che bisognerebbe proprio sgridare perché ha dei sentimenti così poco assennati riguardo alla sua povera Madre. Ma siccome non è buona e il suo cuore è ferito, ella giudica solo attraverso i movimenti di collera, dalla quale è posseduta. Non temete, cattiva figliuola, di dar tanto dispiacere al cuore della vostra povera Madre? Che motivo vi ha dato di trattarla così crudelmente? Voi credete che ritardi il suo ritorno per il proprio riposo e per sua comodità; ho invece abbastanza testimoni in contrario. Ma il mio Dio che attraversa le nostre vie m’immerge nell’amarezza. Io la ricevo dalla sua mano adorabile, perché so che bisogna soffrire, sia qui, sia altrove. Dovunque io troverò la croce» (P. 133, p. 251).
Testi di questo genere provano con quanta libertà le sue figlie talvolta le dovessero scrivere. Non mancano altre prove. A M. Metilde di Rouen, ella scrive:
«Una parola solo per dirvi che la vostra collera è una collera da leone e che io prendo la dolcezza d’un agnello per assicurarvi che non sono affatto dura con voi» (P. 132, p. 328).
E alla M. Monica degli Angeli:
«Adagio, non vi inquietate, e mormorate solo contro di me che non sono tanto esatta a scrivervi. Ma credo che se mi vedeste, non mi rimproverereste. Ricevo, sì, le vostre lettere, ma molto più tardi di quanto sarebbe necessario per rispondervi entro il tempo che voi dite» (P. 132, p. 415).
Forse non si pensa abbastanza a tutta la delicatezza, al tatto, alla diplomazia possiamo dire, di cui ha avuto bisogno la M. Metilde per trattare la fondazione o l’aggregazione di tanti monasteri, per indurre le monache di un’altra osservanza a entrare con semplicità in quella dell’Istituto. E’ nota la sua prudenza quando, giovanissima Priora, giunse nel monastero di Caen. Più tardi, ella scrive a una delle sue figlie che aveva mandata come rinforzo in quel monastero:
«Povera piccola Madre, sento che avete fatto meraviglie. Continuate per la gloria del SS. Sacramento. Ma non cambiate il Cerimoniale delle Reverende Madri. Bisogna lasciare che se ne servano, finché io non possa venire. Le ho viste sempre molto regolari nei loro esercizi. Vi prego invece di insinuare molto lo spirito dell’Istituto, mediante la pratica delle Costituzioni. E’ importante farle ben comprendere, tanto per il culto del SS. Sacramento come per la carità fra loro» (N. 254, p. 223).
Il bene delle anime, la loro pace erano la sua grande preoccupazione, e la nostra Madre indica spesso con fermezza i sentieri che ad essa conducono. A una religiosa del secondo monastero di Parigi, che si trovava nella prova, scrive:
«Non permettete al vostro spirito le piccole critiche sulla vostra Superiora, né mormorazioni, né altre mancanze che potreste commettere a suo riguardo, perché essa vi è donata da Dio, tiene il suo posto, e Nostro Signore dice di lei: chi ascolta voi ascolta me, chi obbedisce a voi obbedisce a me. Non concedetevi la libertà di criticare le sue azioni, di mormorare del suo modo di fare. Quel che non potete approvare o gradire, abbandonatelo a Dio e voi ritiratevi in Lui».
In seguito, torna ancora su questo consiglio precisando:
«Se non potete ricevere aiuti dalla vostra Madre Priora, pazienza, ma non venite mai meno a nessuno dei vostri doveri verso di lei. In nome di Dio, una volta per tutte, non commettete più questa mancanza» (N. 254, p. 101).
Questo rispetto che comanda alle altre l’osserva ella stessa verso quelle che hanno ricevuto un’autorità, fossero pure sue figliuole. Se deve fare un richiamo a qualche Priora, mette in causa se stessa, si umilia, si accusa, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, quando il sentimento della sua indegnità la perseguita con l’acutezza di una vera prova spirituale, di cui cerca conforto presso religiosi di sua conoscenza. Così, il 13 giugno 1695 scrive a una Priora dell’Istituto:
«Credo mio dovere dirvi che il Signor X ... mi ha scritto per lamentarsi del poco conto che fate dei suoi consigli e dei regolamenti della Visita. Io credo, mia Rev.ma Madre, che fareste bene a comportarvi diversamente. In quanto a me, mi trovo bene nel sottomettermi, ma se vi ho dato cattivo esempio, vi scongiuro di non seguirlo, mi procurereste con ciò dolore senza fine. La mia condotta non è tanto corretta da servire di esempio. Mirate sempre al più perfetto per la santificazione delle vostre care figliuole» (N. 254, p. 51).
Per noi è un vero conforto il constatare che la nostra Madre Metilde non esita a parlare di sé nelle sue lettere. E non solo dei bisogni della sua anima, come nei suoi giovani anni, ma anche per raccontare ciò che le è accaduto, per precisare il suo modo di vedere, o anche - e non è raro - per dare notizie della sua salute alle sue figliuole, Priore o no dei diversi monasteri.
«Non so, mia Reverenda e ancor più cara Madre - scrive - chi vi abbia fatto sapere che io sto male. Non è il caso di preoccuparvi. Ho avuto un’infiammazione alla bocca che mi ha fatto gonfiare le gengive e le labbra, tanto che per otto giorni ho potuto prendere solo liquidi. Non potevo mangiare neanche il pane e sono tuttora nell’impossibilità di prendere cibo. Ci vuole pazienza, in seguito passerà» (P. 134, p. 306).
Bisogna, d’altra parte, riconoscere che per lei tutto è occasione di indurci a guardare ogni cosa con occhio soprannaturale.
«Non state in pena per la mia salute, - dice alla Madre S. Francesco di Sales -. La sola cosa è che balbetto un po’. Per il resto vado benino. Non bisogna preoccuparsi delle mie piccole infermità: l’età è avanzata, se ne deve tener conto, non per lamentarsi ma per non meravigliarsi delle infermità che ne sono conseguenza» (P. 134, p. 287).
Nel 1678 - ha dunque 64 anni - la nostra Madre Metilde assicura:
«La mia salute non è ancora così mal ridotta come voi credete: ho sempre un piede alzato per venire da voi».
E non possiamo fare a meno di aggiungere qui le parole che seguono, perché sono di attualità:
«Abbiamo fatto la vestizione della signorina N ... , la sua mamma ha acconsentito. L’aveva fatto anche un’altra. Se ne presentano, ma ce ne sono poche che convengono. Sarei ben lieta che Dio vi desse aspiranti buone in tutti i sensi. Sono contenta che siano ricevute le due di cui mi parlate, ma bisogna assicurarsi bene che le qualità corrispondano alla grazia che verrà loro fatta. Non mi dite nulla di quella Suor X ... che vi è venuta a trovare? Sperate da lei qualche cosa di buono? Canta in modo passabile? Per l’organo non la credo molto abile. Addio, carissima, devo proprio finire» (P. 132, p. 296).
Ma torniamo alla sua salute per vedere come racconta alla Comunità di Varsavia ciò che le è accaduto nel 1688, cioè dieci anni prima della sua morte:
«Ricevo le vostre care lettere del 15 gennaio, mentre esco da un furioso attacco apopletico [apoplettico], durante il quale posso dirvi che sono rimasta come morta per qualche tempo. Ma Nostro Signore mi ha rimandato ancora sulla terra secondo la sua adorabile volontà. Saranno domani cinque settimane che sono caduta in questo stato che ha afflitto la Comunità. Esse hanno gridato così forte che le sentivano fuori di casa. Tutto quel che hanno potuto fare è stato di darmi in tutta fretta l’Estrema Unzione. Ho stentato molto a riprendermi. Non scendo ancora dalla mia camera, ma avendo ricevuto le care vostre, non ho potuto fare a meno di mandarvi una parola di risposta» (P. 136, p. 252).
Infine, il 30 aprile 1697, indubbiamente pochi giorni dopo la Settimana Santa che doveva essere per lei l’ultima sulla terra, ella confida a Madre S. Francesco di Sales, Priora del secondo monastero di Parigi:
«Vi confido che ho partecipato a tutti gli Uffici, tali e quali, ma con molta fatica. Sono troppo vecchia per far bene queste cose. Per ora è finita. Questa specie di movimenti non è gradevole, ma ho dovuto compierli per obbedire. Vi scongiuro di pregare la SS. Madre che li benedica; vi posso dire che li ho fatti nell’amarezza del mio cuore, ma bisogna soffrire e abbandonare tutto» (P. 134, p. 344).
Questo non le impedisce di interessarsi minutamente, nella stessa lettera, degli affari temporali di quel monastero e di terminare dicendo:
«Datemi notizie della vostra salute. Sto rivedendo le Costituzioni per cercare di praticarle. Lascio da parte i lavori particolari e i piccoli affari materiali, nel timore di mancare alla santa povertà. Dio ci faccia la grazia di ritrarci da tutto questo per il bene delle anime» (id. p. 346).
Solo il pensiero del bene delle anime, dunque, della gloria e dell’amore di Dio è quello che la guida nelle sue decisioni ed imprese. E’ facile trovare numerosi testi che ne forniscono la prova. Trascriviamo questo perché anch’esso è spesso di attualità. La lettera è indirizzata alla Madre Anna del SS. Sacramento, che si occupava della costruzione del monastero di Rouen nel 1679.
«Vi prego di pensare - scrive la Nostra Madre - che non costruiamo per noi, ma per quelle che verranno. Notate che se voglio qualche cosa di comodo, di solido e di utile, non pretendo dare il consenso a nessuna vanità né ad abbellimenti ricercati che esulino dalla semplicità religiosa. Ve lo raccomando per buone e giuste ragioni che la santità della vostra professione deve far comprendere a voi come a me. Regolate dunque tutte le cose con moderazione per attirare le benedizioni del cielo, compiendole con questo spirito, congiunto a quello d’una perfetta unione. Io non dubito di nulla, tanto per la parte spirituale che per quella temporale. Non mi aspettate; fate lavorare continuamente, nel timore di lasciar passare la bella stagione» (P. 136, p. 34).
Ecco, questi non sono che alcuni testi, stralciati fra molti altri, e raccolti così semplicemente. Sono stati scelti fra la corrispondenza di quel periodo della vita della Madre Metilde, in cui Dio la rese Madre d’un gran popolo. Questo popolo non ha cessato di crescere e di estendersi, e Lei non ha cessato di essere la nostra Madre. Quel che scrisse per le sue figliuole del XVII secolo, l’ha scritto anche per noi. E davvero tutte queste parole raccolte in così poche pagine hanno conservato tutto il loro valore e tutto il loro senso nel nostro secolo XX. E, come le parole del Signore, non ci chiedono altro che l’apertura del cuore.